art 595 c p

Il reato di diffamazione art 595 c p

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Autore: Avv. Gabriele Toninelli

Come viene disciplinata la diffamazione ex art 595 cp.

Il reato di diffamazione art. 595 c p.

Chi pronuncia parole offensive nei confronti di una terza persona non presente, potrebbe incorrere nel reato di diffamazione così come sancito dall’art. 595 c p.
Nel linguaggio comune, il termine “diffamazione” viene utilizzato spesso come sinonimo di ingiuria o di calunnia, trattandosi in realtà di illeciti molto diversi tra di loro.
L’art 595 c p. stabilisce che chiunque, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1032 euro, e «se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato la pena è della reclusione fino a due anni ovvero della multa fino a 2065 euro»; se invece l’offesa è recata col mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro; ed infine se l’offesa è recata ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad un’autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate fino ad un terzo. In altre parole, l’articolo 595 del codice penale punisce colui che, comunicando con più persone, rechi volontariamente un’offesa alla reputazione di un soggetto assente.
Il reato di diffamazione di cui all’articolo 595 c p. viene punito più severamente di quanto fosse previsto per la fattispecie dell’ingiuria (oggi depenalizzata e ridimensionata a mero “illecito civile”), distinguendosene, come meglio vedremo nel proseguo della trattazione, per la presenza di “più persone” e per l’assenza della persona cui le offese sono rivolte.
La ratio dell’articolo 595 c p. è ben evidente: il legislatore ha voluto tutelare la reputazione dell’individuo, intesa quale considerazione e stima che le altre persone hanno della sua sfera morale.
La diffamazione è un reato “di evento” che si consuma nel momento in cui vi è la percezione dell’offesa da parte del destinatario.
Sotto il profilo dell’elemento psicologico, è sufficiente che sussista il dolo generico, inteso quale coscienza e volontà di comunicare a più persone espressioni lesivi della reputazione di un terzo assente.
In relazione all’illecito di diffamazione di cui all’articolo 595 del codice penale si ritiene ammissibile il tentativo, ma si tratta di ipotesi più teoriche che pratiche, rare e del tutto eccezionali: si pensi ad esempio al caso in cui un soggetto offenda la reputazione di un altro, tentando di inviare una e-mail a più persone, che tuttavia non giunga a nessuna di esse, per cause indipendenti dalla sua volontà.
Tuttavia, non sempre la diffamazione è punita: occorre considerare l’esercizio del diritto di cronaca e di critica, l’esercizio del diritto di difesa nei procedimenti civili e penali, nonché l’esimente della provocazione di cui all’art 599 cp.

Il presente contributo analizza brevemente tutti gli aspetti essenziali dell’illecito di diffamazione, soffermandosi in particolare sulla diffamazione a mezzo stampa, ipotesi particolarmente frequente con l’utilizzo dei social network: quando si commette, come difendersi, quali rimedi giurisprudenziali sono stati individuati dal legislatore e qual è la differenza tra calunnia e diffamazione e tra ingiuria e diffamazione.


IN COSA CONSISTE IL REATO DI DIFFAMAZIONE DI CUI ALL’ARTICOLO 595 C P.

Il reato di diffamazione disciplinato dall’articolo 595 c p. consiste nel divulgare espressioni offensive, rivolte nei confronti di un soggetto assente, comunicando con terzi.
La comunicazione può essere verbale, ma anche scritta (come per esempio una e-mail inviata a più persone): in altre parole, qualsiasi condotta offensiva può integrare il reato di diffamazione ex articolo 595 c p.

Alla luce di quanto detto finora, i presupposti del reato di diffamazione ex articolo 595 c p. sono:

  • la circostanza che le espressioni diffamatorie siano comunicate a “più persone”, almeno due, in grado di percepirle. Sul punto, la giurisprudenza ha specificato che non necessariamente le persone devono essere simultaneamente presenti, potendosi avere il reato anche qualora le espressioni diffamatorie vengono comunicate a più persone in momenti diversi. Inoltre, la condotta in esame può configurarsi anche quando l’offesa sia comunicata ad una sola persona affinché la comunichi a terzi.
  • la circostanza che le espressioni offensive non vengano comunicate direttamente alla persona offesa, che deve essere “assente” e cioè non presente nel luogo e nel momento in cui viene consumato il reato.
  • Infine, l’elemento soggettivo del reato di diffamazione cui all’art 595 cp. è rappresentato dal dolo generico, anche in forma eventuale, inteso quale coscienza e volontà di screditare e offendere difronte a due o più persone un soggetto assente.


