Quando si realizza il reato di omissione di atti d’ufficio ex art 328 c p
L’omissione di atti d’ufficio
Quando si configura il reato di omissione di atti d’ufficio di cui all’art 328 c p ? Chi può compierlo? Quali sono gli strumenti a disposizione per prevenirlo? Il seguente elaborato illustra il reato di omissione degli atti d’ufficio.
L’art. 328 c p contiene due fattispecie. Al primo comma è sanzionato il rifiuto di atti d’ufficio urgenti, mentre l’omissione di atti d’ufficio è regolata dal secondo comma. Entrambe le fattispecie rientrano nella categoria dei reati propri: tanto il rifiuto quanto l’omissione degli atti d’ufficio possono essere contestate esclusivamente a individui in possesso di una particolare posizione soggettiva: quella del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.
Con l’introduzione del secondo comma dell’art 328 c p , il legislatore ha voluto attribuire rilevanza al comportamento contra ius del soggetto, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, che “non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo”.
L’omissione degli atti d’ufficio, qualora la condotta omissiva del soggetto attivo persista nonostante una diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione, configura quindi un illecito penale.
La norma di cui al secondo comma dell’art 328 c p indica il termine a partire dal quale si perfeziona il reato di omissione degli atti d’ufficio: trascorsi “trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse”;
La richiesta in questione deve essere presentata dal soggetto interessato, in forma scritta all’amministrazione competente, e deve assumere la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione, “dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell’atto o l’esposizione delle ragioni che lo impediscono” (Cass. pen. n. 2331/2014).
Nei paragrafi che seguono, analizzeremo chi sono i soggetti attivi del reato previsto dall’art 328 c p e come il nostro ordinamento disciplina l’illecito di l’omissione degli atti d’ufficio.
Vengono poi analizzati i rapporti tra il reato in oggetto, l’abuso d’ufficio e il reato di corruzione.
Gli argomenti trattati sono:
- Cos’è l’omissione degli atti d’ufficio
- Chi sono i soggetti attivi del reato di omissione degli atti d’ufficio art 328 c p
- Qual è il bene giuridico tutelato dal reato di omissione di atti d’ufficio ex art 328 c p
- Quando si perfeziona l’omissione di atti d’ufficio
- Cos’è l’atto di diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione o atto di diffida penale
- Quando inviare la diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione: l’omissione di atti d’ufficio e le altre conseguenze dell’inadempimento
- Come deve essere redatta una diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione
- Chi può presentare una diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione:
- Quale elemento soggettivo per il reato di omissione di atti d’ufficio
- Quali conseguenze penali e civili derivano dall’omissione degli atti d’ufficio
- Chi è l’autorità giudiziaria competente in materia di omissione degli atti d’ufficio ex art 328 c p
- Quando si prescrive il reato di omissione degli atti d’ufficio ex art 329 c p
- Quando l’omissione degli atti d’ufficio può essere non punita per particolare tenuità del fatto:
- Qual è la differenza tra omissione di atti d’ufficio e rifiuto di atti d’ufficio:
- Quando l’omissione degli atti d’ufficio può comportare il reato di abuso d’ufficio:
- Quando l’omissione di atti d’ufficio può configurare il reato di corruzione:
COS’È L’OMISSIONE DEGLI ATTI D’UFFICIO
Il reato di omissione di atti d’ufficio sussiste allorquando un soggetto, in qualità di pubblico ufficiale oppure di incaricato di pubblico servizio, nonostante una diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione, non adempia agli obblighi del proprio ufficio, nè fornisca motivazioni volte a giustificare le ragioni che hanno comportato il ritardo dell’adempimento: “ [..] il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che [..] non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032”.
La condotta posta in essere è di tipo omissivo, consiste cioè in un “doppio non facere”:
- Dell’atto d’ufficio richiesto,
- Delle motivazioni del ritardo.
In altre parole, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio non attua quello specifico comportamento proprio dell’ufficio a cui è tenuto per legge, ivi compresa l’indicazione delle ragioni del ritardo entro il termine prescritto per la conclusione del procedimento. Questo, al contrario di quanto avviene nell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 328 c p , che richiede un “rifiuto” e cioè un comportamento attivo, una manifestazione esplicita della volontà di non adempiere al dovere.
