Marijuana legale in Italia: quali sono gli usi consentiti?
Con la legge sulla cannabis n. 242/2016 e con la diffusione di negozi che commercializzano la cannabis o i suoi prodotti, si è tornati a discutere sul tema della marijuana legale.
Da molti anni l’opinione pubblica si scontra sul tema della legalizzazione delle droghe leggere. È un dibattito che investe il piano medico (visti gli studi sui probabili effetti negativi a lungo termine), quello sociologico, quello economico e soprattutto quello politico.
Sulla questione e sullo stato attuale della normativa, tuttavia, c’è ancora molta disinformazione.
La mancanza di una precisa scelta di politica criminale (nel senso della totale legalizzazione o della totale proibizione), non aiuta ad avere una idea precisa di cosa si intende per marijuana legale e quali ne sono gli usi consentiti.
Gli argomenti trattati in questo articolo sono:
- Cosa sono canapa, cannabis e marijuana legale
- Marijuana legale: cosa sono THC e CBD
- Marijuana legale: droghe e sostanze stupefacenti
- Quale differenza tra droghe leggere, pesanti e marijuana legale
- Qual è il quadro normativo sulla marijuana legale e illegale
- Coltivare e produrre marijuana legale o illegale?
- Marijuana legale: cosa si rischia a detenere marijuana
- Coltivazione domestica di marijuana legale
- La coltivazione e la produzione organizzata della marijuana legale
- Quale tipo di canapa consente la marijuana legale
- In quali settori è utilizzabile la marijuana legale
- Il problema della marijuana legale ad “uso ricreativo”
- Commercializzazione della marijuana legale: la sentenza della Cassazione
- Le aperture alla marijuana legale senza efficacia drogante
- Marijuana legale: cosa dice il Ministero dell’Interno
- In che modo è possibile produrre marijuana legale
- Cos’è la marijuana legale “di Stato” a fini terapeutici
COSA SONO CANAPA, CANNABIS E MARIJUANA LEGALE
Preliminarmente, occorre fare chiarezza terminologica su alcuni termini quali canapa, cannabis, marijuana, hashish, spinello.
Si parla di cannabis per indicare, attraverso il nome botanico scientifico, la canapa. Pianta del genere angiosperme, della famiglia delle cannabacee. Sativa, indica o ruderalis sono le sue specie.
La canapa (o cannabis) viene da sempre utilizzata (il primo ritrovamento di un manufatto in canapa risale a più di 9.000 anni fa) per molteplici usi:
- si ricavano fibre tessili (l’Italia è stata leader nella produzione di tessuti di canapa fino agli anni 50 del secolo scorso),
- prodotti alimentari (quali farine e semi, sottoposti ad una rigida normativa),
- carta e perfino prodotti per la bio-edilizia.
La cannabis contiene numerose sostanze chimiche, detti cannabinoidi, terpeni e flavonoidi. Tra i cannabinoidi i più conosciuti sono il THC ed il CBD. In particolare, queste sostanze si concentrano nelle infiorescenze.
Si parla di marijuana per indicare un particolare prodotto della cannabis, ottenuto dall’essiccazione delle infiorescenze, ove, come detto, si concentrano i cannabinoidi.
Si parla di marijuana legale “light” o marijuana light quando presenta un contenuto di THC particolarmente basso, come vedremo nei prossimi paragrafi.
La marijuana legale a fini terapeutici è prodotto che si ricava dalla cannabis che viene coltivata sotto strettissimi controlli allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze.
Si tratta, in particolare dei prodotti denominati Cannabis FM-2 (contenente THC 5% – 8% e CBD 7,5% – 12%) e Cannabis FM-1 (contenente THC 13,0-20,0%; CBD<1%). Viene utilizzata per curare o alleviare gli effetti di alcune patologie, tra le quali la sclerosi multipla, il dolore oncologico e cronico, la cachessia (perdita di peso in anoressia), HIV, glaucoma e sindrome di Tourette, nonché per ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia.
Altro prodotto della lavorazione della cannabis è l’hashish, ottenuto dall’estrazione della resina dei fiori, nella quale le concentrazioni di cannabinoidi sono maggiori.
Lo spinello o canna è uno dei modi con cui si può consumare hashish oppure marijuana legale o illegale.
