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La riforma del terzo settore

La riforma del terzo settore

La normativa di associazioni ed enti che operano nel terzo settore

Oltre al primo settore e al secondo settore, quando si parla di “riforma del terzo settore” o “legge sul terzo settore” intendiamo fare riferimento a quel complesso di interventi normativi in ambito economico-politico, che afferiscono al settore delle politiche sociali e assistenziali, volti alla promozione, allo sviluppo ed all’incremento della solidarietà sociale e dei principi che sono cardine e baluardo della Costituzione repubblicana. Ad esempio,  sono coinvolte le organizzazioni di volontariato più importanti.
La riforma del terzo settore ha preso le mosse dalla legge delega n. 106/2016 e si occupa di fornire una organica normativa alle associazioni ed agli enti privati che non hanno fine di lucro e perseguono finalità sociali. In particolare, la riforma del terzo settore si muove in tre direzioni:

  • revisione del codice civile circa la normativa di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o non riconosciute;
  • redazione di un apposito codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017);
  • revisione della normativa delle associazioni e degli enti in materia di impresa sociale e di servizio civile nazionale.

Quali tipi di associazione sono coinvolti dalla riforma del terzo settore? Con quali modalità è possibile lavorare nel terzo settore?
L’articolo descrive anche quali sono gli incentivi fiscali per i tipi di associazione e di enti che operano nel terzo settore.
Le amministrazioni pubbliche poi sono invitate ad istaurare convenzioni, a cui accedere mediante bandi per il terzo settore.
In questo contributo, gli argomenti sono:


RIFORMA DEL TERZO SETTORE: COSA SI INTENDE PER “TERZO SETTORE”

L’art. 1 della legge delega 106/2016 definisce il terzo settore come “il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.
Nell’ambito dei servizi alla persona, il cosiddetto terzo settore si affianca al primo settore e al secondo settore.
Il primo settore concerne quei servizi erogati dalla pubblica amministrazione (Stato, Regioni, Enti Locali …) considerati essenziali.
Il secondo settore concerne i servizi erogati da società e imprese private, le quali operano però all’interno del mercato e con scopo di lucro.
Oltre al terzo, secondo e primo settore, si parla anche di un quarto settore, per identificare l’attività delle società benefit, di cui abbiamo parlato in questo articolo.
Il terzo settore identifica quindi il complesso degli enti che, senza scopo di lucro, integrano il sistema di welfare fornito dalla pubblica amministrazione, ad esempio le organizzazioni di volontariato più importanti.


COME È AVVENUTA LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

La riforma del terzo settore è avvenuta piuttosto recentemente, soprattutto con l’emanazione del decreto legislativo n. 117/2017, il quale ha dato attuazione alla legge delega n.106/2016, dando vita a quello denominato “Codice del Terzo Settore”.
Di tal guisa, il legislatore ha provveduto a riordinare e modificare la normativa per associazioni e per enti vigente in materia, giungendo a definire per la prima volta nel nostro Ordinamento giuridico il perimetro del terzo settore, nonché i tipi di associazione e gli enti che ne fanno parte.

Fra le principali novità introdotte dalla legge del terzo settore, agli articoli 45 e seguenti vi è l’istituzione del registro unico nazionale del terzo settore (RUNTS) entro il quale tutti gli enti del terzo settore (ETS) devono iscriversi affinché possano operare beneficiando delle numerose agevolazioni previste con la riforma del terzo settore. Inoltre, sono stati altresì introdotte nuove forme di controllo volte a fare sì che la forma di ente del terzo settore non venga fraudolentemente impiegata da tipi di associazione che, in realtà, appartengono all’area del profit. Ulteriori novità apportate dalla riforma del terzo settore consistono nella previsione di nuove forme di partenariato che possono crearsi fra enti del terzo settore e pubbliche amministrazioni per mezzo della stipula di apposite convenzioni.