ART. 595 CP.: QUALI SONO LE ESPRESSIONI VIETATE

Le espressioni vietate dall’art. 595 c p. sono, in genere, quelle che offendono la reputazione personale.
Ma cosa si intende per reputazione? Spesso viene confusa con l’onore, trattandosi in realtà di due “beni giuridici” diversi, entrambe tutelati dalla legge.
Mentre l’onore è riferito al valore intrinseco della persona, la reputazione è invece proiettata nel contesto sociale di riferimento, “da intendersi come il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico” (Cass. pen., Sez. V, 24/11/2016, n. 4672). Si tratta della considerazione che i membri della società hanno – o dovrebbero avere – della persona nei confronti della quale le offese sono rivolte, in particolare modo circa le sue qualità morali e umane.
La tutela che il legislatore ha voluto fornire alla reputazione è giustificata dall’importanza che questa ricopre nella vita collettiva: una cattiva reputazione potrebbe compromettere sia i rapporti personali che quelli professionali.
Come si vede, il concetto di reputazione è strettamente legato al sentire collettivo di un cero momento storico. Così, ad esempio, l’espressione “omosessuale” a differenza del passato, oggi non è più avvertita come lesiva della reputazione.
A torto si ritiene che anche attribuire fatti non veri ad una persona, rientri nella diffamazione. In realtà non è così, poiché non necessariamente una notizia falsa è anche lesiva della reputazione. Tuttavia, occorre tener conto non solamente del significato intrinseco dei termini utilizzati o del concetto veicolato, ma anche delle implicazioni che la sua divulgazione assume in ragione delle qualifiche soggettive della persona a cui il fatto non vero viene accostato. Ad esempio, appellare qualcuno come “no vax” non è di per sé oggettivamente lesivo della reputazione, ma può esserlo se viene riferito a qualcuno che lavora in ambiente sanitario.


QUALI POSSONO ESSERE I SOGGETTI ATTIVI E PASSIVI DEL REATO DI CUI ALL’ARTICOLO 595 C P.

Quello disciplinato dall’articolo 595 c p. è un reato “comune” e ciò significa che chiunque può rischiare di essere punito per il reato di diffamazione, non essendo richieste, per il soggetto attivo, qualità particolari.
La questione diventa più spigolosa con riferimento al destinatario delle offese: ci si è domandati se tutti gli individui possano essere annoverati tra i soggetti passivi del reato di cui all’articolo 595 c p. o se talune categorie ne restino fuori.
Il dibattito si è incentrato soprattutto in relazione ai soggetti infermi di mente e ai minori poiché questi potrebbero non percepire l’offesa e di conseguenza non patirebbero alcuna diminuzione della propria reputazione.
La dottrina è intervenuta sul tema, riconoscendo in larga parte che tali soggetti godono della tutela giurisdizionale offerta dall’articolo 595 c p., giacché sia la minore età che l’infermità mentale non escludono la dignità personale.
Oltre alle persone fisiche, il reato di cui all’art 595 c p può interessare anche persone giuridiche (enti o società) in quanto rappresentative di un interesse collettivo unitario, nonché dei singoli componenti.
La legge, ed in particolare l’art. 597 c.p. ammette che soggetto passivo della diffamazione sia anche una persona deceduta, in tal caso a presentare querela per diffamazione sono i parenti stretti. Infatti, il terzo comma stabilisce che “Se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine per proporre la querela, o se si tratta di offesa alla memoria di un defunto, possono proporre querela i prossimi congiunti, l’adottante e l’adottato. In tali casi, e altresì in quello in cui la persona offesa muoia dopo avere proposta la querela, la facoltà indicata nel capoverso dell’articolo precedente spetta ai prossimi congiunti, all’adottante e all’adottato.
In ogni caso, il diffamato deve essere persona (fisica o giuridica) individuata o facilmente individuabile. Non è pertanto necessario che la comunicazione diffamatoria contenga nome della “vittima”.


