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Presupposti ed effetti dell’acquiescenza testamentaria
L’acquiescenza al testamento
L’istituto della acquiescenza al testamento si colloca all’interno della disciplina della successione testamentaria, ossia quella modalità di successione che consente al de cuius di disporre dei propri diritti per il momento in cui avrà cessato di vivere, mediante il testamento (modalità alternativa a quella “legittima”, in base a cui in assenza di testamento, l’eredità viene divisa secondo le regole e le quote dettate dal codice civile).
Tuttavia, anche il testamento deve rispettare alcuni limiti imposti dalla legge a tutela dei parenti più prossimi, che tuttavia possono prestare acquiescenza, cioè rinunciare a far valere quelle norme che consentirebbero di ottenere dall’eredità, più di quanto assegnato loro dal testamento. In altre parole, con l’acquiescenza al testamento l’erede legittimario, rinuncia a tutelare, attraverso gli strumenti predisposti dalla legge (azione di riduzione), la lesione dei suoi diritti ereditari.
L’acquiescenza testamentaria però non va confusa con l’istituto della rinunzia all’eredità, secondo cui un soggetto manifesta la volontà di non voler acquisire lo status di erede.
Nel presente articolo cercheremo di capire cosa vuol dire prestare acquiescenza e attraverso quali modalità ciò si può realizzare e, quindi, quali sono le conseguenze di tale scelta. Nello specifico i temi trattati sono:
- Acquiescenza al testamento: cosa si intende per successione testamentaria
- Acquiescenza testamentaria: cosa possono fare i chiamati all’eredità
- Qual è il significato di acquiescenza
- Qual è il significato di acquiescenza testamentaria: la rinuncia all’azione di riduzione
- Qual è la natura giuridica dell’acquiescenza al testamento
- Cosa intende la cassazione per comportamento inequivoco di acquiescenza
- Come si trascrive l’acquiescenza testamentaria
- Quale differenza tra l’acquiescenza testamentaria e la transazione
- Quale differenza tra l’acquiescenza testamentaria e la rinuncia all’eredità
- La revoca dell’acquiescenza al testamento
ACQUIESCENZA AL TESTAMENTO: COSA SI INTENDE PER SUCCESSIONE TESTAMENTARIA
Per poter meglio comprendere il tema che ci si propone di esaminare, cioè, l’acquiescenza al testamento, è opportuna l’analisi di due concetti del diritto delle successioni di particolare rilievo: la legittima e i legittimari.
Il testamento è un atto unilaterale, personale e non recettizio, con cui soggetto durate la sua vita, regola le sorti del proprio patrimonio una volta che egli avrà cessato di vivere.
Attraverso il testamento, ciascuno è libero di scegliere a chi lasciare cosa. Non si tratta tuttavia di una libertà assoluta, in quanto la legge prevede alcuni limiti di forma e di sostanza, che non possono essere superati. Uno dei limiti sostanziali è il rispetto della “quota legittima”.
L’art. 536 cod. civ. stabilisce in favore di alcuni familiari più stretti un quota (la legittima) di eredità; tali soggetti, detti legittimari, sono il coniuge (o l’unito civilmente), i figli (senza alcuna distinzione tra adottivi e non) e gli ascendenti.
Le quote di legittima sono variabili, a seconda della presenza e del numero dei legittimari. Ad esempio, al coniuge spetta il 50% del patrimonio ereditario (art. 540 c0d. civ.), ma se con il coniuge concorre un solo figlio, la quota di legittima è del 33% per ciascuno, mentre se concorrono due o più figli, la quota del coniuge è del 25%, mentre ai figli congiuntamente considerati spetta il 50% dell’eredità (art. 542 cod. civ.).
In altre parole, la legge tutela i legittimari riservandoli una quota di eredità del loro familiare, indipendentemente da quanto indicato nel testamento, tanto che essi hanno la possibilità di esperire l’azione di riduzione qualora il de cuius abbia devoluto loro una quota inferiore rispetto a quella prevista dalla legge.