COSA SI INTENDE PER “ENTE DEL TERZO SETTORE” ALLA LUCE DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Fra le principali novità introdotte dalla riforma del terzo settore vi è la figura dell’ente del terzo settore (ETS), la quale identifica una nuova qualifica giuridica, costituita per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, senza scopo di lucro, mediante lo svolgimento in via principale ancorché non esclusiva, di una o più attività di interesse generale.
Ai fini dell’acquisizione di detto status, non rileva il possesso o meno della personalità giuridica. Con la riforma del terzo settore, gli ETS hanno sostituito la forma delle Onlus e consistono in denominazioni generiche che non escludono all’ente stesso la possibilità di specializzarsi e assumere qualifiche tipiche. Ciò che caratterizza gli enti del terzo settore, alla luce della riforma del terzo settore, è il divieto di distribuire, anche solo indirettamente, utili, avanzi di gestione, fondi e riserve a fondatori, associati, lavoratori e collaboratori (salvo parziali deroghe nel caso delle imprese sociali).


QUALI SONO I TIPI DI ASSOCIAZIONE DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Con la legge del terzo settore sono stati ridefiniti i confini di operatività degli enti del terzo settore e identificati gli enti e i tipi di associazione che possono operare nel terzo settore, beneficiando delle agevolazioni previste dalla riforma.
Ai sensi dell’art. 4 del Codice del Terzo Settore, sono Enti del Terzo Settore, purché iscritti nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore:

  • le organizzazioni di volontariato (ODV) (art. 32 legge terzo settore) Ad esempio, le organizzazioni di volontariato più importanti: Save the children Onlus, Unicef, Fondazione AVSI…;
  • le associazioni di promozione sociale (APS) (art. 35 legge terzo settore). Si tratta di tipi di associazione, già regolate dalla legge 383/2000, che svolgono attività di interesse generale in favore degli associati e dei loro familiari;
  • gli enti filantropici (art. 37 legge terzo settore);
  • le imprese sociali, incluse le cooperative sociali (d.lgs. 112/2017);
  • le reti associative (art. 41 legge terzo settore);
  • le società di mutuo soccorso (SOMS) (legge 3818/1886);
  • le associazioni riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società e costituiti, senza scopo di lucro, per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in forma esclusiva o comunque principale, di una o più delle attività di interesse generale previste dall’art.5 della legge sul terzo settore;
  • gli enti religiosi civilmente riconosciuti limitatamente allo svolgimento delle attività di interesse generale.


QUALI ENTI SONO ESCLUSI DALLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Alla luce dell’art. 4 del decreto di riforma del terzo settore, non possono essere enti del terzo settore:

  • le amministrazioni pubbliche;
  • le associazioni e le formazioni politiche;
  • i sindacati;
  • le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche;
  • gli enti sottoposti a coordinamento o controllo di taluna delle forme associative sopra elencate.


QUALI REQUISITI RICHIEDE LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE PER RICONOSCERE I TIPI DI ASSOCIAZIONE

In ogni caso, anche gli enti idonei a fare parte della categoria del terzo settore, alla luce della recente riforma del terzo settore, possono comunque perdere tale status, allorquando venga meno uno dei requisiti richiesti dalla legge del terzo settore ai fini del riconoscimento. Infatti, la qualifica di ente terzo settore comporta l’onere di adempiere a una serie di obblighi, cioè:

  • l’iscrizione al registro unico nazionale del terzo settore RUNTS (art. 11 legge terzo settore);
  • l’uso della denominazione sociale “ente del terzo settore” o dell’acronimo ETS in ogni comunicazione o atto avente carattere pubblicistico (art. 12 legge terzo settore). Peraltro, i tipi di associazione che non appartengono al terzo settore, non possono spendere tale denominazione;
  • la tenuta delle scritture contabili e la redazione del bilancio con modalità diverse a seconda dei tipi di associazione (art. 13 codice terzo settore e seguenti);
  • il rispetto dei CCNL (contratti collettivi nazionali di lavoro) in ordine alla retribuzione dei lavoratori (art. 16 codice terzo settore);
  • il divieto di distribuire utili e proventi fra soci (art. 8 codice terzo settore);

Gli enti religiosi civilmente riconosciuti devono inoltre adottare un regolamento che recepisca la normativa sulle associazioni del terzo settore di cui alla legge di riforma del terzo settore. Tale regolamento deve avere la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, e deve essere depositato nel Registro Unico NTS.


