Il reato di minacce e le minacce sul lavoro
Come difendersi dal reato di minacce
Il reato di minacce è un tema attuale e meritevole di attenzione, e conoscerlo può aiutare a comprendere quando e come difendersi, permettendo alla legge di intervenire a tutela della propria libertà psichica e morale.
Quando è possibile presentare una segnalazione ai carabinieri per minacce? Qual è l’elemento oggettivo del reato? Qual è e l’elemento soggettivo del reato? Quando si parla di minaccia aggravata? Come comportarsi nel caso in cui si subiscano minacce sul lavoro oppure addirittura si ricevano minacce dal datore di lavoro?
Il reato di minacce è uno degli illeciti più discussi nelle aule di giustizia; la fattispecie criminosa è disciplinata dall’articolo 612 del Codice Penale, il quale si compone di tre commi: “Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno. Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339”.
In alcuni casi, la minaccia costituisce una modalità di esecuzione di un reato diverso e più grave. Si pensi al reato di violenza privata ex art. 610 c.p., a quello di violenza o minaccia a pubblico ufficiale ex art. 336 c.p., al reato di maltrattamenti nei confronti dei familiari ex art. 572 c.p., oppure al reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., oppure ancora, quando si ricevono minacce sul lavoro, e addirittura minacce dal datore di lavoro, alla fattispecie del mobbing. Si dice che il reato di minacce ex art. 612 c.p. viene “assorbito” dalla fattispecie più grave, che viene applicata.
In altri casi, le minacce costituiscono non una fattispecie di reato, ma una circostanza aggravante, che laddove presente, aumenta la pena applicata per il reato-base, come il caso previsto all’art. 339 c.p. in cui la minaccia aggrava i reati commessi dai privati contro la pubblica amministrazione (articoli 336 e ss c.p.).
La minaccia non rileva solamente sul piano penale, ma anche sul piano civile. Un contratto è annullabile se il consenso è stato viziato dalla minaccia di un male ingiusto e notevole. Inoltre la Corte di Cassazione è intervenuta a più riprese anche in materia di minacce sul luogo di lavoro. L’articolo approfondisce la posizione di chi subisce minacce dal datore di lavoro.
Infine l’articolo affronta, ribaltando la prospettiva, come difendersi da un’accusa del reato di minacce che si ritiene infondata.
Gli argomenti trattati in questo articolo sono:
- Dove è disciplinato il reato di minacce
- Qual è il bene giuridico tutelato dal legislatore nel reato di minacce
- Qual è l’elemento oggettivo del reato di minacce
- Qual è l’elemento soggettivo del reato di minacce
- Cosa si intende per danno ingiusto nel reato di minacce
- Reato di minacce: quando si configura la minaccia aggravata
- Qual è la posizione in tema di minaccia grave della giurisprudenza
- Qual è la procedibilità del reato di minacce:
- A chi spetta la competenza penale in sede di reato di minacce:
- Quando si può configurare il tentativo del reato di minacce:
- Quale differenza tra il reato di minacce e la violenza privata:
- Quando il reato di minacce viene “assorbito” da altre fattispecie
- Qual è la relazione tra il reato di minacce e quello di violenza sessuale:
- Cosa succede se il reato di minacce è rivolto contro pubblici ufficiali:
- Cosa fare quando si è vittima di minacce verbali sul posto di lavoro:
- Reato di minacce: cosa rischia l’autore di minacce sul lavoro:
- Cosa succede quando le minacce dal datore di lavoro provocano le dimissioni del dipendente:
- Reato di minacce: quali sono le recenti pronunce della cassazione circa le minacce sul lavoro:
- Come difendersi dalle false accuse di minacce:
- Quando è possibile richiedere un risarcimento per le false accuse di minacce:
DOVE È DISCIPLINATO IL REATO DI MINACCE
Il reato di minacce è disciplinato dall’articolo 612 del Codice Penale, il quale al primo comma ne descrive la fattispecie base, al secondo ne configura l’aggravante della minaccia aggravata e al terzo ne sancisce la procedibilità.