ACQUIESCENZA TESTAMENTARIA: COSA POSSONO FARE I CHIAMATI ALL’EREDITÀ
Il momento della morte del de cuius segna l’apertura della successione e da quel momento in poi, diversi sono gli scenari che possono prospettarsi. I chiamati all’eredità possono scegliere se accettare o rinunciare alla stessa, infatti, solo in caso di accettazione si acquisterà lo status di erede.
Mentre l’accettazione può essere sia espressa che tacita, la rinuncia all’eredità può essere solo espressa, attraverso una dichiarazione formale consegnata al notaio o al cancelliere del Tribunale del luogo ove si è aperta la successione, per garantire una certezza dei rapporti giuridici e richiamare l’attenzione del rinunciante sull’importanza dell’atto che sta realizzando.
QUAL È IL SIGNIFICATO DI ACQUIESCENZA
Oltre ad una breve introduzione sulle norme successorie, pare opportuno chiarire il significato di acquiescenza. Nel diritto civile, un soggetto che “presta acquiescenza”, pone in essere una condotta passiva nei confronti della volontà altrui, accettandone cioè determinati effetti nella propria sfera giuridica. Pur esistendo un qualche strumento a tutela del suo patrimonio, il soggetto che presta acquiescenza decide di non utilizzarlo, rinunciando a tale tutela.
QUAL È IL SIGNIFICATO DI ACQUIESCENZA TESTAMENTARIA: LA RINUNCIA ALL’AZIONE DI RIDUZIONE
Qualora il testamento assegni ai legittimari una quota di eredità inferiore a quella dovuta per legge, subendo come si dice una lesione di legittima, questi hanno la possibilità di esperire l’azione di riduzione (v. artt. 553 e ss. cod. civ.) per ottenere una sentenza che dichiari inefficaci gli atti donativi e testamentari che hanno leso la loro quota legittima e, pertanto, condanni alla restituzione in natura o per equivalente dei beni donati o acquisiti per testamento il violazione delle riserve previste dalla legge.
Con l’azione di riduzione il legittimario chiede la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della legittima (art. 553 cod. civ.), nonché la restituzione da parte di coloro che hanno ricevuto di più del dovuto, ed infine la restituzione da eventuali terzi acquirenti.
In via generale, l’azione di riduzione può essere esperita entro 10 anni dall’accettazione dell’eredità da parte del legittimario che abbia subito la lesione della sua quota, mentre se il legittimario è stato pretermesso (cioè completamente escluso dal testamento) può agire in giudizio per la riduzione senza dover prima accettare l’eredità non essendo stato chiamato alla stessa (v, Cass., SS.UU., sent. n. 20644/2004).
L’esperibilità di tale azione è preclusa espressamente ai donatari, ai legatari e ai creditori del de cuius, quando il legittimario abbia accettato con beneficio di inventario.
Orbene, adesso si può comprendere il significato di acquiescenza al testamento. Per il diritto successorio, prestare acquiescenza al testamento vuol dire rinunciare alla tutela della propria quota di eredità “legittima”, da parte dei legittimari lesi, che tramite la rinuncia all’azione di riduzione, prestano il proprio definitivo benestare alla volontà del testatore.
QUAL È LA NATURA GIURIDICA DELL’ACQUIESCENZA AL TESTAMENTO
Moto dibattuto in dottrina è il tema della natura giuridica dell’acquiescenza testamentaria, a causa del silenzio del legislatore. In particolare, si dibatte se l’acquiescenza testamentaria possa rientrare tra gli “atti” o i “fatti” giuridici.
Dai pochi scritti che si rinvengono sul tema, vediamo che la dottrina maggioritaria preferisce collocare l’acquiescenza al testamento nell’ambito dei fatti giuridici. Il problema però sta nella duplice qualificazione di fatto giuridico data dalla stessa dottrina, ovvero, da un lato come ciò che in base ad una norma giuridica determina effetti rilevanti per il diritto e dall’altro, come quei fenomeni temporali che non costituiscono attività volontarie dell’uomo.
Dire che l’acquiescenza del testamento è un fatto giuridico comporta una serie di problematiche, perché spesso in presenza di una c.d. dichiarazione o condotta concludente possono verificarsi diverse conseguenze tra cui quella di generare l’acquiescenza. Potere dirimente avrebbe la trascrizione dell’acquiescenza testamentaria.
