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Autore: Avv. Gabriele Toninelli
Breve analisi del reato di frode in commercio
La frode in commercio
Il reato di frode in commercio di cui all’art. 515 c.p. si configura laddove “chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile per origine, provenienza, qualità o quantità diversa da quella dichiarata o pattuita (…)” e mostra l’intento del legislatore di assicurare la correttezza e trasparenza degli scambi commerciali, sì da perseguire il duplice scopo di tutelare l’economia pubblica. Oltre a tutelare il rapporto di scambio commerciale tra acquirente e venditore, l’art. 515 cp aspira a un obiettivo di più larga portata, vale a dire l’esigenza della intera collettività che gli scambi commerciali siano caratterizzati da correttezza e buona fede. In tal senso, dunque si può dire che il reato di frode nell’esercizio del commercio regolato dall’art. 515 codice penale mira a garantire un clima di generale affidamento e lealtà nei traffici economici, in modo tale da evitare di turbare il sistema economico nazionale.
Il reato di frode in commercio disciplinato dall’art. 515 codice penale rappresenta una fattispecie sussidiaria, atteso che, come espressamente affermato dalla clausola di riserva, trova applicazione solamente “qualora il fatto non costituisca un più grave delitto”, si pensi ad esempio al reato di truffa di cui all’art. 640 c.p.
Si tratta di un reato proprio di chi esercita l’attività di commercio, e si consuma nel momento della consegna della cosa diversa o difforme da quella pattuita. La giurisprudenza ammette la configurabilità del tentativo.
Sul piano soggettivo, la fattispecie richiede il dolo generico, e cioè la consapevolezza e la volontà (o l’accettazione del rischio) di consegnare una cosa diversa o difforme da quella pattuita.
Gli argomenti trattati sono:
- Chi è il soggetto attivo del reato di frode in commercio.
- Frode in commercio: la responsabilità omissiva del titolare dell’impresa commerciale
- Qual è l’oggetto materiale del reato di frode in commercio di cui all’art. 515 c.p..
- In cosa consiste la diversità qualitativa del reato di frode in commercio.
- In cosa consiste la diversità quantitativa del reato di frode in commercio.
- Qual è la condotta tipica del reato di frode in commercio.
- Frode in commercio: giurisprudenza sul tentativo.
- Qual è l’elemento soggettivo del reato di frode in commercio
- Qual è la sanzione prevista per la frode in commercio
- Come rileggere la frode in commercio alla luce di una nuova importanza data al consumatore debole.
CHI È IL SOGGETTO ATTIVO DEL REATO DI FRODE IN COMMERCIO.
L’individuazione del soggetto attivo del reato non è pacifica.
Il “chiunque” indicato nel primo comma dell’articolo 515 del codice penale sembra voler indicare che la frode nell’esercizio del commercio sia reato comune: soggetto attivo può essere chiunque realizza la condotta tipica, senza che occorra a tal fine rivestire una particolare qualifica. Pertanto, il reato de quo può essere commesso anche da persona diversa dall’imprenditore commerciale, e cioè dal commesso, dipendente, rappresentate e familiare, purché abbia agito nell’ambito di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, ancorché in maniera occasionale.
In passato, dottrina e giurisprudenza hanno esteso la portata della disposizione addirittura al singolo produttore che abbia venduto i suoi prodotti in maniera occasionale e fuori da uno spaccio aperto al pubblico. Tuttavia, si tratta di un’interpretazione oramai risalente e superata, a favore di un filone ermeneutico che ritiene configurabile la frode in commercio solamente se la condotta tipica è realizzata da parte del soggetto agente nell’ambito di un luogo destinato al commercio.
Al contrario, parte della giurisprudenza interpreta il reato come proprio, in quanto richiedendo l’operare nell’esercizio di una “attività commerciale”, richiamerebbe l’abitualità (se non la professionalità) dell’attività, escludendo il singolo atto di commercio. Ad esempio, la sentenza della Cassazione esclude che l’ipotesi di frode nell’esercizio del commercio possa estendersi all’attività del medico odontoiatra che impianta sul paziente una protesi dentaria di origine e qualità diverse da quelle dichiarate, in quanto “lo svolgimento della attività medica, a differenza delle attività commerciali, connaturate dalla causa di scambio di merci o servizi verso un corrispettivo, si caratterizza per il fine di cura dei pazienti e di salvaguardia della loro salute” (Cassazione Penale, sez. III, sentenza del 15.3.2017 n. 39055).