Il primo comma stabilisce che “Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032”.
QUAL È IL BENE GIURIDICO TUTELATO DAL LEGISLATORE NEL REATO DI MINACCE
La disposizione di cui all’articolo 612 c.p. è stata introdotta con il fine di tutelare la serenità psichica della vittima del reato di minacce; il bene giuridico salvaguardato, dunque, è la libertà morale, intesa quale libertà da comportamenti altrui che siano in grado di ledere lo stato di tranquillità di una persona.
Perché una minaccia risulti idonea a turbare lo stato psichico del soggetto passivo, è necessario considerare le circostanze concrete in cui il reato di minacce si è verificato, nonché le condizioni personali della vittima.
Secondo la giurisprudenza, la minaccia deve essere seria, ragionevolmente verosimile ed applicabile.
Il reato di minacce di cui all’articolo 612 c.p. configura un illecito di pericolo e non di danno. La minaccia è punita in quanto idonea ad intimorire, cioè a mettere in pericolo la libertà morale del soggetto passivo, ossia di chi riceve la minaccia, a nulla rilevando che questo ne sia effettivamente intimorito.
QUAL È L’ELEMENTO OGGETTIVO DEL REATO DI MINACCE
Si tratta di un reato comune: l’autore dell’illecito (c.d. soggetto attivo) può essere qualunque persona, indipendentemente dal possesso di determinate qualità soggettive.
Occorre precisare cosa abbia voluto intendere il legislatore con il verbo “minacciare” (alla definizione di “fatto ingiusto” dedicheremo un apposito paragrafo nel proseguo della lettura): per “minaccia” è da intendere qualsiasi comportamento intimidatorio rivolto alla sfera personale della vittima, tale per cui risulta compromessa la capacità di quest’ultima di autodeterminarsi a causa del turbamento psichico suscitato; non rilevano le modalità con le quali la minaccia è rivolta, né che questa sia espressa in modo esplicito che implicito: si tratta di un reato cd. a forma libera.
Il reato di minacce, dunque, consiste nella prospettazione di un danno futuro ed ingiusto, anche in maniera non esplicita. La minaccia considerata non è solamente quella verbale o scritta, ma anche quella espressa mediante un comportamento, ad esempio, l’indirizzare un’arma verso una persona.
Il male ingiusto può consistere, oltre che in un comportamento attivo, in una omissione di un dovere giuridico. Ne è esempio il chirurgo che minaccia il paziente di non effettuare l’intervento.
La giurisprudenza sul reato di minacce stabilisce che è sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire essendo irrilevante, invece, l’indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente.
Continuando l’analisi dell’elemento oggettivo, il reato di minacce si consuma quando la minaccia viene percepita.
Il soggetto passivo del reato deve pertanto comprenderne il significato. Da questo punto di vista, il reato è escluso se commesso nei confronti di una persona assolutamente incapace di intendere, o nei confronti di persona che non conosce la lingua in cui la minaccia è prospettata.
È altresì escluso il reato di minaccia nei confronti di una persona indeterminata.
La percezione della minaccia può essere anche indiretta: non necessariamente il soggetto passivo deve essere presente, potendo venire a conoscenza della minaccia anche in un momento successivo.
QUAL È L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO DI MINACCE
L’elemento soggettivo del reato di minacce è il dolo generico: è sufficiente che l’autore si rappresenti e voglia compiere l’azione criminosa. Come ribadito altresì dalla sentenza n.1690/2017 della Corte di Cassazione: “l’elemento soggettivo del reato di minacce si caratterizza per il dolo generico consistente nella cosciente volontà di minacciare un male ingiusto, indipendentemente dal fine avuto di mira”.
Il dolo generico richiede anche la conoscenza:
- dell’ingiustizia del danno,
- della percezione della minaccia da parte del soggetto passivo.