QUALI ATTIVITÀ SVOLGONO GLI ENTI DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Le attività ammesse per lavorare nel terzo settore sono definite “di interesse generale” e sono indicate all’articolo 5 del codice. Si tratta di un lungo elenco, di carattere tassativo, che può essere aggiornato. Si va dagli interventi e sevizi sociali, ai servizi sanitari, alla formazione professionale, alla ricerca scientifica, alla salvaguardia dell’ambiente, alla valorizzazione del patrimonio culturale.
È possibile lavorare nel terzo settore, ad esempio, nel campo dell’accoglienza umanitaria, dell’agricoltura sociale, dell’organizzazione di attività sportive dilettantistiche.
È inoltre consentito lavorare nel terzo settore promuovendo la cultura della legalità, dei diritti umani, dei diritti dei consumatori.
Inoltre, è possibile lavorare nel terzo settore anche svolgendo attività diverse da quelle indicate all’art. 5, a tre condizioni (art. 6). Le attività devono essere:

  • consentite dall’atto costitutivo o dallo statuto,
  • secondarie rispetto alle attività di interesse generale,
  • strumentali rispetto alle prime.


RIFORMA DEL TERZO SETTORE: QUALE REGIME FISCALE SI APPLICA

Una delle più rilevanti novità introdotte dalla riforma del terzo settore è quella contenuta nell’art. 79 del Codice del Terzo Settore, in ordine alle agevolazioni fiscali alle quali possono accedere gli enti del terzo settore.
Prioritario è distinguere se si tratta di ente del terzo settore commerciale o non commerciale, sulla base delle entrate che esso ha registrato durante l’esercizio della propria attività.
In particolare, si considera commerciale (art. 79 comma 5) l’ETS che svolge le attività di interesse generale (art. 5) e le attività diverse strumentali (art. 6), in forma di impresa, ricavandone proventi che superano quelli delle attività non commerciali.
Per contro, si considera non commerciale l’ETS che svolgono in via esclusiva o principale le attività di interesse generale (art. 5).
Al fine di chiarire la natura commerciale o non commerciale dell’ETS, occorre quindi considerare il carattere commerciale o non commerciale della singola attività di interesse generale svolta dall’ente, così da determinare il reddito imponibile sul quale saranno calcolate le imposte da versare.
L’art. 79 Codice del Terzo Settore individua una serie di attività che sono ex sé non commerciali, vale a dire:

  • attività di interesse generale svolte a titolo gratuito;
  • attività di interesse generale svolte dietro diretto versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi (intendendosi per tali costi di diretta imputazione e quelli indiretti afferenti l’attività svolta);
  • attività di interesse generale i cui ricavi non superano il 5% dei relativi costi per ogni periodo d’imposta e per non oltre due periodi d’imposta consecutivi;
  • attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale;
  • interventi, servizi sociali, prestazioni socio-sanitarie i cui utili sono reinvestiti in dette attività.

Definita la natura commerciale o non commerciale della singola attività, si delinea il tipo di tassazione al quale dovranno essere sottoposti i redditi dell’ente. Infatti, per gli enti non commerciali sono tassati i soli ricavi derivanti da attività di interesse generale svolte con modalità commerciali e la riforma del terzo settore al riguardo prevede un regime forfetario. Se, viceversa, si tratta di enti del terzo settore che svolgono attività commerciali, occorre compilare il modello Irap e dichiarare nel modello unico i redditi conseguiti nell’esercizio.


COS’È IL REGIME FORFETARIO DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