MARIJUANA LEGALE: COSA SONO THC E CBD
THC e CBD sono composti chimici della cannabis, detti comunemente cannabinoidi.
Il THC (tetraidrocannabinolo) è una sostanza, contenuta nella cannabis ed in particolare nelle sue infiorescenze, che se assunta produce un effetto psicotropo. Capace cioè di modificare lo stato psicofisico dell’assuntore, alterandone i sensi (udito, vista e olfatto) e la percezione dello spazio e del tempo e rallentandone i riflessi.
Altri effetti sono euforia, rilassamento e stimolazione dell’appetito.
Nella marijuana legale (cosiddetta marijuana light legale), la concentrazione di THC è particolarmente bassa (valori prossimi allo zero), mentre nella marijuana illegale e nella marijuana legale a scopo terapeutico, tale valore sale fino a circa il 20%. Infine, l’hashish presenta una concentrazione di THC che va mediamente dal 20 al 60%.
Il CBD (cannabidiolo) è un metabolita, cioè un prodotto derivato dal processo di metabolizzazione della cannabis. Tale sostanza non è considerata stupefacente, benché abbia effetti, perlopiù benefici, sullo stato psicofisico dell’assuntore: ha effetti rilassanti, antinfiammatori e antidolorifici.
MARIJUANA LEGALE: DROGHE E SOSTANZE STUPEFACENTI
Quando si parla di “sostanza stupefacente” occorre distinguere l’ambito medico dall’ambito giuridico.
In ambito medico, una sostanza è stupefacente quando provoca effetti “psicotropi”, cioè in grado di alterare la condizione psicofisica dell’assuntore. In particolare, la molecola responsabile dell’alterazione psicofisica è chiamata “principio attivo”. La concentrazione di principio attivo determina la purezza della sostanza.
In ambito giuridico, si utilizza la medesima terminologia utilizzata in ambito medico, ma l’elenco delle sostanze stupefacenti è assai più ridotto: ai sensi del Testo Unico in materia di Stupefacenti (DPR n. 309/90 – scarica qui il testo), sono considerate stupefacenti solamente le sostanze indicate nelle tabelle allegate e che prendono il nome di droghe.
Non tutte le sostanze che hanno effetti psicotropi in ambito medico, sono considerate droghe o stupefacenti in ambito giuridico. Si pensi ad esempio, al caffè. Ha un effetto stimolante, in virtù del principio attivo della caffeina (1,3,7-trimetilxantina) sul sistema nervoso, ma non è indicata nella tabella legislativa, pertanto non è considerata come droga.
Al contrario, i derivati della cannabis (foglie ed infiorescenze, olio e resina) sono considerati sostanze stupefacenti, in quanto inseriti nella tabella II, a prescindere dal contenuto di THC.
QUALE DIFFERENZA TRA DROGHE LEGGERE, PESANTI E MARIJUANA LEGALE
Le sostanze stupefacenti sono comunemente divise in droghe pesanti e droghe leggere.
È considerata come droga pesante (Tabella I, III, IV) “ogni sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare dipendenza fisica o psichica” oppure “che possa provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali e tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale” (Tabella I).
La tabella III comprende i barbiturici che hanno notevole capacità di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe e altre sostanze ad effetto ipnotico-sedativo ad essi assimilabili.
Nella tabella IV sono inserite le sostanze per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità minori di quelli prodotti dalle sostanze elencate nelle tabelle I e III.
Sono considerate droghe leggere (Tabella II) la cannabis, i prodotti da essa ottenuti e le sostanze contenenti tali prodotti.
A livello normativo-sanzionatorio, la differenza tra droghe pesanti e leggere è prevista dall’art. 73 Testo Unico Stupefacenti. La pena prevista per lo spaccio di droghe pesanti è molto più grave di quella prevista per lo spaccio di droghe leggere.
La marijuana per essere liberamente commercializzata, non deve essere considerata una droga né leggera né pesante.
QUAL È IL QUADRO NORMATIVO SULLA MARIJUANA LEGALE E ILLEGALE
L’utilizzo della cannabis e dei suoi derivati è al centro di discussioni in ambito medico sanitario, sugli effetti dell’assunzione da parte dell’uomo, ma soprattutto in ambito politico e giuridico, sulla sua regolamentazione o proibizione.