COSA SI INTENDE PER DANNO INGIUSTO NEL REATO DI MINACCE
Il primo comma dell’articolo 612 c.p. cita la locuzione “ingiusto danno”.
Il danno è la lesione di un interesse personale meritevole di tutela da parte della legge.
Nel caso del reato di minacce, l’interesse personale può essere di natura personale, come la vita, la salute, l’incolumità fisica, oppure patrimoniale.
Si può trattare di un diritto soggettivo, come appunto la incolumità fisica, oppure anche di un interesse, come quello alla conservazione del posto di lavoro.
Non necessariamente il titolare dell’interesse personale o patrimoniale deve coincidere con il destinatario della minaccia.
L’ingiustizia deriva dalla natura del danno prospettato, il quale è “contra ius” cioè contrario al diritto e pertanto configurante una fattispecie criminosa prevista dall’ordinamento quale illecito.
Non è da considerare ingiusto il danno causato in conseguenza dell’esercizio di un proprio diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica, a meno che il danno prospettato sia esorbitante. È il caso del reato di minacce dal datore di lavoro che prospetti il licenziamento di una propria dipendente senza alcuna motivazione plausibile.
REATO DI MINACCE: QUANDO SI CONFIGURA LA MINACCIA AGGRAVATA
Mentre il primo comma dell’art. 612 c.p. descrive la fattispecie base, il secondo comma descrive la circostanza aggravante del reato di minacce: “[..] se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno”.
Occorre premettere che si tratta, appunto, di una circostanza aggravante, e non di una fattispecie autonoma del reato di minacce, dal che consegue, sul piano pratico, la possibilità di applicare alla minaccia aggravata il meccanismo del concorso di circostanze ex art. 63 e ss cod. pen..
Affinché sia integrata la minaccia aggravata, è necessario svolgere una valutazione circa la gravità del danno prospettato ed alla capacità intimidatrice della minaccia, in base alle modalità ed alle circostanze concrete del reato, che siano queste di tipo sia oggettivo che soggettivo.
Il comma in questione rimanda altresì alle modalità di cui all’articolo 339 cod. pen. : “le pene [..] sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte”. In sintesi, per potersi parlare di minaccia aggravata, si deve tener conto di tutte quelle situazioni in cui la libertà morale del soggetto passivo viene costretta maggiormente. Poiché il turbamento, inteso quale effetto psicologico della minaccia, varia da soggetto a soggetto e dipende dalle particolari circostanze del singolo caso concreto, la posizione in materia di minaccia grave della giurisprudenza è quella contenuta nella sentenza n.35593/2015 della Corte di Cassazione: “[..] la gravità della minaccia va accertata avendo riguardo al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa [..]”.
La minaccia grave, infine, costituisce motivo di deroga all’ordinaria procedibilità del reato di minacce, ma a questo dedicheremo un apposito paragrafo.
QUAL È LA POSIZIONE IN TEMA DI MINACCIA GRAVE DELLA GIURISPRUDENZA
Al di fuori dei casi espressamente richiamati dal secondo comma dell’art. 612 cod. pen. (e cioè quando il reato di minacce avviene nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, oppure con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte) il problema della minaccia aggravata sta nel fatto che non sia possibile indicare, con certezza, il grado di intensità con cui viene turbata la serenità psichica dal reato di minacce. Analizziamo di seguito alcune pronunce in materia di minaccia grave della giurisprudenza, così da comprendere i parametri utilizzati e le posizioni assunte.
In materia di minaccia grave la giurisprudenza ha da tempo elaborato alcuni criteri per valutarne la gravità. Secondo la sentenza n. 35593/2015 della Cassazione “La gravità della minaccia va accertata avendo riguardo, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa.”
Più recentemente, la Corte d’Appello di Taranto (sentenza n. 60/2020) ha stabilito che in tema di minaccia aggravata “ Non occorre, altresì, che la minaccia di morte sia circostanziata, ben potendo, nonostante sia stata pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico, tenuto conto delle personalità del soggetto agente e passivo del reato”.