L’art. 80 Del Codice del Terzo Settore prevede che agli enti del terzo settore non commerciali possa essere applicato un regime agevolato, sia per quanto concerne i ricavi delle attività di interesse generale svolte con modalità commerciali, sia in ordine ai ricavi delle attività diverse.
Alla luce di detta facoltà, la riforma del terzo settore identifica dei coefficienti di redditività, che variano dal 7% al 17%, a seconda della soglia dei ricavi e in relazione al tipo di attività quale prestazioni di servizi ovvero altre attività.
Ai redditi così individuati, devono poi aggiungersi gli ulteriori redditi eventualmente ricavati dall’ente non commerciale, sotto forma di plusvalenze patrimoniali, sopravvenienze attive, dividendi o proventi immobiliari.
Se l’ente non commerciale esercita sia attività di prestazione di servizi che altre attività, dovrà applicare il coefficiente di redditività inerente la categoria il cui ricavo registra l’ammontare prevalente e, nel caso di omessa indicazione, la riforma del terzo settore applica la presunzione di prevalenza all’attività di prestazione di servizi.
Per poter accedere al regime forfetario (art. 80 comma 3), l’ente del terzo settore non commerciale deve esercitare la relativa opzione nella dichiarazione dei redditi ovvero, se ente di nuova costituzione, direttamente nella dichiarazione di inizio attività ai fini Iva. La dichiarazione ha effetto dall’inizio del periodo di imposta nel quale è effettuata e sino a che non interviene un’eventuale revoca. La revoca non è comunque ammessa prima che sia decorso un triennio dall’esercizio dell’opzione.
In merito al regime fiscale, particolari disposizioni sono dettate per le organizzazioni di volontariato ed enti filantropici (art. 84 e 86 legge terzo settore) e per le associazioni di promozione sociale (art. 85 e 86 legge terzo settore)


COS’È L’OBBLIGO DI TENUTA DELLE SCRITTURE CONTABILI PER GLI ENTI DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

La riforma del terzo settore prevede specifiche disposizioni per la tenuta e conservazione delle scritture contabili per gli enti del terzo settore, distinguendo a seconda che si tratti di ETS commerciali o non commerciali.
In particolare, ai sensi dell’art. 13, gli enti commerciali (che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale) devono tenere le scritture contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile.

Ai sensi dell’art. 87 della legge sul terzo settore (codice del terzo settore) gli enti non commerciali del terzo settore che non applicano il regime forfetario, devono redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche per l’attività complessivamente svolta, che esprimono in maniera precisa e dettagliata le operazioni realizzate in ogni periodo d’imposta, rappresentando con voci distinte in bilancio le attività di interesse generale da quelle diverse. La riforma del terzo settore considera detti oneri assolti positivamente anche mediante la tenuta del libro giornale (art. 2216 cod. civ) e del libro inventari (art. 2217 cod. civ.).
Inoltre, per quanto riguarda le sole attività commerciali, gli ETS non commerciali hanno l’onere di tenere le scritture contabili semplificate previste per le imprese minori (art. 18 D.P.R. 600/73), ove annotare cronologicamente i ricavi percepiti dando per ognuno indicazione del relativo importo, delle generalità di colui che ha effettuato il pagamento e riportando gli estremi della fattura emessa.
Parimenti, gli enti che in un anno hanno conseguito proventi inferiori a 220.000 euro possono adempiere a tale obbligo mediante la tenuta del solo rendiconto per cassa.
Occorre, inoltre, che gli enti registrino in apposita voce di bilancio un rendiconto inerente le raccolte pubbliche di fondi, correlate all’indicazione dei costi sostenuti per percepirle.
Gli enti del terzo settore commerciali, invece, ai sensi della riforma del terzo settore, sono tenuti a tenere le scritture contabili previste dal codice civile come obbligatorie per tutte le imprese commerciali, oltre che depositare il bilancio di esercizio presso il registro delle imprese.
Entro tre mesi dall’assunzione dello status, l’ETS commerciale deve inserire nell’inventario i beni facenti parte del suo patrimonio.