FRODE IN COMMERCIO: LA RESPONSABILITÀ OMISSIVA DEL TITOLARE DELL’IMPRESA COMMERCIALE
In tema di soggetto attivo, il titolare di un piccolo esercizio commerciale, gestito direttamente dal medesimo e da un familiare, può essere responsabile per la vendita di “aliud pro alio” anche se non è l’autore materiale della cessione (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 24/03/2015, n. 14257). Ciò avviene, secondo la giurisprudenza, quando l’imprenditore abbia omesso di impartire ai propri dipendenti precise disposizioni di leale e scrupoloso comportamento commerciale e di vigilare sull’osservanza delle stesse. La violazione dei doveri di vigilanza e controllo comporta infatti la responsabilità penale per il reato ex art. 515 c.p. quando la condotta omissiva dell’imprenditore sia accompagnata dalla consapevolezza (o dall’accettazione del rischio) che ne possano scaturire gli eventi tipici del reato (Cass. pen., Sez. III, Sent., 17/06/2004, n. 27279).
Recentemente, la Cassazione si è pronunciata sul punto statuendo che “si configura il reato di cui all’art 515 cp sia allorquando alla condotta omissiva si accompagni la consapevolezza che da essa possano scaturire gli eventi tipici del reato, sia quando si sia agito accettando il rischio che tali eventi si verifichino. Del pari, nelle aziende di notevoli dimensioni, i titolari, amministratori o legali rappresentanti, in mancanza di effettiva delega di funzioni a determinati soggetti, rispondono del reato di frode in commercio, essendo tenuti ad osservare e far osservare tutte le disposizioni imperative concernenti gli aspetti dell’attività aziendale” (Cass. pen., Sez. III, 23/03/2022, n. 27190).
QUAL È L’OGGETTO MATERIALE DEL REATO DI FRODE IN COMMERCIO DI CUI ALL’ART. 515 C.P..
L’oggetto materiale della fattispecie della frode in commercio è rappresentato dalla consegna di una cosa mobile diversa nei suoi elementi essenziali, da quella dichiarata o pattuita ( c.d. aliud pro alio) o comunque difforme per origine, provenienza, qualità o quantità.
È opportuno chiarire quale sia la differenza terminologica fra “origine” e “provenienza” indicate dall’art. 515 cp, posto che, nel linguaggio comune, i due vocaboli sono soventemente considerati come sinonimi.
Infatti, il riferimento all’origine del prodotto oggetto della frode nell’esercizio del commercio, rimanda alla zona geografica di produzione, alle materie prime utilizzate e ai metodi di lavorazione seguiti ogni qual volta essi siano peculiari di una determinata area territoriale. La Cassazione riconosce la frode in commercio nella vendita di “un ingente numero di bottiglie di vino, sigillate e munite di contrassegno, etichettate come Barolo DOCG, laddove le operazioni di vinificazione e di invecchiamento delle uve risultino effettuate anche presso uno stabilimento sito in un comune non compreso nella zona di produzione del vino Barolo” (sentenza del 23/09/2022, n. 42609).
Viceversa, la frode in commercio per provenienza allude alla circostanza che il prodotto provenga da un produttore piuttosto che un altro.
In ogni caso, parte di autorevole dottrina sostiene che al di là delle precisazioni lessicali, ciò che concretamente assume rilevanza nella frode nell’esercizio del commercio sia la discrepanza fra il prodotto pattuito e quello effettivamente consegnato all’acquirente.
IN COSA CONSISTE LA DIVERSITÀ QUALITATIVA DEL REATO DI FRODE IN COMMERCIO.
L’art. 515 del codice penale configura la frode nell’esercizio del commercio anche nel caso di differenza qualitativa fra il prodotto scelto dall’acquirente e quello fornito dal venditore, con riferimento a qualifiche non essenziali del prodotto, afferenti la sua utilizzabilità, il suo pregio o il suo grado di conservazione.
Ad esempio, una delle forme in concreto più frequenti di frode in commercio si realizza con la vendita di prodotti alimentari scongelati, ma presentati come freschi: seppur non si tratti di differenze attinenti al tipo di prodotto, viene comunque leso il diritto del consumatore di essere informato circa il reale stato fisico e organico dell’alimento. Peraltro, “la mera disponibilità, nella cucina di un ristorante, di alimenti surgelati, seppure non indicati come tali nel menu, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore” potrebbe integrare il tentativo di frode nell’esercizio del commercio (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 17/05/2017, n. 39082).