Pertanto, affinché si possa parlare di omissione di atti d’ufficio, è necessario che sussista un obbligo, in capo al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, di avviare un procedimento e che questo non vi abbia provveduto nonostante un atto di diffida penale.
Inoltre, è qualificabile quale reato di mera condotta: il legislatore ha agito con l’intenzione di punire il mero comportamento del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che non abbiano provveduto all’adempimento degli obblighi facenti loro capo.
Giacché la condotta non risulta tipizzata dalla legge, il reato di omissione degli atti d’ufficio rientra tra i reati a forma libera: non è specificata e non rileva la modalità con cui l’illecito è stato commesso, essendo sufficiente un comportamento omissivo da parte del soggetto agente.
CHI SONO I SOGGETTI ATTIVI DEL REATO DI OMISSIONE DEGLI ATTI D’UFFICIO ART 328 C P
Come anticipato nell’introduzione, l’omissione di atti d’ufficio è un reato proprio: può essere commesso esclusivamente da determinate categorie di soggetti rivestiti di una particolare posizione soggettiva.
L’art 328 c p si rivolge esclusivamente al pubblico ufficiale ed all’incaricato di pubblico servizio.
La nozione di pubblico ufficiale è data dall’art 357 c p: “[..] sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa”.
L’art 358 c p fornisce la nozione di incaricato di pubblico servizio: “[..] sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio”. Il secondo comma si preoccupa di delineare il significato di pubblico servizio, quale “attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.
In conclusione, la differenza principale che intercorre tra le due figure è l’esercizio dei poteri: il pubblico ufficiale esercita una funzione pubblica con poteri autoritativi, invece all’incaricato di pubblico servizio non fanno capo i poteri tipici della funzione pubblica.
Sia la figura del pubblico ufficiale che l’incaricato di pubblico servizio sono destinatari di una serie di illeciti penalmente rilevanti, in aggiunta all’omissione di atti d’ufficio di cui all’art 328 c p.
In particolare, il soggetto chiamato in causa dalla norma è il responsabile del procedimento amministrativo, ma in mancanza dell’assegnazione, soggetto attivo è il dirigente dell’unità amministrativa incaricata del procedimento.
Difatti, ai sensi dell’art 5 della L. 241/1990 “ Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale. Fino a quando non sia effettuata l’assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell’articolo 4.”
QUAL È IL BENE GIURIDICO TUTELATO DAL REATO DI OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO EX ART 328 C P
La ratio legis della disposizione contenuta al secondo comma dell’art 328 c p risiede nella volontà di offrire una duplice tutela, sia in capo ai consociati che in capo alla Pubblica Amministrazione. Si tratta quindi di un reato “plurioffensivo”.
In primis la norma intende contrastare l’inerzia della Pubblica Amministrazione, al fine di tutelare l’intera collettività ed assicurare il corretto svolgimento degli obblighi propri dell’ufficio competente. Come anticipato, oggetto di tutela è l’interesse del cittadino, che verrebbe leso in caso di ingiustificato ritardo o ingiustificata omissione da parte della pubblica amministrazione.
In secondo luogo, il bene giuridico tutelato nella fattispecie di omissione degli atti d’ufficio è il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Tale principio è di rango costituzionale, trovando tutela all’interno del comma secondo dell’articolo 97: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. Senza addentrarci oltremodo nella spiegazione, il principio sopra citato stabilisce che l’attività amministrativa debba essere finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico; l’inadempimento di un organo amministrativo, quale l’omissione degli atti d’ufficio, inficia sull’efficienza della pubblica amministrazione, uno dei tre pilastri su cui si basa il principio di buon andamento.
Una sentenza della Corte di Cassazione (n.10729/94), infine, ha precisato che la disposizione contenuta all’interno dell’art 328 c p è volta altresì a “[..] salvaguardare l’agire dell’amministrazione, attraverso i propri dipendenti, per il conseguimento dei suoi compiti istituzionali”.