QUAL È IL PATRIMONIO DEGLI ETS DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Quando si parla di patrimonio, intendiamo fare riferimento al complesso di diritti, beni mobili e immobili che un ente possiede.
Gli enti del terzo settore devono avere un proprio patrimonio, impiegato per lo svolgimento dell’attività di interesse generale che persegue, secondo quanto previsto nello statuto (art. 4 comma 3).
Inoltre, per quanto concerne gli enti del terzo settore dotati di personalità giuridica, la legge del terzo settore consente loro di istituire uno o più patrimoni destinati a uno specifico affare (art. 10 codice terzo settore), il quale saranno soggetti alla disciplina ex art. 2447 bis e seguenti cod. civ.
La delibera di creazione di un patrimonio destinato a uno specifico affare, nel limite del 10% del patrimonio netto dell’ente, deve essere adottata con la maggioranza assoluta dell’organo di amministrazione (art. 2447 ter cod. civ.) deve essere depositata e registrata nel registro unico NTS.
Onde evitare abusi dei privilegi fiscali previsti per gli enti del terzo settore, la riforma del terzo settore prevede che, al momento dello scioglimento dell’ente, il suo patrimonio sia devoluto a vantaggio di altro ente del terzo settore, oppure alla Fondazione Italia Sociale (art. 9 codice terzo settore). In tali ipotesi, la legge del terzo settore dispone che l’ente che intende cessare la propria attività, ne dia comunicazione all’Ufficio Regionale del RUNTS (o provinciale presso le province autonome) che deve esprimere entro 30 giorni un parere sul piano di devoluzione prospettato dall’ente.
Se l’ufficio adito non si pronunzia nei 30 giorni, si applica la regola del “silenzio-assenso”. Gli atti di devoluzione del patrimonio compiuti in difformità al parere del registro unico nazionale del terzo settore sono nulli (art. 9 codice terzo settore) ed espongono i rappresentanti legali e i componenti amministrativi dell’ente a una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 1.000 euro a 5.000 euro (art. 91 comma 2 codice terzo settore).


COSA CARATTERIZZA GLI ENTI DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Uno degli elementi caratterizzanti gli enti del terzo settore è l’assenza dello scopo di lucro. Ciò significa che tutto il patrimonio degli ETS deve essere impiegato per consentire lo svolgimento dell’attività statuaria in vista del perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Di conseguenza, è fatto divieto di distribuire, anche solo indirettamente, gli utili, i ricavi, gli avanzi di gestione e le altre riserve comunque denominate a fondatori, associati, lavoratori, collaboratori o membri degli organi sociali (art. 8 comma 2 codice terzo settore). Tale preclusione è assoluta, operando con riguardo a tutti gli enti del terzo settore, con parziali attenuazioni per quanto concerne le imprese sociali. Per rendere maggiormente pregnante il divieto, la riforma del terzo settore ha previsto 5 ipotesi che danno luogo ex sé a fattispecie di distribuzione indiretta degli utili, ossia (art. 8 comma 3):

  1. pagamento ad amministratori, sindaci e soggetti aventi cariche sociali di compensi individuali non equilibrati all’attività svolta, alle responsabilità assunte o alle competenze rivestite e, comunque, eccedenti gli importi percepiti da soggetti operanti in enti affini a quello considerato;
  2. pagamento a lavoratori di retribuzioni e compensi superiori del 40% a quelli previsti dal ccnl;
  3. acquisto di beni o servizi per corrispettivi superiori al loro valore di mercato;
  4. cessione di beni o prestazioni di servizi a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, a vantaggio di soci, collaboratori, associati o partecipanti;
  5. corresponsione a soggetti diversi dalle banche o intermediari finanziari autorizzati, di interessi passivi superiori di 4 punti al tasso annuo di riferimento.


QUALI FORME DI ACCESSO AL CREDITO SONO PREVISTE DALLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

La riforma del terzo settore riconosce a vantaggio degli ETS strumenti finanziari non speculativi, funzionali al sostentamento di tali enti nel perseguimento delle attività di interesse generale. Fra gli strumenti di sviluppo degli enti del terzo settore previsti dalla riforma del terzo settore vi sono:

  • l’accesso al credito agevolato,
  • il riconoscimento di crediti privilegiati,
  • il regime fiscale agevolato per il social lending,
  • i titoli di solidarietà.

L’accesso al credito agevolato (art. 67 codice terzo settore) permette il riconoscimento a favore delle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato che operano in convenzione con la pubblica amministrazione per il perseguimento di attività di interesse generale, la possibilità di fruire di forme di agevolazione creditizia o fideiussoria.

Il riconoscimento dei crediti privilegiati (art. 68 legge terzo settore) consente alle associazioni di promozione sociale e agli organizzazioni di volontariato di vantare un credito nei confronti del proprio debitore la cui soddisfazione è prioritaria rispetto a quella degli altri creditori chirografari, a eccezione dei crediti di lavoro, ai sensi dell’articolo 2751-bis del codice civile.