In Italia, l’utilizzo della cannabis è regolato principalmente da:
- La Decisione quadro 2004/757/GAI del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti,
- il Decreto Legislativo n. 309 del 1990 (meglio conosciuto come testo unico in materia di stupefacenti,
- la legge n. 242 del 2016, che ne consente la coltivazione a determinate condizioni,
- il Decreto Ministeriale 09.11.2015 che regola la produzione e l’utilizzo della cannabis a fini terapeutici
Le prime due norme sono in (apparente) contraddizione, in quanto la prima vieta la coltivazione della cannabis e la commercializzazione dei prodotti da essa ricavati, mentre per la legge 242/16 vendita e coltivazione della canapa non solo sono consentiti, ma addirittura promossi, ad alcune condizioni e attenendosi a precisi obblighi.
COLTIVARE E PRODURRE MARIJUANA LEGALE O ILLEGALE?
Ai sensi dell’art. 17 e 26 del Testo Unico Stupefacenti, coltivare produrre, fabbricare, impiegare, importare, esportare, ricevere per transito, commerciare a qualsiasi titolo o comunque detenere per il commercio sostanze stupefacenti (cioè quelle identificate nella tabella allegata) è, in genere, vietato.
L’ art. 73 del Testo Unico Stupefacenti punisce “chiunque senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope”.
L’art. 75 invece punisce chi, “per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope”
Sebbene apparentemente simili, le due norme sono profondamente diverse. Entrambe le norme prevedono un lungo elenco di comportamenti, uniti dall’elemento comune della detenzione, seppur temporanea, di stupefacenti.
Ciò che le distingue, tuttavia, è la finalità di tale detenzione. L’art. 73 punisce la detenzione a fini di spaccio, mentre l’art. 75 punisce la detenzione per uso personale.
MARIJUANA LEGALE: COSA SI RISCHIA A DETENERE MARIJUANA
La differenza tra “uso a fine di spaccio” di cui all’art. 73 TU Stupefacenti e “uso personale” di cui all’art. 75 si riverbera sulle conseguenze sanzionatorie.
Difatti l’art. 73 è un reato e comporta la possibilità di affrontare un processo penale, e all’esito, la condanna alla reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.164 a euro 77.468.
L’art. 75 è invece un illecito amministrativo, punito, senza dovere affrontare un procedimento penale, con una o più delle seguenti sanzioni amministrative, per un periodo da uno a tre mesi:
- sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;
- sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla;
- sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;
- sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario”.
Vi sono poi due casi “intermedi”, pur se nell’ambito della responsabilità penale.
L’art. 73 comma 5 prevede l’ipotesi penalmente rilevante di spaccio di lieve entità, punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329, se il fatto commesso è considerabile “di lieve entità”, sulla base de “i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze”.
Infine, ai sensi dell’art. 131 bis codice penale, se lo spaccio è considerato di particolare tenuità, per le modalità della condotta, per l’esiguità del danno o del pericolo e se il comportamento non è abituale, allora il soggetto non è punibile e nessuna sanzione penale può essere comminata.
COLTIVAZIONE DOMESTICA DI MARIJUANA LEGALE
La coltivazione di cannabis costituisce illecito, indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza (ad esempio una pianta matura contiene maggiore THC di una pianta giovane). Essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.
Inoltre, secondo la Corte Costituzionale, anche la semplice coltivazione di cannabis può essere considerata pericolosa di per sé, poiché arricchisce la provvista esistente di materia prima e crea potenziali occasioni di spaccio.
Detto questo, occorre precisare che la Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza del 19.12.2019 si è espressa sulla coltivazione “domestica” di piante di cannabis, dalle quali sia possibile estrarre sostanze stupefacenti, stabilendo che non sono punite penalmente “le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”. Pertanto la Cassazione ritiene che la coltivazione di pochissime piante di cannabis in forma domestica, rientri nell’alveo dell’”uso personale” e quindi soggetto non alla sanzione penale dell’art. 73, ma a quella amministrativa dell’art. 75 Testo Unico Stupefacenti.