Peraltro, dal punto di vista del bene tutelato, non è necessario che il cittadino (o comunque il soggetto interessato al compimento dell’atto) subisca effettivamente un danno: quello delineato dall’art 328 c p al secondo comma è un reato “di pericolo”, cioè punito a prescindere dal verificarsi di una effettiva lesione del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo del cittadino, a cui l’atto omesso sarebbe stato riconducibile.
QUANDO SI PERFEZIONA L’OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO
Secondo quanto stabilito dal secondo comma dell’art 328 c p, il termine entro cui il soggetto pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio è tenuto ad adempiere ai propri obblighi affinché non si configuri l’illecito di omissione degli atti d’ufficio è di “entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse”. Risulta doveroso, a questo punto, chiedersi da quale preciso momento inizia a decorrere tale termine.
È giurisprudenza affermata che il “dies a quo” del termine di trenta giorni sia da individuarsi non in relazione alla presentazione della prima istanza, con la quale il privato ha avanzato domanda alla pubblica amministrazione, bensì a partire dal momento della presentazione di una seconda istanza, ossia dalla notifica della diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione da parte del privato, che consiste in una vera e propria “messa in mora” dell’amministrazione competente.
Di segno contrario, un recente arresto della Cassazione, secondo cui “è irrilevante il formarsi del silenzio-inadempimento alla scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato ai sensi dell’art. 2, l. 7 agosto 1990, n. 241, in quanto ciò che rileva ai fini dell’integrazione del reato è l’inerzia della P.A. nel compiere l’atto richiesto o nell’esporre le ragioni del ritardo e ciò a prescindere dalla sussistenza o meno dell’obbligo principale di compiere detto atto” (Cass. pen., Sez. VI, Sentenza, 29/03/2018, n. 17536).
Il momento di perfezione del reato, si raggiunge quindi decorsi trenta giorni dal ricevimento dell’atto di diffida penale.
A sostegno di quanto esplicitato finora, è intervenuta la Corte di Cassazione, affermando con la sentenza n.10595/2018, che sussiste l’omissione degli atti d’ufficio solo in presenza di una diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione: “La richiesta scritta di cui all’art 328 c p, comma 2 [..] deve assumere la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell’atto o l’esposizione delle ragioni che ne impediscono la risposta”.
COS’È L’ATTO DI DIFFIDA AD ADEMPIERE ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE O ATTO DI DIFFIDA PENALE
Come analizzato nel paragrafo precedente, l’elemento imprescindibile affinché sussista l’illecito di omissione degli atti d’ufficio è l’invio della diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione, cioè una particolare tipologia di diffida, con cui il privato sollecita l’ufficio competente ed il funzionario responsabile, a procedere con la pratica interessata.
In generale, l’atto di diffida penale è una comunicazione, il più delle volte una lettera inviata mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o con posta elettronica certificata, con cui il mittente intima al destinatario di tenere un determinato comportamento, altrimenti, qualora l’atto di diffida penale sia disatteso, agirà per vie legali.
La diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione non gode di efficacia diretta, ossia non produce automaticamente alcun effetto, ma esplicita la volontà di voler intraprendere un’azione legale, qualora dovesse persistere l’inadempimento.
QUANDO INVIARE LA DIFFIDA AD ADEMPIERE ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: L’OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO E LE ALTRE CONSEGUENZE DELL’INADEMPIMENTO
La legge concede alla pubblica amministrazione un termine per la conclusione del procedimento amministrativo che, salva diversa previsione di legge, è di trenta giorni ex art. 2 L. 241/1990 (cd legge sul procedimento amministrativo).
L’inosservanza del termine di conclusione del procedimento, può originare, in campo al responsabile, una responsabilità disciplinare, civile e penale.
L’atto di diffida penale indirizzato alla pubblica amministrazione, deve essere notificato soltanto a seguito del termine stabilito per la conclusione del procedimento; anteriormente a tale data non si può configurare alcun inadempimento.