QUALI SONO LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI SANCITE DALL’ARTICOLO 595 C P.

L’offesa consumata mediante il reato di diffamazione, viene aggravata dal ricorrere di alcune circostanze, con la conseguenza che la pena per la diffamazione viene inasprita.

  • Il secondo comma dell’articolo 595 c p. stabilisce che «se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni ovvero della multa fino a 2065 euro»: il fatto determinato a cui tale disposizione normativa si riferisce è quel fatto specificamente individuato nel tempo e nel luogo ovvero nelle sue modalità essenziali.
  • Ai sensi del terzo comma dell’articolo 595 c p. «se l’offesa è recata con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro»: la nozione di stampa inserita nel penultimo comma dell’articolo 595 c p. è dettata dall’articolo 1 della legge n.47 del 1948 ed è identificata in tutte le riproduzioni tipografiche o ottenute con mezzi meccanici finalizzate alla pubblicazione o comunque rivolte ad un numero indeterminato di persone. È questa l’aggravante che concerne le ipotesi di diffamazione consumate tramite i social network.
  • Infine, ex ultimo comma dell’articolo 595 c p. «se l’offesa è recata a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad un’autorità costituita in collegio le pene sono aumentate» anche in quest’ultima ipotesi i soggetti destinatari delle offese non devono essere presenti al momento della comunicazione altrimenti si configurerebbe il reato di oltraggio a corpo politico, amministrativo o giudiziario di cui all’articolo 342 del codice penale.


QUANDO AVVIENE LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA EX TERZO COMMA DELL’ARTICOLO 595 C P.

La diffamazione a mezzo stampa è una lesione alla reputazione, considerata più grave rispetto alla fattispecie ordinaria di cui al primo comma dell’articolo 595 c p. in quanto consistente in un’offesa pubblica e come tale capace di giungere a una molteplicità di persone.
In tale ipotesi, la pena per la diffamazione, in virtù della maggiore gravità dell’illecito, varia dai un minimo di sei mesi a un massimo di tre anni di reclusione ovvero in una multa non inferiore a 516 euro.
Il reato in questione resta sempre perseguibile a querela per diffamazione da parte della persona offesa, ma a risponderne in sede penale è sia colui che ha personalmente divulgato le offese, sia – ex articolo 57 del codice penale – il direttore o vicedirettore della testata che abbia omesso di esercitare il controllo sui contenuti pubblicati.
Nell’ipotesi di stampa non periodica, vengono chiamati in causa l’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, ovvero lo stampatore se l’editore non è indicato o non è imputabile ex articolo 57 bis del codice penale.
Infine, il reato di diffamazione può configurarsi anche quando l’espressione denigratoria sia contenuta soltanto nel titolo dell’articolo così come stabilito in materia di diffamazione a mezzo stampa dalla giurisprudenza con la recente sentenza della Corte di Cassazione n.6110/2019.


ART 595 C P: QUAL È L’ORIENTAMENTO IN TEMA DI DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA DELLA GIURISPRUDENZA

Una particolare tematica ha impegnato la giurisprudenza in materia di diffamazione a mezzo stampa: quali sono i mezzi di comunicazione annoverabili nel concetto di stampa, alla luce della rivoluzione tecnologica. Ci si è interrogati cioè circa la possibilità che i nuovi mezzi di comunicazione, che presentano analogie con la stampa ordinaria, possano essere sottoposti alla medesima disciplina di cui al comma terzo dell’articolo 595 del codice penale.
In materia di diffamazione a mezzo stampa la giurisprudenza si è interrogata se i quotidiani online e i blog possano rientrare o meno nel concetto di stampa, come definito dall’art. 1 della Legge n. 47 del 1948: «sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».
La Corte di Cassazione ha affermato che non può essere esteso a tutti i siti internet, ma soltanto a quelli che presentano forti similitudini con le pubblicazioni della stampa professionale, escludendo pertanto i blog e le newsletter.
Con le sentenze della Corte di Cassazione n.31022/15 e n.1275/18 in tema di diffamazione a mezzo stampa la giurisprudenza ha affermato che nel concetto di stampa, in aggiunta ai mezzi elencati dall’articolo 1 della legge n.47 del 1948, sono ricomprese anche le testate telematiche.