LA COLTIVAZIONE E LA PRODUZIONE ORGANIZZATA DELLA MARIJUANA LEGALE
Il divieto generale della coltivazione di canapa nel territorio italiano, ex art. 26 Testo Unico Stupefacenti, conosce alcuni limiti.
- La canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre, ed esclusivamente per altri usi industriali, eccezione in cui si inserisce la legge 242/2016;
- La coltivazione di canapa e la produzione della marijuana legale è possibile da parte di istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali di ricerca, alla coltivazione delle piante sopra indicate per scopi scientifici, sperimentali o didattici.
- La coltivazione di canapa a scopo terapeutico, affidata unicamente allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze.
Si precisa che, allo stato della normativa, non sussiste alcuna legalizzazione marijuana in Italia, ma sono previste solamente alcune tassative ipotesi che fanno da eccezione ad un divieto generale di produzione e detenzione.
Altro limite del generale divieto di coltivazione, sta nella Legge sulla cannabis n. 242/2016 che permette la coltivazione della canapa (cannabis sativa l.) anche da parte di soggetti privati, con il fine di “contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione”.
Quindi è stata depenalizzata la coltivazione di cannabis? Per rispondere a questa domanda, si precisa che coltivare marijuana è legale solo ad alcune condizioni:
- dipende dalla varietà di canapa coltivata.
- dipende dall’impiego delle piante di canapa.
QUALE TIPO DI CANAPA CONSENTE LA MARIJUANA LEGALE
In primo luogo, non tutte le varietà di canapa sono coltivabili legalmente. Coltivare marijuana legale è possibile solamente se si utilizzano sementi certificate delle varietà di canapa iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (scaricabile a questo indirizzo), ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, le quali presentano mediamente una concentrazione di THC inferiore allo 0,2% e che sono pertanto escluse dall’applicazione del testo unico in materia di stupefacenti.
Di controverso, la coltivazione di varietà di canapa che non rientrano nell’elenco del Catalogo, costituisce reato ai sensi dell’art. 73 del Testo unico in materia di stupefacenti.
Ciò che distingue le varietà ammesse da quelle vietate è infatti la concentrazione “media” di THC. Tuttavia, visto che nelle singole piante la concentrazione di THC può variare (ad esempio, alcune piante possono avere una concentrazione eccezionalmente superiore rispetto alla media della specie, oppure una maturazione prolungata può far aumentare i livelli di principio attivo) e visto che questa è una circostanza imprevedibile per il coltivatore, la legge pone due soglie di “tollerabilità” in base alla percentuale THC legale (calcolata cioè, in base alla legge, in milligrammi su grammo di sostanza).
se dai controlli in concreto, la concentrazione di THC risulta superiore allo 0,2% ma inferiore allo 0,6% percentuale THC legale, al coltivatore non è imputabile alcuna responsabilità (art. 4 comma 5 Legge sulla cannabis n. 242/2016).
se invece dai controlli in concreto risulta un valore maggiore del 0,6 percentuale THC legale, il coltivatore non è ugualmente responsabile, ma l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa (art. 4 comma 7 Legge sulla cannabis n. 242/2016).
Si precisa che la responsabilità è esclusa a patto che il coltivatore si attenga alle altre prescrizioni indicate nella legge sulla cannabis n. 242, di cui parliamo nei paragrafi successivi, ed ovviamente a patto che non si adoperi in operazioni al fine di innalzare i “naturali” livelli di THC.
IN QUALI SETTORI È UTILIZZABILE LA MARIJUANA LEGALE
Dalla canapa è possibile non solo la coltivazione, ma anche la sua trasformazione in prodotti da commercializzare, ma non è consentita la commercializzazione tout court.
Nei paragrafi precedenti, abbiamo detto che la coltivazione della canapa è possibile per motivi di ricerca, per fini terapeutici, e nell’ambito privato del settore agroindustriale, per la produzione di fibre, e se finalizzata all’utilizzo nei settori produttivi indicati (art. 2 Legge sulla cannabis n. 242/2016):
- alimenti (ad esempio semi e farine) e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;
- semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico. L’uso della canapa come biomassa ai fini energetici è consentito esclusivamente per l’autoproduzione energetica aziendale;
- materiale destinato alla pratica del sovescio;
- materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;
- materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;
- coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;
- coltivazioni destinate al florovivaismo.