Altra pronuncia interessante è quella del Tribunale di Napoli n. 5087 del 2018, secondo cui “la capacità intimidatoria delle condotta deve essere accertata in maniera rigorosa sulla base di un metro di valutazione di carattere medio, con la valutazione di tutte le circostanze oggettive e soggettive di fatto”. Questo vuol dire che per valutare la gravità del turbamento psichico indotto dalla minaccia, occorre calarsi nella mente di una persona di media esperienza e conoscenza, avuto riguardo alle circostanze concrete del fatto.
I maggiori interventi in materia di minaccia grave della giurisprudenza riguardano le minacce di morte. Un ulteriore contributo proviene dalla sentenza n.1015/2014 del Tribunale di La Spezia: “risponde del reato di minaccia aggravata ai sensi dell’art. 612, comma 2, c.p., l’imputato che, nel minacciare di morte per mezzo di una pistola la persona offesa, pur non mostrando l’arma, detenga comunque in casa delle armi e tale circostanza sia nota alla vittima”.
Circa i mezzi utilizzati per la commissione del reato di minacce aggravate è intervenuta la Corte di Cassazione specificando, con la sentenza n.32368/2017, che “il mezzo utilizzato e la distanza non sono elementi in grado di escludere l’aggravante della gravità di una minaccia di morte”.
QUAL È LA PROCEDIBILITÀ DEL REATO DI MINACCE:
Il regime di procedibilità del reato di minacce è dettato dallo stesso articolo 612 del Codice Penale, il quale richiede la querela della persona offesa per la fattispecie base del primo comma.
Pertanto, la minaccia non grave viene perseguita dall’autorità giudiziaria solo a condizione che, entro tre mesi dalla commissione del reato, la persona offesa effettui la segnalazione ai carabinieri delle minacce (oppure ad altra forza dell’ordine, oppure direttamente alla Procura della Repubblica), nella forma della querela ex art. 336 c.p.p..
È invece prevista la procedibilità d’ufficio per alcuni casi di minaccia aggravata. In tal caso, la segnalazione ai Carabinieri delle minacce non necessita di particolari formalità, né è previsto il termine decadenziale di tre mesi dal verificarsi del fatto.
Occorre tuttavia precisare che, in virtù dell’art. 1, D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, non tutte le ipotesi di minaccia aggravata sono perseguibili d’ufficio.
La norma citata è infatti intervenuta a modificare la parte dell’art. 612 c.p. relativa alla procedibilità dell’illecito nei casi di una minaccia aggravata.
Fino all’entrata in vigore del decreto, la minaccia aggravata era sempre procedibile d’ufficio.
Successivamente, al fine di alleggerire il carico di lavoro delle Procure e della Polizia Giudiziaria, la procedibilità d’ufficio è rimasta solamente per la minaccia aggravata dal le circostanze di cui all’art. 339 c.p., cioè quando venga commessa:
- nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico,
- con armi,
- da persona travisata,
- da più persone riunite,
- con scritto anonimo,
- in modo simbolico,
- valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.
È invece stata introdotta la procedibilità su querela di parte per le ipotesi della minaccia “grave” in senso stretto.
Indubbio vantaggio della procedibilità a querela sa nel fatto che, chi ha commesso il reato di minacce semplici può evitare il processo penale tentando una riconciliazione con la vittima così che questa possa ritirare la querela mediante l’atto formale della remissione, a cui deve seguire l’accettazione dell’autore dell’illecito.
A CHI SPETTA LA COMPETENZA PENALE IN SEDE DI REATO DI MINACCE:
Oltre al regime sanzionatorio ed alla condizione di procedibilità, ulteriore differenza tra il reato di minacce semplici ed aggravate è la competenza penale del giudice. La competenza a giudicare il reato di minacce di cui all’articolo 612 c.p. è diversa a seconda che la fattispecie sia commessa o meno con le modalità di cui al secondo comma.
