resistenza a pubblico ufficiale

Resistenza a pubblico ufficiale e art. 337 cp

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Breve analisi del reato di resistenza a pubblico ufficiale

La resistenza a pubblico ufficiale

L’art. 337 del codice penale, tra i delitti dei privati contro la pubblica amministrazione (libro II, titolo II, capo II, cod. pen.) descrive il reato della resistenza a pubblico ufficiale
La fattispecie è solo in apparenza costruita in termini molto ampi e generici. Dal punto di vista oggettivo, si tratta di un reato comune, dato che la fattispecie si rivolge a “chiunque” senza che siano richieste specifiche attribuzioni o qualità.
Come confermato da una sentenza della Cassazione a Sezioni Unite (Cass., Sez. un., sent. 22 febbraio 2018, n. 40981), la condotta lesiva è libera, nel senso che non viene descritto un particolare agire, ma deve essere qualificata, oltre che da minaccia o violenza, anche dal nesso funzionale e temporale con l’esercizio dell’atto di ufficio o di servizio da parte delle persona offesa. La stessa sentenza, aderendo alla interpretazione maggioritaria, ha stabilito che nel caso in cui vengano offesi più pubblici ufficiali, si ha una pluralità di reati avvinti dalla continuazione.
Dal lato del soggetto passivo, invece, il soggetto tutelato è solamente colui che svolge funzioni di rilevo pubblico, spesso ma non necessariamente appartenenti alla pubblica amministrazione.
Altro elemento di specificità è l’elemento psicologico: la violenza o la minaccia deve essere rivolta nei confronti del soggetto passivo, con l’animus di opporsi al suo compimento di un atto di ufficio o di servizio. Si parla quindi di dolo specifico.
Il reato rientra nella competenza del Tribunale in composizione monocratica ed è procedibile d’ufficio, senza che sia necessaria la querela della persona offesa.
L’art. 381 cod. proc. pen. consente l’arresto facoltativo se vi è flagranza di reato e se l’arresto è giustificato dalla gravità del fatto, ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità e dalle circostanze oggettive del fatto. È altresì consentita l’adozione di misure cautelari personali, compresa la custodia cautelare in carcere.
Nel presente articolo ci occuperemo di analizzare in maniera specifica la fattispecie delittuosa della resistenza a pubblico ufficiale ed in particolare:


COSA SI INTENDE PER RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

L’art. 337 codice penale punisce chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Il reato è monoffensivo: la ratio della norma è quella di tutelare la Pubblica Amministrazione, o meglio il suo corretto funzionamento, da atti dei privati volti a pregiudicare l’operato pubblico, interferendo nel procedimento volitivo o esecutivo di coloro che, in virtù del rapporto di immedesimazione organica, sono preposti alla realizzazione della volontà pubblica.
La fattispecie non si rivolge invece a tutelare anche la libertà personale delle persone fisiche che svolgono funzioni pubbliche.


RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE: CHI È IL PUBBLICO UFFICIALE

Il reato di cui all’art. 337 c.p. rientra tra quei reati che vengono commessi nei confronti di soggetti ben determinati: il pubblico ufficiale e l’incaricato di servizio pubblico.
L’articolo 357 cod. pen. indica come, ai sensi della legge penale, è considerato pubblico ufficiale colui che esercita la pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
L’individuazione di tali soggetti, importante ai fini di comprendere l’effettiva realizzabilità dei reati contro la Pubblica Amministrazione, si basa sulla circostanza oggettiva dello svolgimento di una pubblica funzione, e prescinde dall’esistenza o meno di un rapporto di pubblico impiego.
In tal senso, sono pubblici ufficiali non solo i soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione (ad esempio, l’ufficiale giudiziario, i Carabinieri, la Guardia di Finanza), ma anche privati e professionisti che svolgono funzioni pubbliche temporaneamente o incidentalmente. Ad esempio, è tale il privato cittadino quando viene nominato amministratore di sostegno, oppure l’avvocato nel momento in cui autentica la firma, oppure ancora il privato cittadino nel momento in cui procede all’arresto in flagranza nei casi e alle condizioni indicate dall’art. 383 cod. proc. pen. (quando si tratta di delitti perseguibili di ufficio, inoltre, la persona che ha eseguito l’arresto in flagranza deve senza ritardo consegnare l’arrestato e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria).
Inoltre, come evidenziato dalla giurisprudenza, “gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono considerati in servizio permanente, non cessando dalla loro qualifica pur se liberi dal servizio, posto che, anche in tali circostanze, sono tenuti a esercitare le proprie funzioni, ove si verifichino i presupposti di legge” (Cass. pen., Sez. V, Sentenza, 20/07/2022, n. 35691).


RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE: CHI È L’INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO

Diverso dal pubblico ufficiale è l’incaricato di pubblico servizio, anch’esso soggetto passivo del reato di cui all’art. 337 cod. pen.
L’art. 358 cod. pen. lo definisce come colui che a qualunque titolo presta un pubblico servizio, e cioè un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici del pubblico ufficiale (deliberativi, autoritativi, certificativi), con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e di prestazioni di opere meramente materiali.
A titolo esemplificativo, sono incaricati di pubblico servizio: il sub-concessionario per la gestione dei giochi telematici (Cass. pen. n. 49070/2017), il cappellano del carcere (Cass. pen. n. 33049/2016), l’archivista della questura (Cass. pen. n. 1739/2013), l’impiegato della Motorizzazione civile addetto all’apposizione della fotografia e alla plastificazione delle patenti (Cass. pen. n. 44504/2009), l’esercente di attività professionale di soccorso stradale e il depositario di autoveicoli incidentati (Cass. pen. n. 310/2008).


QUAL È LA CONDOTTA DELLA RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

La fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale viene qualificata come reato di mera condotta: la Corte di Cassazione ha precisato come nell’ambito del delitto di resistenza a pubblico ufficiale “…non è necessario, ai fini dell’integrazione del delitto, che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell’ufficio o del servizio, indipendentemente dall’esito, positivo o negativo, di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti indicati”. (Cass. Pen., sentenza del 8 gennaio 2020, n. 5459).
Il comportamento punito dall’art. 337 del codice penale è l’opporsi al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, qualificato da:

  • violenza o minaccia
  • il nesso funzionale e temporale tra l’opposizione e il compimento di un atto di ufficio o di servizio.

La condotta di opporsi è un comportamento contrario all’attività del pubblico ufficiale, che la impedisce o la ostacola in maniera effettiva e concreta, sviando le finalità previste normativamente o turbando il buon andamento dell’esercizio del pubblico ufficio.
La violenza o la minaccia sono requisiti fondamentali della condotta del reato di cui all’art. 337 cod. pen.

La minaccia è la prospettazione di un male ingiusto e notevole, come indicato dall’art. 612 cod. pen., idonea ad ostacolare il funzionario pubblico nell’esercizio delle sue funzioni.
La minaccia rilevante in tal senso è “qualsiasi mezzo di coazione psichica diretto in modo idoneo ed univocamente a raggiungere lo scopo di impedire, turbare, ostacolare l’atto di ufficio o di servizio intrapreso, a prescindere dalla sua concreta efficacia intimidatoria o dalla realizzazione del male minacciato” (Cass. pen., Sez. VI, 04/06/2019, n. 30424). Anche la millanteria può costituire “mezzo idoneo a turbare ed ostacolare l’operato del pubblico ufficiale, per effetto della prospettazione di conseguenze pregiudizievoli attraverso la presentazione di un esposto calunnioso con l’implicito riferimento alla possibilità di creare problemi grazie alle proprie conoscenze influenti.

La fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale richiede inoltre la simultaneità tra la condotta violenta e minacciosa da una parte ed il compimento dell’atto della persona offesa, dall’altra. Ciò distingue il reato in analisi dalla fattispecie dell’art. 336 cod. pen., in cui la violenza viene posta in essere prima dell’attività del pubblico ufficiale.