IL PROBLEMA DELLA MARIJUANA LEGALE AD “USO RICREATIVO”
La commercializzazione dei prodotti derivati della cannabis per i settori produttivi indicati all’articolo 2 è quindi possibile.
Il problema si pone per i prodotti che non rientrano nei settori indicati nell’articolo 2. È il caso della marijuana a “scopo ricreativo”, cioè al di fuori della necessità terapeutica.
Spesso si sente parlare di percentuale thc legale. Cosa vuol dire? Vuol dire che, essendo il thc (tetraidrocannabinolo) il principio attivo responsabile dell’effetto “drogante”, la vendita della marijuana potrebbe essere consentita solo per quel prodotto che presenta una concentrazione di thc talmente basso da non potersi considerare come “droga”.
COMMERCIALIZZAZIONE DELLA MARIJUANA LEGALE: LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
In giurisprudenza si sono avuti tre orientamenti.
Un primo orientamento, radicalmente esclude la commercializzazione dei derivati della coltivazione della cannabis, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste all’art. 2 della Legge sulla cannabis n. 242 e dell’ipotesi di finalità terapeutica o di ricerca. Pertanto, secondo questa interpretazione, non sarebbe possibile parlare di percentuale THC legale.
Un secondo orientamento, minoritario, ammette la commercializzazione della marijuana legale, sulla base del fatto che, se ne è consentita la coltivazione, deve esserne consentita “a cascata” anche la commercializzazione, anche ad uso ricreativo, purché la marijuana legale contenga una quantità di principio attivo inferiore allo 0,6%. Pertanto la percentuale thc legale sarebbe dello 0,6%.
Un terzo orientamento, consente la commercializzazione, purché la marijuana legale non presenti una concentrazione di THC superiore allo 0,2%. Pertanto la percentuale thc legale sarebbe dello 0,2%.
La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 30475 del 30 maggio 2019, qualifica l’articolo 2 della legge 242/2016 come norma eccezionale rispetto alla regola generale stabilita dall’art. 26 Testo Unico Stupefacenti, e quindi da interpretarsi in senso restrittivo. Ne deriva la tassatività del relativo elenco, per cui la commercializzazione e la lavorazione della cannabis è consentita solo se rientra nella filiera produttiva di uno dei settori espressamente richiamati.
Al di fuori di questi, non è consentita la produzione di prodotti (foglie, infiorescenze, olio e resina). È inoltre vietata la commercializzazione della cannabis, indipendentemente dalla concentrazione di THC.
Possono quindi ricavarsi alimenti, tessuti, prodotti cosmetici e per l’edilizia, ma non hashish e marijuana, a scopo ricreativo.
In caso contrario, si rischia di commettere uno dei reati previsti dall’art. 73 del Testo unico in materia di stupefacenti.
Peraltro, le due soglie di tollerabilità che abbiamo visto nel punto precedente (cioè di concentrazione di THC dello 0,2% e 0,6%), valgono solamente per il “coltivatore” e non per il produttore o il commerciante, che quindi rischiano un procedimento penale per traffico di stupefacenti, nel caso in cui vendano marijuana, hashish o altri derivati della canapa non consentiti, si ribadisce, a prescindere dal valor di THC.
LE APERTURE ALLA MARIJUANA LEGALE SENZA EFFICACIA DROGANTE
Tuttavia, la esaminata sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, in virtù del principio di offensività, concede un’apertura a quelle condotte di produzione e commercializzazione di quei prodotti derivati dalla cannabis (tra i quali marijuana, hashish ed in genere le foglie, le infiorescenze, la resina e l’olio) che siano in concreto (quindi alla luce della valutazione del giudice nel caso specifico) privi di efficacia drogante.
Quindi, secondo la Cassazione a Sezioni Unite è fuorviante parlare di percentuale THC legale. Ciò che rende la marijuana legale, non è la concentrazione del principio attivo, ma l’idoneità della sostanza a produrre, in concreto, l’effetto drogante-psicotropo sull’utilizzatore.