QUANDO LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA EX TERZO COMMA DELL’ART 595 C P. NON È PUNIBILE

La tutela dell’onore e della reputazione da parte del legislatore, mediante la previsione dell’articolo 595 c p., trova un limite nel diritto fondamentale della libertà di espressione, stabilito dall’art. 21 della Costituzione, ed in particolare dal diritto di cronaca e di critica: «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione; la stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure».
Il reato di diffamazione a mezzo stampa non è punibile quando viene commesso nell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, in base all’art. 51 c.p., poiché in questi casi prevalgono i diritti costituzionali.
Tuttavia, dietro la libertà di espressione non può celarsi qualsiasi vulnus all’onore ed alla reputazione personale. In materia di diffamazione a mezzo stampa, la giurisprudenza ha individuato i limiti entro i quali è possibile esercitare liberamente il diritto di cronaca, ed al di fuori dei quali si rischia una denuncia per diffamazione ex articolo 595 del codice penale

  • la verità della notizia e quindi tutti quei casi in cui il fatto attribuito alla persona offesa corrisponda a verità e sia adeguatamente accertato;
  • la pertinenza della notizia e quindi che il fatto abbia rilevanza di interesse pubblico;
  • la continenza del linguaggio e quindi la modalità espressiva non deve essere in sé offensiva. In particolare, il criterio della continenza “comporta moderazione, misura, proporzione nelle modalità espressive, le quali non devono trascendere in attacchi personali diretti a colpire l’altrui dignità morale e professionale, con riferimento non solo al contenuto dell’articolo, ma all’intero contesto espressivo in cui l’articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie, trattandosi di elementi tutti che rendono esplicito, nell’immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, e quindi idonei, di per sé, a fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi” (Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 05/12/2014, n. 25739).


ART. 595 C P: QUANDO IL DIRITTO DI CRITICA SI TRASFORMA IN DIFFAMAZIONE

Altro limite della diffamazione consiste nell’esercizio del diritto di critica, per il quale i limiti scriminanti sono più ampi rispetto al diritto di cronaca. La critica consiste in un giudizio, e dunque nella elaborazione di un fatto, per cui sarebbe un controsenso imporre che la critica sia oggettiva ed imparziale. Il requisito della verità, quindi, deve essere accertato in maniera meno rigorosa, risolvendosi, in realtà, nella veridicità del fatto storico.
La satira è invece sottratta all’obbligo di verità, “in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito” (Cass. civ., Sez. VI – 3, Ordinanza, 17/09/2013, n. 21235).
Anche per quanto riguarda la continenza del linguaggio, la critica legittima gode di maggiori aperture rispetto al diritto di cronaca, essendo tollerato un linguaggio provocatorio, purchè non offensivo e immorale, che trascenda in attacchi personali che prescindono dal fatto storico. In particolare la critica politica “deve identificarsi, al più, in un motivato dissenso rispetto a questioni politiche ma non può ridursi in un’invettiva gratuita rivolta ad individui e/o aggregazioni determinate, selezionate solo alla luce del loro orientamento sessuale e non quali contradditori politici” (Cass. pen., Sez. V, 28/04/2022, n. 25759).


COS’È L’ESCLUSIONE DELLA PROVA LIBERATORIA NELLE IPOTESI TUTELATE DALL’ARTICOLO 595 CP

L’articolo 596 c.p. stabilisce che “Il colpevole dal delitto previsto dall’articolo precedente non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa”. Si tratta del principio dell’esclusione della prova liberatoria in relazione al reato di cui all’articolo 595 del codice penale, ciò vuol dire che la verità ovvero la notorietà dei fatti offensivi non escludono il reato di cui all’articolo 595 del codice penale e dunque la relativa prova è inammissibile.
I successivi commi dell’articolo 596 c.p. prevedono talune deroghe al principio dell’esclusione della prova liberatoria, che è ammessa a due condizioni:

  • da un lato, l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato,
  • dall’altro lato deve sussistere una delle tre ipotesi: a) se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni; b) se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale; c) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito. Negli altri casi, la possibilità di concedere all’offensore la prova liberatoria, è rimessa alla volontà delle parti, che di comune accordo possono, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto determinato attribuito.