Il social lending (art. 78 codice terzo settore)è una forma di prestito finanziario fra privati, mediante il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali investitori, tramite piattaforme online, fondi rimborsabili per uso personale o per il finanziamento di un progetto.

I titoli di solidarietà (art. 77 codice terzo settore) consistono in obbligazioni o altri titoli di debito o certificati di deposito che gli istituti di credito possono emettere per raccogliere denaro al fine di impiegare il capitale così ottenuto per finanziare le attività degli ETS, tenendo conto degli obiettivi di interesse generale da essi perseguiti.


QUALI AGEVOLAZIONI PER LE IMPOSTE INDIRETTE PREVEDE LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Il Codice del Terzo Settore, all’art. 82, prevede una serie di misure agevolative, delle quali possono godere gli enti del terzo settore in materia di imposte indirette e tributi locali.
Dette misure sono applicabili a tutti gli ETS, a prescindere dalla tipologia specifica assunta, con la sola esclusione per talune ipotesi delle imprese sociali costituite in forma di società.
Le agevolazioni più rilevanti riguardano i trasferimenti:

  • a titolo gratuito degli immobili, per i quali non si applica l’imposta di successione e donazione, l’imposta ipotecaria e catastale (comma 2);
  • a titolo oneroso della proprietà e diritti reali su beni immobili, per i quali il pagamento delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è predeterminata in misura fissa, purché l’immobile sia utilizzato entro 5 anni dall’atto di trasferimento per perseguire scopi istituzionali o dell’oggetto sociale (altrimenti è previsto il versamento dell’imposta di registro maggiorata del 30% a titolo sanzionatorio). Questa agevolazione vale anche per le imprese sociali costituite in forme di società.

Tutti gli ETS non commerciali sono poi esentati dal pagamento di Imu e Tasi degli immobili posseduti e impiegati in vista dell’esclusivo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, di religione e di culto (art. 82 comma 6), salvo ulteriori esenzioni deliberate da comuni, province, città metropolitane e regioni.
Anche in materia di Irap, le regioni e province autonome possono disporre riduzioni o esenzioni.

Inoltre, tutti gli atti e i provvedimenti relativi a ETS non commerciali sono sempre esenti da tasse sulle concessioni governative, così come non è dovuta l’imposta sugli intrattenimenti, laddove si tratti di attività svolte in via occasionale per fini di sensibilizzazione, celebrazioni o ricorrenze, purché ne sia dato previo avviso alla Siae.
Pertanto, possiamo dire che sul punto la riforma del terzo settore, più che intervenire in senso innovativo, ha integrato la normativa su associazioni ed enti già in vigore, allargando la platea dei beneficiari (tali misure di favore erano contemplate per le sole fondazioni, tipi di associazione riconosciute e Onlus aventi come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione e l’istruzione).

riforma del terzo settore


QUALI RISORSE PUBBLICHE SONO PREVISTE DALLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

La riforma del terzo settore prevede numerosi meccanismi di incentivi e finanziamenti per gli ETS. In particolare, tale sistema si articola in:

  • fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale (art. 72 codice terzo settore) per sostenere progetti e attività promosse da organizzazioni di volontariato, tipi di associazione di promozione sociale e fondazioni del terzo settore iscritti nel registro unico nazionale, sulla base degli obiettivi generali individuati annualmente;
  • fondo nazionale per le politiche sociali istituito nel 2017 (art. 73 legge terzo settore) e di competenza del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali il quale dispone in apposito capitolo di spesa il programma “Terzo settore e responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni” ove sono di volta in volta identificati gli ETS beneficiari delle risorse e gli obiettivi generali che in tal modo si intendono perseguire;
  • fondo sociale europeo e finanziamenti europei (art. 69) rispetto ai quali Stato, Regioni e Province autonome favoriscono l’accesso per gli ETS;
  • fondo unico nazionale (art. 62) alimentato annualmente dai contributi delle fondazioni bancarie in vista del costante finanziamento ai centri di servizio per il volontariato rappresentativi delle organizzazioni di volontariato più importanti;
  • Fondazione Italia Sociale istituita dalla riforma del terzo settore come fondazione senza scopo di lucro avente dotazione iniziale di 1 milione di euro;
  • semplificazione delle procedure di destinazione del 5 X 1000 a vantaggio degli ETS.