Per il reato di minacce non gravi, punibile con la sola sanzione pecuniaria della multa fino a 1.032 euro, è competente il Giudice di Pace in base all’art. 4 del dlgs 274/2000.
La competenza spetta al Tribunale Monocratico nelle ipotesi di minacce aggravate.
QUANDO SI PUÒ CONFIGURARE IL TENTATIVO DEL REATO DI MINACCE:
È oggetto di discussione in dottrina la configurabilità del tentativo del reato di minacce: per taluni appare giuridicamente impossibile, seppur ipotizzabile astrattamente.
Per altri, il tentativo sarebbe impossibile solamente per il reato di minacce semplici ( ma non nelle ipotesi di minaccia aggravata) poiché la procedibilità a querela della persona offesa presuppone la percezione dell’effetto minatorio da parte della vittima.
Basti pensare ad una busta contenente proiettili di pistola – e costituente, dunque, una minaccia grave per la giurisprudenza – che viene intercettata ovvero non recapitata al destinatario. È questa un’ipotesi su cui è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n.9362/2014. La pronuncia ha evidenziato che la posizione in materia di minaccia grave della giurisprudenza è quella della configurabilità del tentativo di minacce “quando il reato può essere commesso mediante un processo esecutivo frazionabile”.
QUALE DIFFERENZA TRA IL REATO DI MINACCE E LA VIOLENZA PRIVATA:
L’articolo 610 c.p. descrive il reato di violenza privata: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni. La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute all’articolo 339”.
Il bene giuridico che il legislatore ha voluto tutelare è il medesimo del reato di minacce: la libertà morale, intesa quale “libertà psichica contro ogni turbativa determinata anche semplicemente da attività di disturbo e molesta”.
Come per il reato di minacce, anche per il reato di violenza privata le concrete modalità della minaccia rilevano solamente se rientrano tra quelle elencate all’articolo 339 del Codice Penale, che anche in questa fattispecie costituiscono un’aggravante.
La differenza che intercorre tra le due fattispecie è la struttura della minaccia: questa è generica e incondizionata nel reato di minacce di cui all’articolo 612 del Codice Penale, è condizionata al compimento di una determinata condotta nell’illecito di violenza privata.
QUANDO IL REATO DI MINACCE VIENE “ASSORBITO” DA ALTRE FATTISPECIE
In alcuni casi, la minaccia rileva quale elemento costitutivo di altri reati. Si dice che in questi casi il reato di minacce viene assorbito dalle altre fattispecie più gravi, che vengono applicate in luogo dell’art. 612 c.p..
L’articolo 629 c.p. descrive il reato di estorsione: “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé p ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000”; in tal caso la minaccia deve essere diretta a determinare la volontà della vittima così che questa possa compiere un atto che, in alternativa, non avrebbe compiuto. Nella fattispecie di cui all’articolo 629 del Codice Penale, la minaccia può consistere altresì in un comportamento omissivo (basti pensare alla ricezione di minacce dal datore di lavoro che prospetta di non rinnovare il contratto di lavoro ad un proprio dipendente qualora questo si rifiuti di accettare trattamenti retributivi deteriori).
Ancora, il reato di minacce viene assorbito nella fattispecie di rapina, disciplinata dall’articolo 628 del Codice Penale: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante [..] minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.5000”.
QUAL È LA RELAZIONE TRA IL REATO DI MINACCE E QUELLO DI VIOLENZA SESSUALE:
L’articolo 609-bis c.p. disciplina il reato di violenza sessuale: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.
La violenza sessuale “per costrizione” consiste nel coartare la volontà della vittima, mediante la prospettazione di un male notevole ed ingiusto, al fine di ottenere prestazioni sessuali. Sull’utilizzo come mezzo intimidatorio della minaccia grave la giurisprudenza della Cassazione è intervenuta con la recentissima sentenza n.3224/2021 stabilendo che: “[..] integra il reato di violenza sessuale nella forma cd. “per costrizione” qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, ivi compresa l’intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali [..]”. Ancora “[..] ai fini della sussistenza del reato di violenza sessuale è sufficiente che la condotta tenuta dall’agente denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima, tale cioè da costringerla, attraverso condotte minacciose [..] che la vittima percepisca come tali, a fare ciò che altrimenti non avrebbe fatto [..]”.