QUANDO LA CONDOTTA DESCRITTA DALL’ARTICOLO 595 C P. NON È PUNIBILE

Così come l’art 599 cp. che analizzeremo nel prossimo paragrafo, anche l’articolo 598 c.p. prevede – in relazione al reato di cui all’articolo 595 del codice penale – una causa di esclusione della punibilità del fatto, qualora le offese siano contenute «negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’autorità giudiziaria ovvero dinanzi a un’autorità amministrativa qualora le offese concernano l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo».
Questa clausola di esclusione della punibilità, a tutela del diritto di difesa avanti all’autorità giudiziaria o amministrativa, opera tutte quelle volte in cui la condotta disciplinata dall’articolo 595 c p sia consumata all’interno delle aule di un tribunale ovvero contenuta in atti di parte o nelle memorie difensive purché il messaggio diffamatorio riguardi la causa per cui si sta procedendo.
La disposizione normativa in oggetto trova la propria ratio legis nell’esigenza del legislatore di garantire un libero processo nonché la libertà di discussione e di difesa alle parti e ai loro difensori.
Tuttavia, la norma non deve essere letta nel senso del diritto all’offesa, poiché il fatto che la diffamazione sia in questi casi privata di rilevanza penale, non vuol dire che resti senza conseguenze negative per l’offensore. Il secondo comma dell’articolo 598 c.p. prevede infatti che il giudice possa:

  • ordinare la cancellazione totale o parziale delle espressioni offensive che configurano il reato di diffamazione, qualora ritenute superflue rispetto al fondamentale esercizio del diritto di difesa,
  • assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.

Può infine segnalare il comportamento dell’offensore agli organi di controllo sul rispetto della deontologia professionale, in particolare alla luce dell’obbligo di correttezza, rispetto e decoro, per l’adozione di eventuali sanzioni disciplinari.


ART. 595 C P: COSA SANCISCE L’ART 599 CP. IN RELAZIONE AL REATO DI DIFFAMAZIONE

L’art 599 cp. prevede un’ulteriore causa di esclusione della punibilità della diffamazione: «non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall’articolo 595 del codice penale nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso».
Viene dunque richiamato l’istituto della provocazione che in tale ipotesi esclude la pena per diffamazione; si tratta di una figura giuridica controversa, cui natura è dibattuta tra quella di causa di giustificazione e di causa speciale di non colpevolezza (che viene riconosciuta dalla giurisprudenza più recente, si veda Cass. pen., Sez. V, Sentenza, 08/03/2021, n. 26477). Sul piano pratico, la differenza non è di poco conto, in quanto a a differenza della causa di giustificazione, la causa di non punibilità non esclude il risarcimento del danno in sede civile (artt. 2044 e 2045 c.c.), né si estende agli eventuali concorrenti nel reato, ma esclude la pena per il solo concorrente cui si riferisce.
Qualora le offese scaturissero da un particolare stato di rabbia, il reato di diffamazione non sarebbe meritevole di sanzione penale, purchè pronunciate “subito dopo” il fatto ingiusto altrui. Si pensi ad una lite con offese reciproche.
L’ingiustizia della provocazione è il presupposto necessario per l’esclusione della punibilità per il reato di diffamazione. Il fatto ingiusto citato dall’art 599 cp. è quel fatto contrario alle disposizioni dettate dal nostro ordinamento giuridico, non solo quando integra gli estremi di un illecito codificato, “ma anche quando consiste nella lesione di regole di civile convivenza, purché apprezzabile alla stregua di un giudizio oggettivo con conseguente esclusione della rilevanza della mera percezione negativa che di detta violazione abbia avuto l’agente” (Cass. pen., Sez. V, 08/04/2022, n. 27969)
La causa di esclusione della punibilità di cui all’art 599 cp. si considera applicabile anche nel caso in cui il soggetto offensore non sia la persona verso la quale il fatto ingiusto è stato compiuto, purchè sia a questa legato da un rapporto affettivo o familiare che giustifichi il gesto compiuto.