L’atipicità dell’istituto richiede un particolare controllo da parte del giudice nell’eventualità in cui dovessero sorgere contestazioni, perché affinché venga fornita una corretta soluzione è necessario procedere attraverso un’interpretazione che non può trascurare l’elemento della volontà, infatti nei casi di maggior dubbio, il giudicante è tenuto a ricercare l’effettivo intento che ha spinto l’acquiescente ad accettare le disposizioni testamentarie.
COSA INTENDE LA CASSAZIONE PER COMPORTAMENTO INEQUIVOCO DI ACQUIESCENZA
L’atipicità dell’acquiescenza testamentaria ne rende i confini labili e aumenta i dubbi interpretativi sulla stessa, soprattutto nei casi di c.d. acquiescenza tacita.
Può accadere che un soggetto, attraverso comportamenti concludenti equivochi, realizzi una rinuncia tacita all’azione di riduzione. Quindi, nel caso in cui un successore pretermesso o leso nella sua quota legittima si accorga di aver subito un pregiudizio dalla disposizione testamentaria, deve ben guardarsi da comportamenti che possano far presumere la sua intenzione di rinunciare ad impugnare il testamento.
Tuttavia, come ha affermato la Cassazione, non basta un qualsiasi comportamento a generare la rinuncia all’azione di riduzione, ma deve trattarsi di manifestazione inequivoca, ovvero chiara e precisa, di volontà da parte del legittimario leso (Cass. Civ. Sez. II, 5 gennaio 2018 n. 168).
Bisogna quindi capire cosa intende la giurisprudenza di legittimità per comportamento “inequivoco” dell’erede che renda tale condotta incompatibile con una successiva volontà di impugnare il testamento.
Per fare qualche esempio, possiamo considerare l’accettazione di legato in sostituzione di legittima (art. 551 cod. civ.) oppure facta concludentia come ad esempio dare esecuzione al testamento, oppure mettere volontariamente nel possesso dei beni, il beneficiario della disposizione lesiva.
Al contrario, non rientra in tali condotte il mero atteggiamento di tolleranza da parte dell’erede leso o pretermesso che consenta ai beneficiari della disposizione lesiva di utilizzare momentaneamente e provvisoriamente i beni ereditari.
COME SI TRASCRIVE L’ACQUIESCENZA TESTAMENTARIA
Un problema frequente si riscontra in materia di trascrizione dei c.d. atti di “acquiescenza a disposizioni testamentarie”. Questa espressione è stata mutuata dalla prassi notarile, nella quale questi atti risultano molto frequenti al fine di evitare problemi che possono sorgere ogniqualvolta il testamento risulti viziato o per violazione della legittima o da altri vizi più gravi..
Il problema sta nel fatto che, non essendo previsto dalla legge, l’atto di acquiescenza a disposizioni testamentarie non rientra tra gli atti trascrivibili, però, come evidenziato dalla dottrina, sostanziandosi in realtà in una rinuncia espressa alla azione di riduzione, oppure in un’accettazione (tacita o espressa) da parte dell’erede chiamato, sarebbe trascrivibile ex artt. 475 e 476 cod. civ..
Quindi, l’atto di acquiescenza al testamento può essere trascritto con il verbale di pubblicazione di testamento, oppure con l’accettazione di eredità, oppure ancora con la rinunzia all’azione di riduzione (sul tema si veda la Circolare del 02 maggio 1995 n. 128 – Min. Finanze – Dip. Territorio Catasto).
QUALE DIFFERENZA TRA L’ACQUIESCENZA TESTAMENTARIA E LA TRANSAZIONE
L’acquiescenza del testamento non deve essere confusa con la transazione (contratto disciplinato dagli artt. 1965 ss, cod. civ.), nonostante l’esistenza di elementi affini tra gli istituti. Questo perché nonostante vi sia ancora un dibattito sulla sua natura, l’acquiescenza del testamento è caratterizzata dall’unilateralità, contrariamente alla transazione, che necessita dell’accordo tra le parti e pertanto, essendo un contratto, ha natura plurilaterale.
Ciò detto, tuttavia, l’acquiescenza al testamento può far parte di una transazione tra gli eredi.