COSA SUCCEDE SE IL REATO DI MINACCE È RIVOLTO CONTRO PUBBLICI UFFICIALI:
Qualora il reato di minacce sia commesso contro un pubblico ufficiale, oppure contro un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle loro funzioni, si configura l’illecito di cui all’articolo 336 del Codice Penale, il quale stabilisce: “Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.
L’elemento costitutivo della minaccia, in questa specifica fattispecie, consiste nella prospettazione di un danno ingiusto, nell’accezione analizzata nei primi paragrafi del presente articolo, tale da costringere il soggetto passivo a compiere un’azione contraria ai suoi doveri, oppure ad omettere un atto dovuto.
Il reato di minacce a pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio può assumere la forma di una fattispecie diversa, la cosiddetta “resistenza a pubblico ufficiale”, disciplinata dall’articolo 337 del Codice Penale: “Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”; in tale ipotesi, a differenza di quanto avviene nell’illecito di cui all’articolo precedente, la minaccia non precede il compimento dell’atto da parte del pubblico ufficiale bensì è posta in essere contemporaneamente.
COSA FARE QUANDO SI È VITTIMA DI MINACCE VERBALI SUL POSTO DI LAVORO:
Le minacce sul lavoro e soprattutto le minacce dal datore di lavoro sono spesso al centro di dibattiti in dottrina e giurisprudenza.
Il nostro ordinamento protegge il lavoratore dalle minacce sul lavoro consentendogli, in primo luogo, di presentare una segnalazione ai carabinieri per minacce e, se il caso, presentare querela per potersi tutelare in sede penale.
Nel caso opposto in cui sia il lavoratore a rivolgere minacce al datore di lavoro, rischia il licenziamento per giusta causa. L’art. 2119 cod. civ. permette la risoluzione del contratto di lavoro, nel caso di violazione degli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione del dipendente nei confronti del datore di lavoro. Nel caso di cui si è occupata nella ordinanza 3115/2018, la Cassazione ha ritenuto che le minacce di morte, seppur in un contesto non caratterizzato da una conversazione animata, siano idonee ad infrangere il rapporto fiduciario tra imprenditore e subordinato.
REATO DI MINACCE: COSA RISCHIA L’AUTORE DI MINACCE SUL LAVORO:
Le minacce sul lavoro possono configurare, come abbiamo avuto modo di analizzare, più fattispecie di illeciti: dal semplice reato di minacce disciplinato dall’articolo 612 c.p. al reato di estorsione analizzato nei paragrafi precedenti; anche le minacce verbali sul posto di lavoro non sono da sottovalutare e consentono al destinatario di avanzare una segnalazione ai carabinieri per minacce.
Per quanto riguarda le minacce del datore di lavoro è intervenuta a più riprese la Corte di Cassazione. Nella sentenza 28682/2008, ha stabilito che il datore di lavoro che non rispetta, a titolo di trattamento economico, i minimi contrattuali, con la minaccia di licenziare i lavoratori che non accettano il trattamento peggiorativo, è condannabile per estorsione.
COSA SUCCEDE QUANDO LE MINACCE DAL DATORE DI LAVORO PROVOCANO LE DIMISSIONI DEL DIPENDENTE:
Qualora il dipendente destinatario di minacce dal datore di lavoro decida di rassegnare le dimissioni, queste sono impugnabili per vizio del consenso, in quanto queste non sono effettivamente volute bensì estorte mediante minacce sul lavoro.