art 595 cp


ART 595 C P: COSA SUCCEDE DOPO AVER PRESENTATO QUERELA PER DIFFAMAZIONE

Dopo aver analizzato l’articolo 598 e l’art 599 cp. che escludono la punibilità del reato, vediamo cosa succede a seguito di una denuncia per diffamazione.
La persona offesa dal reato di cui all’articolo 595 c p può presentare una querela a seguito della diffamazione entro tre mesi dal momento in cui è venuta a conoscenza delle espressioni offensive che sono state pronunciate nei suoi confronti.
La denuncia per diffamazione può essere presentata presso qualsiasi presidio delle forze dell’ordine con o senza l’ausilio del proprio avvocato.
Se la notizia di reato viene ritenuta fondata, si apre la fase delle indagini preliminari, in cui la polizia giudiziaria e il pubblico ministero svolgono accertamenti per individuare i colpevoli e raccogliere le prove a carico e a discarico di questi.
Al termine delle indagini preliminari, se sono state raccolte informazioni a sufficienza per sostenere l’accusa in giudizio, inizia il processo penale nei confronti dell’imputato che quindi dovrà rispondere del reato di diffamazione ex articolo 595 c p. Il processo per diffamazione può celebrarsi davanti al giudice di pace (se non sono contestate le aggravanti dell’articolo 595 del codice penale) oppure avanti al tribunale (se viene contestata la diffamazione aggravata, come ad esempio la diffamazione tramite facebook).
La pena per la diffamazione semplice è la reclusione fino a un anno o la multa fino a 1032 euro, mentre la pena per diffamazione a mezzo stampa è la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a 516 euro. Infine la pena per la diffamazione consistente nell’attribuzione di un fatto determinato è la reclusione fino a due anni ovvero la multa fino a 2065 euro.


COME SI OTTIENE IL RISARCIMENTO A SEGUITO DEL REATO DI DIFFAMAZIONE EX ARTICOLO 595 C P.

Oltre alla pena per la diffamazione, l’offensore rischia di dovere risarcire il danno patito dalla persona offesa.
È possibile richiedere il risarcimento del danno, sia in sede civile, sia nel medesimo processo penale, mediante la costituzione di parte civile della persona offesa.
Come più volte rimarcato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, il danno derivante dalla diffamazione deve essere concretamente dimostrato processualmente, non essendo possibile individuarlo “in re ipsa” cioè per il fatto stesso di avere commesso un reato.
La prova di aver subìto un danno a seguito della condotta disciplinata dall’articolo 595 c p. – anche se si tratta di diffamazione a mezzo Facebook – può essere fornita con qualsiasi mezzo: testimonianza, documenti, presunzioni, indizi gravi, precisi e concordanti.
Il danno da diffamazione può essere di tipo patrimoniale, che consiste in una diminuzione del reddito (si pensi a un lavoratore che a causa della diffamazione abbia perso il posto di lavoro) e non patrimoniale, costituito – come danno conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali essa abbia a interagire (Cass. civ., Sez. I, 27/04/2016, n. 8397). Si parla in questi casi di danno all’immagine.
Il danno non patrimoniale viene liquidato in via equitativa, per cui la giurisprudenza ha dettato taluni parametri per quantificarlo:

  • la serietà del danno e la gravità della lesione: non vengono risarciti danni di lieve entità o bagatellari,
  • lo scopo dell’autore;
  • il mezzo di comunicazione utilizzato (se si tratta di diffamazione a mezzo stampa ovviamente il risarcimento sarà maggiore, lo stesso discorso si applica per la diffamazione su Facebook);
  • le ripercussioni della condotta illecita sulla vita professionale e personale della vittima.