IN COSA CONSISTE LA DIVERSITÀ QUANTITATIVA DEL REATO DI FRODE IN COMMERCIO.
L’art. 515 codice penale menziona fra le condotte che integrano il reato in esame anche la difformità quantitativa fra quanto pattuito e quanto consegnato al compratore.
La difformità quantitativa rilevante ai fini della frode in commercio deve essere intesa alla stregua di una discrepanza di peso, numero, misura e dimensioni del prodotto rispetto a quanto è stato pattuito o dichiarato.
Volendo esemplificare, si può pensare all’ipotesi nella quale la vendita sia avvenuta secondo il peso lordo della tara mentre al compratore è stato detto che si tratta di un peso al netto.
In passato, è stato ritenuto integrato il reato di frode in commercio ex art. 515 cp, ancorché nella forma del tentativo, nel caso in cui un esercizio commerciale esibiva una bilancia con il dispositivo della tara disattivato
QUAL È LA CONDOTTA TIPICA DEL REATO DI FRODE IN COMMERCIO.
Condotta tipica della fattispecie di frode nell’esercizio del commercio è la consegna, cioè dal passaggio della cosa mobile o mobilizzata nella sfera dell’acquirente che, in tal modo, può disporne.
Il delitto de quo deve ritenersi consumato, dunque, con l’apprensione della stessa da parte dell’acquirente, “anche se avvenuta nell’ambito di una trattativa individuale, non richiedendo la norma incriminatrice l’offerta al pubblico del bene o l’idoneità della condotta a trarre in inganno una pluralità di consumatori quale elemento costitutivo del reato” (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 30/06/2021, n. 30685); nel caso in cui la consegna avvenga in modo indiretto tramite persona interposta, è da considerarsi sufficiente il mero ingresso della cosa nella sfera di disponibilità giuridica del compratore.
A lungo dibattuta in dottrina e giurisprudenza è stata la configurabilità del tentativo della frode in commercio, come forma di tutela anticipata dell’acquirente. Le tesi maggioritarie erano sempre state orientate a negare l’ammissibilità della forma tentata, ma di recente taluni autorevoli autori hanno sostenuto la piena configurabilità del tentativo, laddove da parte del soggetto agente siano stati posti in essere atti diretti in modo non equivoco a realizzare l’evento tipico. Ad esempio, la semplice detenzione o la esposizione per la vendita di prodotti, le cui caratteristiche sono diverse da quelle indicate.
Ad esempio, è punibile a titolo di tentativo “l’esercente che esponga sui banchi o comunque offra, al pubblico, prodotti scaduti, sulle cui confezioni sia stata alterata o sostituita l’originale indicazione del termine minimo di conservazione” (Cass. pen., Sez. III, 04/05/2022, n. 23642).
FRODE IN COMMERCIO: GIURISPRUDENZA SUL TENTATIVO.
La III sezione della Cassazione, con la sentenza n. 9310/2013 è intervenuta sul tema della configurabilità del tentativo nel reato di frode in commercio, precisando che integra detta ipotesi delittuosa anche la mera detenzione, presso il magazzino dell’azienda, di articoli merceologici contrassegnati da marcatura CE (acronimo di “China Export”) contraffatta, atteso che tale detenzione è strumentale e univocamente diretta alla immissione nella rete distributiva di prodotti i quali presentano caratteristiche differenti da quelle indicate e prescritte dalla legge.
Gli Ermellini hanno ammesso la piena configurabilità del tentativo affermando che “per la realizzazione del tentativo di frode in commercio non solo non è necessaria la sussistenza di alcuna forma di contraffazione finalizzata alla vendita, ma non è neppure richiesta l’effettiva messa in commercio del prodotto, essendo sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso rispetto a quello pattuito. Sicché configura il delitto previsto dall’art. 515 cp, nella forma del tentativo, anche la mera detenzione in magazzino di merce non rispondente per origine, provenienza, qualità o quantità a quella dichiarata o pattuita, trattandosi di un dato pacificamente indicativo della successiva immissione nella rete distributiva di tali prodotti”.
Ciò perché il marchio CE, pur riferendosi alla provenienza “China export” può essere facilmente confuso con il marchio CE indicante la provenienza da un Paese membro della Comunità europea, traendo in inganno il consumatore, non solo sull’origine del prodotto, ma anche sui suoi standard qualitativi.
QUAL È L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO DI FRODE IN COMMERCIO.