Si pensi al caso del legittimario leso o pretermesso che, per evitare una possibile lite coi i coeredi, presti acquiescenza al testamento, ma in realtà aveva comunque ricevuto quanto gli spettava durante la vita del de cuius tramite donazioni dirette o indirette.
QUALE DIFFERENZA TRA L’ACQUIESCENZA TESTAMENTARIA E LA RINUNCIA ALL’EREDITÀ
Anche se possono apparire simili, non vanno assolutamente confusi gli istituti dell’acquiescenza testamentaria e la rinuncia all’eredità.
La differenza tra questi due istituti è palese, soprattutto dal punto di vista della funzione e degli effetti.
Sotto il primo aspetto, con la rinuncia all’eredità, un soggetto “chiamato all’eredità” (ma non ancora erede) che non ha ancora acquisito nel suo patrimonio i beni ereditari, manifesta la volontà di non voler acquisire lo status di erede e pertanto di voler rinunciare ad acquisire la quota di eredità a lui devoluta.
Al contrario, l’acquiescenza testamentaria può essere fatta solo dall’erede legittimario (la rinuncia all’azione di riduzione presuppone infatti l’accertamento dello status di erede) che pur avendo diritto per legge ad una quota dell’eredità, decida di non avvalersene.
Le maggiori differenze tra rinunciare all’eredità e prestare acquiescenza si riscontrano sul piano degli effetti.
In base all’istituto della rappresentazione ex artt. 467, 468 e 469 cod. civ, i discendenti di chi non ha accettato l’eredità, subentrano nel luogo e nel grado del loro ascendente. Se pertanto Tizio ha rinunciato all’eredità, saranno chiamati i suoi discendenti in luogo di Tizio.
Orbene, rinunciando all’eredità si verifica la c.d. traslazione della propria situazione di chiamato all’eredità verso i discendenti (figli), salvo che il testatore abbia disposto diversamente.
Al contrario, prestare acquiescenza al testamento non determina il meccanismo della rappresentazione, e quindi i discendenti dell’acquiescente non vengono chiamati all’eredità, né possono impugnare il testamento per la lesione della legittima del proprio ascendente.
Esiste però un caso in cui anche l’acquiescenza al testamento determina l’effetto della rappresentazione.
Si tratta dell’ipotesi in cui il legittimario sia totalmente pretermesso dal testamento. In altre parole, quando il de cuius non abbia lasciato niente ad un proprio parente stretto che sia legittimario (coniuge, genitori e figli), opera anche nei suoi confronti il meccanismo della rappresentazione.
Un esempio può aiutare a capire: il de cuius tramite testamento ha previsto che tutta la sua eredità venga trasmessa al coniuge, escludendo completamente il figlio. Tuttavia, questo piuttosto che impugnare il testamento, preferisce prestare acquiescenza (ad esempio poiché desidera avere nulla a che fare col padre).
In questa ipotesi, l’acquiescenza testamentaria ha i medesimi effetti della rinuncia all’eredità, in quanto il figlio (erede pretermesso) ha accettato (prestato acquiescenza) al fatto di non essere stato chiamato come erede: in pratica, ha rinunciato all’eredità.
Questo comporta che essendosi prodotti gli effetti della rinuncia, i discendenti dell’acquiescente saranno chiamati all’eredità “per rappresentazione”.
Deve essere precisato però che la dottrina non è concorde nell’ammettere il meccanismo della rappresentazione anche in questo caso. Stando alla interpretazione letterale della norma, la rappresentazione non opererebbe perché, mancando la delazione, al legittimario pretermesso non sarebbe devoluto nulla, mentre in base al disposto ex art. 467 cod. civ., la rappresentazione si verifica quando il chiamato all’eredità non possa o non voglia accettare la quota che gli è stata offerta, circostanza quest’ultima, come già detto, totalmente assente in caso di pretermissione.
LA REVOCA DELL’ACQUIESCENZA AL TESTAMENTO
L’acquiescenza al testamento non è revocabile. Una volta che l’erede abbia rinunciato all’azione di riduzione, non può tornare sulle proprie decisioni.
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Lo Studio degli Avvocati Enrico Legale Berti e Gabriele Toninelli si trova a Pistoia, in Piazza Garibaldi n. 5.
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