COSA SUCCEDE IN CASO DI DIFFAMAZIONE SU FACEBOOK

Si assiste sempre più frequentemente al fenomeno della diffamazione a mezzo Facebook: questa, ai sensi del terzo comma dell’art 595 c p., costituisce una circostanza aggravante e pertanto la pena per diffamazione rischia di essere più elevata.
Ai fini dell’accertamento del reato di diffamazione su facebook, l’offensore deve essere individuato con precisione. A tal proposito la Corte di Cassazione è intervenuta più volte rimarcando la necessaria presenza dell’IP dell’account da cui sono trasmesse le offese.


QUAL È LA DIFFERENZA TRA IL REATO DI DIFFAMAZIONE DI CUI ALL’ARTICOLO 595 C P. E L’INGIURIA

Nel linguaggio comune, il termine diffamazione è spesso utilizzato come sinonimo di calunnia o ingiuria. In effetti, elemento comune è la tutela dell’oggetto giuridico coinvolto nei tre istituti, ossia l’onore personale, nella dimensione soggettiva (per l’ingiuria), nella dimensione oggettiva (nella diffamazione) ed affiancato dalla tutela dell’amministrazione della giustizia (nella calunnia).
Si tratta tuttavia di illeciti molto diversi tra di loro.
Prima di analizzare la differenza tra calunnia e diffamazione, cerchiamo di capire le differenze tra la fattispecie disciplinata dall’articolo 595 c p. e l’ingiuria.
I due istituti sono alquanto differenti.
La prima differenza attiene la qualificazione giuridica. La diffamazione è il reato punito dall’articolo 595 del codice penale; l’ingiuria è invece un illecito civile, a seguito della depenalizzazione avvenuta con la legge delega n.67/2016. Si tratta di una differenza importantissima sul piano pratico, poiché solamente nel primo caso, il soggetto accusato tramite una querela o denuncia per diffamazione deve affrontare un processo penale (la pena per diffamazione è la reclusione fino a un anno ovvero la multa fino a 1032 euro), mentre dell’ingiuria si discute in sede di processo civile, in cui oltre ad una sanzione pecuniaria, l’ingiuriato può chiedere il risarcimento del danno.
In secondo luogo, l’ingiuria è rivolta direttamente alla persona offesa, mentre di diffamazione si parla quando l’autore, comunicando con terzi, pronuncia frasi offensive nei confronti di un soggetto assente.


ART 595 C P: QUAL È LA DIFFERENZA TRA CALUNNIA E DIFFAMAZIONE

Vediamo adesso qual è la differenza tra calunnia e diffamazione.

La calunnia è disciplinata dall’articolo 368 c.p. che stabilisce che “chiunque [..] incolpa di un reato taluno che egli sa innocente ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato è punito con la reclusione da due a sei anni”: la calunnia è dunque il reato commesso da chi accusa un’altra persona, dinanzi all’autorità giudiziaria (Procura della Repubblica) o ad altra che a questa abbia l’obbligo di riferire (Carabinieri, Polizia …), di un fatto che costituisce reato, pur avendo la certezza della sua innocenza, e quindi della falsità dell’accusa.
Non c’è calunnia se la falsa accusa concerne un illecito civile o amministrativo, come ad esempio la violazione del codice della strada.
Alla luce di quanto descritto finora, la differenza tra calunnia e diffamazione sembra essere chiara: sebbene tutte le false accuse di avere commesso un reato siano diffamanti, in quanto l’aver commesso un reato è di per se causa di riprovazione sociale, non tutte le diffamazioni consistono nell’attribuire ad altri un fatto di reato. Inoltre, come si è visto nei paragrafi precedenti, l’offesa diffamante prescinde dalla verità o dalla falsità del fatto attribuito. Infine le accuse calunniose devono essere comunicate a soggetti specifici: l’autorità giudiziaria o altra che a questa abbia l’obbligo di riferire
Altra differenza tra calunnia e diffamazione riguarda la procedibilità: mentre per il reato di cui all’articolo 595 c p. si procede mediante querela o denuncia per diffamazione da presentare agli organi competenti (si tratta quindi di un reato a querela di parte), la calunnia è un delitto procedibile d’ufficio.
Infine, l’articolo 595 c p. non prevede l’arresto né il fermo e neppure l’applicazione delle misure cautelari a seguito della querela per diffamazione, mentre nelle ipotesi di calunnia sono consentiti sia l’arresto che il fermo cautelare.

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