COME DEVE ESSERE REDATTA UNA DIFFIDA AD ADEMPIERE ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione configura un elemento essenziale affinché possa rappresentarsi il reato di cui al comma secondo dell’art 328 c p. In assenza di un’apposita norma che ne disciplini il contenuto, è la giurisprudenza che aiuta ad individuarne i requisiti.
Secondo la Cassazione (Cass. pen., Sez. VI, Sentenza, 23/01/2018, n. 10595) “è necessario che la richiesta scritta sia qualificabile, per tenore letterale e contenuto, come diffida ad adempiere, diretta alla messa in mora del destinatario e da quest’ultimo percepibile in tali termini; a tal fine, è sufficiente che il contenuto della richiesta, sebbene non riproduca formalmente i termini “diffida” e “messa in mora”, rappresenti
- la cogenza della richiesta,
- la necessità di un adempimento direttamente riconducibile alla disciplina del procedimento amministrativo
- e, eventualmente, le conseguenze in termini di responsabilità (incluse quelle penali) di una mancata risposta nei termini.”
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha stabilito con sentenza n.79/2012 che non ogni diffida penale può essere considerata valida per far scattare il termine di trenta giorni: “ Non ogni richiesta di atto che il privato sollecita alla P.A. ha idoneità ad attivare, in tesi, il meccanismo per l’operatività della previsione delittuosa di cui al secondo comma dell’art 328 c p, con la conseguenza che restano al di fuori della tutela penale quelle richieste che, per mero capriccio o irragionevole puntigliosità, sollecitano alla P.A. un’attività che è dalla stessa ritenuta ragionevolmente superflua e non doverosa”.
Pur potendo, l’interessato, inviare personalmente l’atto di diffida penale, è consigliabile che si avvalga della consulenza e/o dell’assistenza di un legale.
CHI PUÒ PRESENTARE UNA DIFFIDA AD ADEMPIERE ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:
La diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione non può essere presentata da qualunque cittadino bensì, in via esclusiva, dal soggetto che si trovi nella posizione di poter vantare un interesse qualificato di diritto soggettivo o interesse legittimo. Affinché un interesse possa essere definito qualificato, deve essere personale, concreto ed attuale.
L’interesse è da intendersi come personale quando appartiene alla sfera giuridica del soggetto che invia l’atto di diffida penale.
La nozione di concretezza consiste nella mera esistenza dell’interesse vantato dal soggetto che voglia procedere con una diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione, non può trattarsi di un interesse ipotizzabile, questo deve essere esistente.
Infine, affinché risulti qualificato, oltre a corrispondere ad una situazione giuridicamente tutelata, l’interesse in gioco deve essere attuale, e non meramente potenziale, cioè esistente nell’esatto momento in cui il soggetto procede con l’atto di diffida penale.
QUALE ELEMENTO SOGGETTIVO PER IL REATO DI OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO
Il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) deve avere dolosamente omesso il compimento dell’atto dovuto e la motivazione sul ritardo.
A tal fine, è necessario che questo conosca:
- l’esistenza dell’obbligo di compiere un atto d’ufficio,
- la diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione, inviata dal soggetto interessato.
Inoltre, al fine del reato ex art 328 c p è richiesta la volontà:
- di non compiere l’atto dovuto,
- né motivare il ritardo,
- nonché quella di agire contrariamente ai doveri imposti dalla funzione (Cass. pen., Sez. VI, 15/04/2003, n. 24626).
Non è prevista l’ipotesi colposa, cioè quando l’omissione di atti d’ufficio è riferibile alla negligenza, imperizia o imprudenza del soggetto agente, che al netto della responsabilità penale, può essere chiamato a rispondere dell’omissione dell’atto d’ufficio in via disciplinare e amministrativa.
QUALI CONSEGUENZE PENALI E CIVILI DERIVANO DALL’OMISSIONE DEGLI ATTI D’UFFICIO
Il secondo comma dell’art 328 c p detta quelle che sono le sanzioni per l’omissione degli atti d’ufficio: “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio [..] è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032”.