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COS’È LA RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE CON VIOLENZA IMPROPRIA

Per quanto attiene il requisito della violenza, bisogna operare una distinzione tra violenza propria ed impropria.
La violenza è detta propria quando la condotta attiva si rivolge direttamente nei confronti del pubblico ufficiale.
È detta impropria quando è rivolta non direttamente ed immediatamente al pubblico ufficiale, ma a cose o a soggetti terzi, ferma restando la idoneità della condotta a impedire o ostacolare l’esercizio della funzione pubblica.
Per la configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale non è quindi necessario che la violenza o la minaccia venga usata sulla persona del pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio, ma è importante che venga posta in essere al fine di opporsi allo stesso nel compimento di un atto del suo ufficio.
Ne consegue che anche un atto di autolesionismo, o la minaccia di compierlo, può integrare la fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale (Corte d’Appello Roma, Sez. III, 11/06/2013, n. 4903).


QUANDO LA RESISTENZA PASSIVA ESCLUDE IL REATO DI RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

Ciò che accomuna la resistenza propria ed impropria, al fine della configurabilità del delitto de quo, è il fatto che si tratti di violenza attiva, e cioè caratterizzata da un facere del soggetto attivo che si esprima in un comportamento violento.
Resta invece al di fuori del reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 codice penale la cosiddetta resistenza passiva, che si configura quando il soggetto passivo si limita ad un non facere, restando inerme all’ordine di collaborare del pubblico ufficiale, oppure ad un comportamento attivo, ma che non comporta violenza su cose e persone. Ad esempio, aggrapparsi allo sportello dell’auto della polizia per evitare di essere caricato nella vettura, oppure divincolarsi dalla presa dell’agente di polizia giudiziaria.
La Cassazione penale ha precisato che, nell’ipotesi del divincolarsi, la resistenza passiva è configurabile quando si tratta di un reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, con un uso di violenza minimo e non rivolta contro la persona, e dunque tale da esprimere la volontà di non collaborare al compimento dell’atto (Cass. sent. n. 10136/2012; Cass, sez. VI Penale, sent. n. 5209/2019).
La Cassazione ha escluso la resistenza passiva nella fuga alla guida di un’auto per sfuggire all’intervento delle forze dell’ordine, ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida pericolosa, l’incolumità personale degli altri utenti della strada (Cass. pen., Sez. I, Sentenza n. 41408/2019).


L’ELEMENTO SOGGETTIVO DELLA RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

La fattispecie di cui all’art. 337 c.p. richiede il dolo specifico, consistente nella volontà di impedire o ostacolare l’atto d’ufficio o di servizio del pubblico ufficiale.
Non solo. deve sussistere anche la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un rappresentante dell’autorità, e la consapevolezza che il pubblico ufficiale adempia, con il suo intervento, ad un dovere del proprio ufficio. È tuttavia irrilevante l’inconsapevolezza dello specifico atto d’ufficio che il pubblico agente debba eseguire, quando sia comunque percepibile che si tratta di attività “lato sensu” di controllo della persona, anche ai soli fini di identificazione o di semplice pedinamento “Cass. pen., Sez. VI, Sentenza n. 24247/2022).


COSA SI RISCHIA IN CASO DI RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

Chi realizza la fattispecie delittuosa della resistenza al pubblico ufficiale rischia la reclusione da sei mesi a cinque anni.
L’art. 339 cod. pen. prevede inoltre alcune circostanze aggravanti.
In primo luogo, la pena prevista dall’art. 337 codice penale è aumentata fino ad un terzo se la violenza o la minaccia è commessa:

  • nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico,
  • con armi,
  • da persona travisata,
  • da più persone riunite,
  • con scritto anonimo,
  • in modo simbolico,
  • valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte,

Inoltre si applica la pena della reclusione da tre a quindici anni se la violenza o la minaccia è commessa:

  • da più di cinque persone riunite, e mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse,
  • da più di dieci persone, pur senza uso di armi
  • salvo che il fatto costituisca più grave reato, mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, ed in modo da creare pericolo alle persone.

Una questione particolare sulla quale è stato necessario un intervento della giurisprudenza di legittimità –a Sezioni Unite- è relativo alla pena applicabile se l’aggressione si realizza contro più soggetti. Con la sentenza n. 40981, pronunciata il 22 febbraio 2018 e depositata il 24 settembre2018, le Sezioni Unite hanno definitivamente chiarito la questione controversa, stabilendo che “In tema di resistenza a un pubblico ufficiale, ex art. 337 cod. pen., integra il concorso formale di reati, a norma dell’art. 81, primo comma, cod. pen., la condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio”.