Ai fini della configurabilità della fattispecie delittuosa contemplata dall’art. 515 codice penale è sufficiente il dolo generico, inteso quale coscienza e volontà in capo all’agente/venditore di consegnare al compratore una cosa mobile o mobilizzata diversa da quella pattuita per origine, provenienza, qualità o qualità.
Ci si chiede se il reato possa essere determinato anche dal comportamnto dell’accipiens (acquirente, consumatore…), quando in particolare ometta negligentemente di controllare il bene consegnato, oppure addirittura sia a conoscenza che il prodotto consegnato è differente da quello pattuito.
Sul primo punto, la giurisprudenza afferma che la negligenza di chi prende in consegna il bene, non esclude il reato: “il delitto di frode nell’esercizio del commercio è configurabile anche nel caso in cui l’acquirente non effettui alcun controllo sulla merce offerta in vendita, essendo irrilevanti sia l’atteggiamento, fraudolento o meno, del venditore, sia la possibilità per l’acquirente di accorgersi della diversità della merce consegnatagli rispetto a quella richiesta” (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 18/11/2016, n. 54207).
Sulla consapevolezza della difformità del bene, varie sono le interpretazioni avanzate in dottrina, sulla base della lettura del bene giuridico tutelato dall’art. 515 cp come diritto disponibile ovvero indisponibile.
Secondo la giurisprudenza oggi dominante, il dolo non è escluso dalla consapevole accettazione da parte dell’accipiens di ricevere una res diversa rispetto a quella concordata in origine. Questo perché il bene giuridico tutelato dalla fattispecie, ossia la fiducia nella correttezza e lealtà delle transazioni commerciali, non è un diritto disponibile e pertanto non sarebbe invocabile la scriminante del consenso dell’avente diritto.
Alcuni autori più progressisti, hanno invece sostenuto che la consapevole accettazione da parte dell’acquirente di una cosa diversa da quella pattuita, possa essere inquadrata nei termini di una novazione dell’accordo, utile in tal senso a determinare una nuova proposta. L’orientamento appare del tutto condivisibile, nella misura in cui l’accipiens, cosciente della difformità, dimostri in maniera chiara e inequivocabile di volere quella cosa, nel genere o nella specie, diversa rispetto a quella che aveva inizialmente concordato.
QUAL È LA SANZIONE PREVISTA PER LA FRODE IN COMMERCIO
La sanzione per la frode nell’esercizio del commercio è la reclusione fino a due anni o la multa fino a 2.065 €.
Inoltre, il secondo comma dell’art. 515 codice penale prevede la circostanza aggravante che “se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a euro 103”. Con la locuzione “oggetti preziosi” deve intendersi beni aventi un valore superiore, alla luce della loro rarità oppure per ragioni storiche o artistiche.
La preziosità deve essere valutata in base alla effettiva natura della res considerata, cosicché saranno preziosi non solo quelli formati da materiali pregiati come l’oro o l’argento ma anche quelli contenenti pietre preziose, perle o di manifattura pregiata.
Tuttavia, sia che si tratti della fattispecie base di cui al comma I dell’art. 515 cp, sia che nell’ipotesi aggravata del II comma, è prevista anche la pubblicazione della sentenza definitiva di condanna, ai sensi dell’art. 518 codice penale.
COME RILEGGERE LA FRODE IN COMMERCIO ALLA LUCE DI UNA NUOVA IMPORTANZA DATA AL CONSUMATORE DEBOLE.
Da tempo il legislatore ha avvertito l’esigenza di offrire tutela all’acquirente, ritenuto parte debole dello scambio commerciale, prevedendo sul piano penale la fattispecie della frode nell’esercizio del commercio. Egli intende tutelare la lealtà negoziale in una logica di tutela dell’economia nazionale, come anche dimostrano numerosi provvedimenti normativi volti a regolare specifici settori commerciali, nei quali con più frequenza sono soliti verificarsi casi di frode commerciale. Si pensi al settore alimentare.
Tuttavia, il quadro legislativo appare ancora frammentato e spesso connotato da un eccessivo tecnicismo, che certo non agevola il consumatore nella comprensione e conoscenza di quelli che sono i suoi effettivi diritti, nè le autorità preposte ai controlli di far fronte all’interpretazione delle norme e di coordinare gli interventi.
Lo Studio Legale Berti e Toninelli opera presso i Tribunali di Pistoia, Firenze, Lucca e Prato e fornisce consulenza in tutta Italia tramite i servizi online. Si trova a Pistoia in Piazza Garibaldi n. 5.
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