Individuare una soglia precisa oltre la quale si produce l’effetto psicotropo, è compito impossibile, anche solo per il fatto che questo dipende da numerosi fattori, in primis dalle condizioni fisiche dell’utilizzatore. La stessa quantità di sostanza assunta da una persona di 100 kg ha effetti diversi se assunta da una persona di 50 kg. Varia anche con il variare dello stato di salute, dal livello di “tolleranza” e persino dall’essere a stomaco pieno o vuoto.
L’effetto psicotropo, conseguente all’assunzione di THC può variare non solo da persona a persona, ma anche per lo stesso soggetto.
Possiamo quindi definire la marijuana legale light, quella che ha una concentrazione di THC talmente bassa da escludere l’effetto drogante. Ma ad oggi non esiste una norma che individui con precisione il limite thc legale.
MARIJUANA LEGALE: COSA DICE IL MINISTERO DELL’INTERNO
Un dato “ufficiale” di riferimento per stabilire la percentuale THC legale, si ritrova nella Circolare del Ministro dell’Interno del 31 luglio 2019 (“Aspetti giuridico-operativi connessi al fenomeno della commercializzazione delle infiorescenze della canapa tessile a basso tenore di THC e relazioni con la normativa sugli stupefacenti”).
Dopo avere ribadito la posizione della Cassazione, secondo cui la L. n. 242/2016 non prevede la vendita delle infiorescenze per consumo personale attraverso il fumo o altra analoga modalità di assunzione, e che l’esimente della soglia inferiore al 0,6% si applica solamente al coltivatore (ma non al commerciante), il Ministero rende noto che “le infiorescenze con tenore superiore allo 0,5% rientrano nella nozione di sostanze stupefacenti” e “per la cannabis, sia la tossicologia forense che la letteratura scientifica individuano tale soglia attorno ai 5 mg di THC che in termini percentuali equivalgono allo 0,5%”.
È pertanto possibile provare a qualificare tale percentuale come il valore-soglia per la commercializzazione della marijuana legale light (o marijuana light).
La circolare individua anche le indicazioni operative per i controlli delle Forze dell’ordine presso i vari esercizi commerciali, indicando agli elementi “sospetti” sulla base dei quali effettuare controlli e sequestri. In particolare, gli accertamenti si devono indirizzare sulle infiorescenze vendute senza etichetta, sfuse, o in confezioni anonime, in confezioni dissigillate, su estratti oleosi per i quali non è riportata la concentrazione di THC, piante di cannabis senza indicazione della certificazione.
Nonostante la circolare del Ministero dell’Interno, che pare fissare il valore-soglia di THC nella marijuana legale al 0,5%, i problemi interpretativi rimangono.
Peraltro, la stessa Cassazione non esclude che, vista la apparente contraddittorietà delle norme (da una parte il testo unico stupefacenti, dall’altra la legge 242/2016) e la mancanza di riferimenti certi e definitivi, in questa materia sia possibile l’applicazione della scusante dell’errore “inevitabile” della legge penale.
IN CHE MODO È POSSIBILE PRODURRE MARIJUANA LEGALE
La coltivazione della cannabis, quando pacificamente ammessa dalla legge 242 del 2016, non richiede autorizzazione (art. 2 Legge 242/2016) richiesta, invece, per la coltivazione di canapa ad alto contenuto di delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) a scopo di ricerca o medico.
Il coltivatore può acquistare solo sementi la cui varietà sia certificata e deve poi attenersi alle prescrizioni dell’art. 3, cioè di conservare i cartellini della semente acquistata per almeno dodici mesi, e conservare le fatture di acquisto della semente per il periodo previsto dalla normativa vigente.
Sono poi possibili i controlli del Corpo Forestale dello Stato (art. 4 Legge 242/2016) sull’adempimento delle prescrizioni imposte e sulla concentrazione del principio attivo nelle piante coltivate. In particolare, come già detto nei paragrafi precedenti:
- fino a 0,2%: il coltivatore non incorre in responsabilità e può accedere agli incentivi previsti dalla normativa europea, conformemente a quanto stabilito dalla normativa europea e, in particolare, dal regolamento delegato (UE) n. 639/2014 della Commissione che integra il Regolamento (UE) n.1307/2013 del Parlamento europeo (secondo cui, all’art. 32 comma 6 “le superfici utilizzate per la produzione di canapa sono ettari ammissibili solo se il tenore di tetraidrocannabinolo delle varietà coltivate non supera lo 0,2 %”) e del Consiglio recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune e che modifica l’allegato X di tale regolamento, così come modificato dal Regolamento delegato n. 2017/1155 della Commissione del 15 febbraio 2017.