Resistenza a pubblico ufficiale e art. 337 cp


QUANDO LA RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE NON È PUNIBILE

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale, secondo l’art. 393 bis cod. pen. non è punito “quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”.
Si tratta della scriminante della provocazione, introdotta nel 2009 con la legge n. 94 del 15 luglio, che intende “tutelare” il privato, scriminando la sua condotta ogniqualvolta il pubblico ufficiale abbia agito andando oltre i limiti posti ai poteri del proprio ufficio, e fondata sul diritto soggettivo, costituzionalmente garantito, del privato di reagire all’atto arbitrario del pubblico agente.
Perché sia integrata la fattispecie di cui all’art. 337 cod. pen. è infatti necessario che la reazione sia realizzata nei confronti di un legittimo esercizio di potere e non può considerarsi tale quello del pubblico ufficiale che con un comportamento arrogante e autoritario consapevolmente travalichi i limiti e le modalità entro le quali le funzioni pubbliche vanno esercitate (Cass., VI sez. penale – 27 ottobre 2006 n. 36009).
L’analisi giurisprudenziale ha evidenziato come arbitrarie condotte del tutto ingiustificate o persecutorie, ovvero abusive e sproporzionate in relazione alla situazione nella quale il funzionario è chiamato a porlo in essere.
Arbitrari sono anche i comportamenti di per sé leciti, quando però travalicano le funzioni attribuite all’ufficiale pubblico, oppure siano incongruenti rispetto alle modalità impiegate e alle finalità da perseguire, a causa della violazione dei doveri minimi di correttezza che devono caratterizzare l’agire dei pubblici ufficiali (Cass. pen., Sez. V, Sentenza, 25/10/2021, n. 45245).
Ad esempio, come affermato dalla Cassazione penale con la sentenza n. 18841 del 12 maggio 2011, “è configurabile l’esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale qualora il privato opponga resistenza al pubblico ufficiale che pretenda di sottoporlo a perquisizione personale finalizzata alla ricerca di armi e munizioni in assenza di elementi obiettivi idonei a giustificare l’atto, e dopo averlo accompagnato coattivamente in caserma in ragione del precedente rifiuto non già di declinare le generalità, ma di esibire i documenti di identità”.
Perché sia integrata la fattispecie di cui all’art. 337 cod. pen. è infatti necessario che la reazione sia realizzata nei confronti di un legittimo esercizio di potere e non può considerarsi tale quello del pubblico ufficiale che con un comportamento arrogante e autoritario consapevolmente travalichi i limiti e le modalità entro le quali le funzioni pubbliche vanno esercitate (Cass., VI sez. penale – 27 ottobre 2006 n. 36009).
Infine, la causa di giustificazione viene applicata anche se putativa, ai sensi dell’art. 59 comma 4 cod. pen.quando il soggetto abbia allegato dati concreti, suffraganti il proprio ragionevole convincimento di essersi trovato, a causa di un errore sul fatto, di fronte ad una situazione che, se effettiva, avrebbe costituito atto arbitrario del pubblico ufficiale” (Cass. pen., Sez. VI, Sentenza, 16/10/2018, n. 4457).


NON È CONFIGURABILE IL TENTATIVO DI RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

Si pensi a chi tenta di strappare il bollettario delle sanzioni amministrative di mano dall’agente di pubblica sicurezza, che sta redigendo un verbale di accertamento e contestazione, senza riuscirvi.
In merito al tentativo di resistenza a pubblico ufficiale, più volte si è pronunciata la Corte di Cassazione, affermando che non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell’ufficio o del servizio, indipendentemente dall’esito, positivo o negativo, di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti indicati (Cass., sez. VI penale, sent. n. 15621 del 21 aprile 2022; Cass. Sez. 6, n. 5459 del 08 gennaio 2020).
In altre parole, il comportamento idoneo e diretto ad impedire o ostacolare il compimento dell’atto d’ufficio, determina già la consumazione del reato.

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