È inoltre prevista dall’art. 289 codice di procedura penale la misura cautelare della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, con cui il giudice interdice temporaneamente, in tutto o in parte, le attività dell’imputato, previo espletamento dell’interrogatorio e salvo i casi degli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare (ad esempio per il sindaco).
In ogni caso, le condizioni per l’applicazione della misura cautelare in esame sono, da un lato i gravi indizi di colpevolezza dell’imputato, e dall’altra parte la sussistenza di un pericolo di inquinamento delle prove, di reiterazione del reato o di fuga.
Il soggetto che ha subito un pregiudizio arrecato dall’inadempimento persistente anche dopo l’atto di diffida penale dalla pubblica amministrazione ha la facoltà di costituirsi parte civile nel procedimento penale e avanzare richiesta di risarcimento del danno come stabilito dall’articolo 2043 del Codice Civile: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Sotto il profilo della responsabilità civile, ai sensi dell’art. 2 bis della L.241/1990 “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento” nonché “ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo”.
Sotto il profilo della responsabilità disciplinare, ai sensi del comma 9 art. 2 legge 241/1990, “La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”.
CHI È L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA COMPETENTE IN MATERIA DI OMISSIONE DEGLI ATTI D’UFFICIO EX ART 328 C P
Il reato di omissione degli atti d’ufficio è proseguibile d’ufficio, ossia a prescindere dalla querela della persona offesa, ai sensi dell’articolo 50 del Codice di Procedura Penale: “Quando non è necessaria la querela, la richiesta, l’istanza o l’autorizzazione a procedere, l’azione penale è esercitata di ufficio”.
L’autorità giudiziaria competente in materia di omissione degli atti d’ufficio è il Tribunale in composizione collegiale ex art. 33 bis cod. proc. pen., composto da tre giudici togati, un presidente e due giudici a latere.
In ogni caso, il cittadino in condizioni di poter vantare un interesse qualificato nei termini indicati negli articoli precedenti, e che abbia già provveduto a notificare una diffida ad adempiere alla pubblica amministrazione senza che questa abbia avuto seguito entro trenta giorni, così come stabilito dall’art 328 c p, può presentare querela per omissione degli atti d’ufficio nei confronti del pubblico ufficiale ovvero dell’incaricato di pubblico servizio.
QUANDO SI PRESCRIVE IL REATO DI OMISSIONE DEGLI ATTI D’UFFICIO EX ART 329 C P
La prescrizione è un istituto giuridico che consente l’estinzione del reato, una volta decorso il termine corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge ovvero un tempo non inferiore a sei anni qualora il reato contestato sia un delitto e quattro anni qualora l’illecito commesso sia una contravvenzione, come stabilito dal primo comma dell’articolo 157 del Codice Penale.
Il computo dei termini non deve tenere conto delle circostanze aggravanti o attenuanti contestate, ex secondo comma del medesimo articolo, “salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante”.
Nella fattispecie di omissione degli atti d’ufficio, il termine-base di prescrizione è di sei anni, a decorrere dalla commissione del fatto: si applica, come detto, il termine minimo di sei anni previsto per i delitti ( e cioè qualsiasi reato punito con la multa, la reclusione ovvero l’ergastolo).
Ai fini del calcolo della prescrizione, occorre considerare anche le cause di sospensione e di interruzione, che in ogni caso non possono allungare il termine oltre un quarto (sette anni e sei mesi), oppure della metà in caso di recidiva aggravata (nove anni), oppure ancora due terzi in caso di recidiva reiterata (dieci anni e sei mesi) ex art 99 codice penale.
La prescrizione, anche in presenza di omissione degli atti d’ufficio, è sempre rinunciabile dall’imputato, in base all’art. 157 cod. pen.
QUANDO L’OMISSIONE DEGLI ATTI D’UFFICIO PUÒ ESSERE NON PUNITA PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO:
La particolare tenuità del fatto, istituto introdotto con il D./Lgs. n.28/2015, è una causa di non punibilità disciplinata dall’articolo 131 bis del Codice Penale: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo [..] l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
Tale clausola di non punibilità per particolare tenuità del fatto risulta essere applicabile anche alla fattispecie di reato di omissione degli atti d’ufficio, giacché il massimo della pena detentiva indicata dall’art 328 c p risulta ben inferiore ai cinque anni.