Il dipendente che voglia ritornare sui suoi passi può quindi chiedere l’annullamento delle dimissioni e riottenere il proprio posto di lavoro ex articolo 1438 c.c. Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n.14321/2017, confermando l’annullabilità delle dimissione estorte mediante minacce sul lavoro, specificando però quanto segue: “[..] le dimissioni possono essere annullate per vizio della volontà solo quando la minaccia del licenziamento è ingiusta, ma in tal caso l’onere di fornire la prova dell’invalidità delle stesse grava sul lavoratore che propone l’azione di annullamento [..]”; ancora, la sentenza n.4006/2017: “ [..] le dimissioni sono valide se il dipendente non dimostra la violenza morale con cui il datore di lavoro intende conseguire, mediante le dimissioni, un vantaggio ingiusto”.
REATO DI MINACCE: QUALI SONO LE RECENTI PRONUNCE DELLA CASSAZIONE CIRCA LE MINACCE SUL LAVORO:
Analizziamo di seguito alcune delle più note sentenze della Corte di Cassazione in materia di minacce verbali sul posto di lavoro, da parte del datore.
La recente sentenza n.7225/2019 ha stabilito che commette il reato di minacce il datore di lavoro che induce alle dimissioni un dipendente con atti intimidatori, confermando la condanna irrogata dal Tribunale di Trieste a causa di una minaccia verbale sul posto di lavoro; la Corte ha evidenziato come la minaccia utilizzata fosse volta a “prospettare un male idoneo ad incutere timore”.
Dello stesso anno è la sentenza n. 7034 in cui la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sul tema delle minacce verbali sul posto di lavoro confermando la condanna di un datore di lavoro che aveva minacciato un dipendente di licenziamento. Un caso emblematico in materia di minacce dal datore di lavoro è quello su cui è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di Cassazione con la sentenza n.2217/2019, condannando per estorsione il datore che aveva minacciato un proprio dipendente qualora non avesse detto il falso circa il proprio infortunio sul posto di lavoro.
COME DIFENDERSI DALLE FALSE ACCUSE DI MINACCE:
Chi è oggetto di segnalazione ai carabinieri per minacce, qualora ritenga che si tratti di false accuse di minacce, può tutelarsi, in primo luogo, difendendosi nel procedimento penale a suo carico eventualmente instaurato.
In secondo luogo, è possibile valutare l’opportunità di presentare una querela per calunnia.
Il reato di calunnia è previsto dall’articolo 368 c.p. e stabilisce: “Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, [..] incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni”.
Nel caso in esame, la calunnia consiste nel muovere, nei confronti di un soggetto determinato o determinabile, false accuse di minacce, mediante una comunicazione all’autorità giudiziaria o alle forze dell’ordine, anche senza particolari formalità, ad esempio, anche tramite una semplice segnalazione ai carabinieri di minacce.
Al fine di dimostrare la calunnia, tuttavia, non è sufficiente dimostrare la propria estraneità circa le false accuse di minacce ricevute, ma è altresì necessario provare che il querelante fosse a conoscenza della falsità della propria accusa.
QUANDO È POSSIBILE RICHIEDERE UN RISARCIMENTO PER LE FALSE ACCUSE DI MINACCE:
Nel caso in cui si ritenga di essere stati destinatari di false accuse di minacce, è possibile richiedere un risarcimento dei danni eventualmente subiti dalla calunnia.
La segnalazione ai carabinieri per minacce comporta l’avvio di un procedimento a carico dell’autore del presunto illecito, il quale inevitabilmente vede stravolta la propria vita sul piano morale e materiale e pertanto ha diritto ad un equo risarcimento.
Il risarcimento del danno per false accuse di minacce può essere richiesto durante il processo per calunnia, costituendosi parte civile ex articolo 76 c.p.p..
Altrimenti, qualora si ritenga opportuno agire al di fuori del processo penale, il termine di prescrizione della richiesta in sede civile di risarcimento del danno per false accuse di minacce è stabilito dall’articolo 2947 del Codice Civile, il quale lo fissa in 6 anni dal compimento del fatto illecito e dunque dalla ricezione delle false accuse di minacce.
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