- da 0,2% a 0,6%: il coltivatore non può beneficiare del sostegno economico messo a disposizione dalla Ue, ma è esclusa la sua responsabilità, se ha adempiuto alle prescrizioni previste.
- sopra lo 0,6% l’autorità giudiziaria può sequestrare o distruggere le piante, ma il coltivatore che abbia adempiuto alle prescrizioni resta comunque esente da responsabilità.
Le importazioni a fini commerciali di piante di canapa da altri paesi non rientrano nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016 e, in ogni caso, devono rispettare la normativa dell’Unione europea e nazionale vigente in materia.
COS’È LA MARIJUANA LEGALE “DI STATO” A FINI TERAPEUTICI
Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, le coltivazioni di cannabis al fine di ottenerne prodotti farmaceutici non sono consentite ai soggetti privati.
Oltre alla marijuana illegale (cioè quella contenente elevata percentuale di THC) e la marijuana legale “light” o marijuana light (cioè quella a bassissima concentrazione di THC, tale da escluderne l’”effetto drogante”) esiste un terzo tipo di marijuana legale, che pur contenendo alte dosi di THC, è utilizzata, legittimamente, a fini terapeutici.
In particolare, viene utilizzata sotto stretta sorveglianza del medico, per curare alcune patologie o attenuare gli effetti collaterali della chemioterapia.
L’accesso ai prodotti a base di cannabis a fini terapeutici è possibile sia tramite i farmaci importati da paesi esteri, sia tramite preparazioni magistrali, da richiedere in farmacia e previa ricetta medica ex art. 5 del Decreto legge 1 febbraio 1998, n. 23.
La produzione e l’utilizzo della cannabis a fini terapeutici è regolato dal D.M. del 9 novembre 2015. Questo individua:
- le funzioni del Ministero della Salute: rilascia il provvedimento di autorizzazione alla coltivazione delle piante di cannabis da utilizzare per la produzione di medicinali; individua le aree da destinare alla coltivazione; importa, esporta e distribuisce sul territorio nazionale le scorte di piante, e ne autorizza l’importazione, l’esportazione, la distribuzione all’ingrosso e il mantenimento.
- le quote di fabbricazione di sostanza attiva di origine vegetale a base di cannabis. Esse sono determinate dal Ministero della Salute, sulla base delle richieste delle Regioni e delle Province autonome, chiamate a stimare il fabbisogno dei pazienti in trattamento.
- le prescrizioni e le garanzie dell’autorizzazione alla fabbricazione,
- l’appropriatezza delle prescrizioni,
- il tipo di patologie per cui è consentito l’uso di prodotti derivati dalla cannabis,
- il sistema di sorveglianza sulle piante,
- i costi di produzione.
Nel settembre 2014, tra i Ministri della Salute e della Difesa, è stato stipulato un accordo per l’avvio di un progetto pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis con l’obiettivo di garantirne l’unitarietà e la sicurezza e di evitare il ricorso a prodotti non autorizzati, contraffatti o illegali. In tale accordo, la coltivazione di cannabis e la produzione di marijuana legale a fini terapeutici è stata assegnata (e successivamente confermata con il D.L. 148/2017) allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, autorizzato alla fabbricazione di infiorescenze di cannabis secondo le direttive dell’Unione Europea, alla coltivazione e alla trasformazione della cannabis in sostanze e preparazioni vegetali per la successiva distribuzione alle farmacie, al fine di soddisfare il fabbisogno nazionale di tali preparazioni e per la conduzione di studi clinici.
Per una consulenza specifica in un caso concreto, la sede dello Studio Legale Berti e Toninelli è in Piazza Garibaldi n. 5 a Pistoia. Offriamo assistenza e consulenza su tutto il territorio nazionale, in particolare presso i Tribunali di Pistoia, Prato, Firenze e Lucca. Per contattarci, potete utilizzare questo link.