Nel frequente caso in cui vengano contestati diversi episodi di omissione di atti d’ufficio, la Corte di Cassazione, con la sentenza n.9495/2018, ha precisato che l’aggravante di reato continuato di cui all’articolo 81 del Codice Penale non osta l’applicazione dell’esclusione della punibilità del reato “quando le violazioni non siano in numero tale da costituire ex se dimostrazione di serialità, ovvero di progressione criminosa indicativa di particolare intensità del dolo o versatilità offensiva”.
QUAL È LA DIFFERENZA TRA OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO E RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO:
Il primo comma dell’art 328 c p configura un’ulteriore fattispecie di reato: il rifiuto di atti d’ufficio, che punisce “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo”. Per rifiuto è da intendersi qualsiasi comportamento o manifestazione di volontà, in relazione all’adozione del provvedimento o dell’avvio del procedimento.
Per quanto la ratio legis di entrambe le disposizioni sia la medesima, ossia tutelare il diritto soggettivo o l’interesse legittimo del cittadino, dall’inerzia della pubblica amministrazione e garantire il buon andamento previsto dalla carta costituzionale, le condotte di rifiuto e omissione degli atti d’ufficio rappresentano illeciti diversamente disciplinati.
Al contrario di quanto accade nella contestazione dell’omissione di atti d’ufficio, in cui il reo mantiene una condotta omissiva, il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, nell’ipotesi di rifiuto di atti d’ufficio, adopera una condotta attiva ,(o commissiva) volta a disobbedire ad un obbligo impartitogli, di adottare un atto urgente.
Altra differenza sta nella sanzione prevista, assai più grave nell’ipotesi del primo comma dell’art 328 c p (reclusione da sei mesi a due anni).
QUANDO L’OMISSIONE DEGLI ATTI D’UFFICIO PUÒ COMPORTARE IL REATO DI ABUSO D’UFFICIO:
L’abuso d’ufficio è un illecito penalmente rilevante, rientrante nella categoria dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, disciplinato dall’articolo 323 del codice penale: “[..] il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.
L’abuso d’ufficio, dunque, si configura allorquando un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio approfitti della posizione da lui ricoperta per arrecare a sé o a terzi di propria conoscenza un vantaggio patrimoniale ovvero un danno ingiusto.
La condotta di cui all’articolo 323 del codice penale, può essere messa in atto anche mediante il rifiuto o l’omissione degli atti d’ufficio, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio ha intenzionalmente rifiutato il compimento degli atti del proprio ufficio ovvero ha dolosamente mancato di rispondere alla richiesta di un privato, nonostante l’atto di diffida penale, al fine di trarre vantaggio dalla propria posizione, ovvero arrecare un danno.
In questo caso, il reato ex art 328 c p è “assorbito” dalla fattispecie più grave ex art 323 c.p. A tal proposito si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n.18360/2003 secondo cui “Nell’ipotesi di abuso d’ufficio realizzato mediante omissione o rifiuto deve trovare applicazione l’articolo 323, primo comma codice penale, in quanto reato più grave di quello previsto dall’articolo 328 codice penale, tutte le volte in cui l’abuso sia stato commesso al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio ingiusto patrimoniale, o comunque per arrecare ad altri un danno ingiusto, e tali eventi si siano realizzati effettivamente”.
QUANDO L’OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO PUÒ CONFIGURARE IL REATO DI CORRUZIONE:
Il codice penale prevede un’autonoma fattispecie di reato qualora l’illecito di corruzione avvenga per un atto contrario ai doveri d’ufficio: è il caso in cui l’omissione degli atti d’ufficio da parte del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio sia “ricompensata”, o ne sia anche solamente promessa una ricompensa, come stabilito dall’articolo 319 del codice penale: “Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni”.
L’intenzione del legislatore, formulando tale fattispecie di reato, è stata quella di voler tutelare il soddisfacimento degli interessi dell’intera collettività in egual modo, dando seguito al principio dell’imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’articolo 1 della legge n.241/90.
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