QUALI SONO I RAPPORTI FRA ETS E PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI PER LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

La riforma del terzo settore ha introdotto importanti novità, in ordine alla possibilità per gli enti del terzo settore di stipulare convenzioni con le pubbliche amministrazioni per svolgere attività o servizi sociali di interesse generale a vantaggio dei cittadini. Si tratta di una forma di dialogo fra pubblico e privato che già era contemplato dalla normativa su associazioni ed enti, ma rispetto al quale il Codice del Terzo Settore ha provveduto a tracciarne i confini con maggiore nitidezza.
Detta possibilità, alla luce della riforma del terzo settore (art. 56), è prevista unicamente per le organizzazioni di volontariato e per i tipi di associazione di promozione sociale iscritte da almeno 6 mesi nel registro unico nazionale del terzo settore. La scelta dei tipi di associazione o delle organizzazioni di volontariato per stipulare la convenzione, avviene sulla base di appositi bandi del terzo settore.


I BANDI DEL TERZO SETTORE PER LE CONVENZIONI

I bandi del terzo settore vengono pubblicati nel pieno rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento, sì da evitare che gli enti aggiudicatari dei bandi del terzo siano correlati a scelte meramente arbitrarie della pubblica amministrazione che lo ha indetto.
Alla base dei bandi del terzo settore si pongono politiche di co-programmazione e co-progettazione mosse dall’intenzione di ottimizzare l’attività di interesse generale perseguita alla luce di condizioni più favorevoli rispetto a quelle di mercato.
In seguito all’emanazione dei bandi del terzo settore e alla pubblicazione del tipo di attività da svolgere e dei requisiti che l’ODV o l’APS deve possedere per poter essere reputata idonea all’aggiudicazione, la pubblica amministrazione interessata procede alla scelta del candidato ritenuto consono; conseguentemente, viene stipulata la convenzione che deve indicare il contenuto e le modalità dell’intervento di volontariato e la sua durata.


QUALI CONDIZIONI ECONOMICHE SONO PREVISTE DALLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE PER I BANDI DEL TERZO SETTORE

L’aggiudicazione di uno dei bandi del terzo settore e la stipula della relativa convenzione con la pubblica amministrazione, non può tradursi in occasione di lucro per l’ETS. Infatti, le convenzioni non possono prevedere risorse diverse e ulteriori rispetto al rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, oltre che coerenti con il tipo di impegno assunto e le finalità perseguite (art. 56 comma 2 legge terzo settore).
Pertanto, i costi dei quali l’ETS chiede il rimborso devono essere chiaramente e specificatamente riferibili al tipo di intervento pattuito, salvo la quota di costi indiretti imputabile direttamente all’attività oggetto della convenzione stessa.
In ogni caso, gli enti hanno l’obbligo di stipulare apposite assicurazioni lavorative a tutela del personale volontario che lavora al progetto.
Per completezza, si segnala un certo scetticismo, espresso dal Consiglio di Stato in un parere del luglio 2018 circa i concetti di gratuità e natura delle spese rendicontabili. La riforma del terzo settore nella materia de quo, più che innovare quanto già previsto dalle disposizioni legislative precedenti, ha semmai evidenziato la corresponsabilità nell’azione finanziata che lega ente pubblico finanziatore ed ETS, scongiurando possibili derive elusive della ratio legis con il richiamo ai principi di imparzialità, trasparenza, pubblicità, partecipazione e parità di trattamento.


QUALI ORGANI COORDINANO E CONTROLLANO IL RISPETTO DELLA NORMATIVA DI ASSOCIAZIONI ED ENTI, DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE .

Il Codice del Terzo Settore ha previsto l’istituzione di due soggetti destinati a coordinare, vigilare e controllare il rispetto della normativa di associazioni ed enti, introdotta dalla riforma del terzo settore. In particolare, si tratta del Consiglio Nazionale del Terzo Settore e della Cabina di Regia.
Il Consiglio Nazionale del terzo Settore (art. 58 codice terzo settore) presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Le sue maggiori attribuzioni sono:

  • esprime pareri non vincolanti sugli schemi degli atti normativi, sulle modalità di utilizzo delle risorse finanziarie e sulle linee guida ministeriali;
  • designa un componente nell’organo di governo della Fondazione Italia sociale e dei rappresentanti degli enti del terzo settore presso il consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro;
  • ha compiti di vigilanza e controllo.

La Cabina di Regia (art. 97) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, coordina l’attuazione del Codice del Terzo Settore, promuove l’attività di raccordo con le amministrazioni pubbliche e gli enti privati, monitora lo stato di attuazione della riforma del terzo settore.
Con tali organi, il Codice del Terzo settore ha superato la previgente vigenza degli Osservatori nazionali, affidando così un più penetrante controllo in capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.


COME LAVORARE NEL TERZO SETTORE

Al fine di poter lavorare nel terzo settore, la riforma del terzo settore ha distinto fra lavoratore e volontario, prevedendo che ogni forma di lavoro retribuito (autonomo o subordinato ex art. 16 codice terzo settore) a favore dell’ente sia incompatibile con la qualifica di volontario (art. 17 legge terzo settore).
Al volontario è riconosciuto solamente un rimborso delle spese, purché documentate, anche mediante autocertificazione.
Non è considerato volontario chi si appresta a lavorare nel terzo settore, coadiuvando occasionalmente gli organi sociali nello svolgimento delle funzioni (commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro…).
Anche per lavorare nel terzo settore come volontario, è necessario essere assicurati contro gli infortuni e le malattie connesse all’attività.
Le organizzazioni di volontariato e i tipi di associazione di promozione sociale possono assumere lavoratori, solo nei limiti occorrenti al loro funzionamento e, in ogni caso, in numero non superiore al 50% del numero dei volontari.
Diversamente, secondo la riforma del terzo settore le imprese sociali sono previste già negli statuti o atti costitutivi idonee forme di coinvolgimento del lavoratore nell’attività di interesse sociale svolta. Ove l’impresa sociale operi nel settore dei lavoratori svantaggiati o disabili, questi devono coprire almeno il 30% della forza lavori impiegata.
Inoltre, a caratterizzare l’impresa sociale vi è la circostanza per la quale il volontariato è ammesso unicamente in funzione complementare rispetto al lavoro svolto dal personale retribuito. In ogni caso, lavorare nel terzo settore comporta il riconoscimento del diritto di ricevere un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro senza al contempo poter maggiorare la retribuzione in misura superiore al rapporto 1 a 8 rispetto alla retribuzione annuale lorda.


RIFORMA DEL TERZO SETTORE: COSA SONO LE ASSOCIAZIONI FILANTROPICHE

Le associazioni filantropiche possono assumere la forma di associazione riconosciuta o fondazione, con il fine di erogare denaro, beni o servizi a sostegno di categorie di persone svantaggiate, o di attività di interesse generale (art. 37).
La circostanza che le associazioni filantropiche debbano avere personalità giuridica di diritto privato risponde all’esigenza di avere un patrimonio adeguato.
Le associazioni filantropiche devono essere iscritte in apposita sezione del RUNTS e devono esplicitare nel proprio statuto o atto costitutivo i principi in ordine ai quali avviene la gestione del patrimonio, la raccolta dei fondi, la destinazione ed erogazione del denaro. Le risorse economiche delle associazioni filantropiche derivano principalmente da contributi pubblici o privati, donazioni e lasciti testamentari, rendite patrimoniali e attività di raccolta fondi da impiegare per il perseguimento degli scopi statuari. Inoltre, le associazioni filantropiche sono obbligate a redigere e conservare il bilancio sociale, nonché pubblicarlo sul proprio sito web. Grazie alla riforma del terzo settore, tali tipi di associazione hanno ottenuto una specifica identità, essendo prima conosciuti unicamente sotto forma di fondazioni.

 

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