Breve analisi del patto di famiglia
Introduzione al patto di famiglia
Nel 2006 è stato introdotto nel nostro ordinamento il patto di famiglia: particolare istituto del fenomeno successorio, che consente ad un imprenditore di cedere l’attività economica a figli e nipoti, in anticipo rispetto al momento dell’apertura dell’eredità ed in deroga alle norme generali in materia di successione (ad esempio rispetto a quanto previsto in materia di collazione e di riduzione).
Si tratta di un esempio di “passaggio generazionale” e cioè del trasferimento dell’azienda a favore dei discendenti.
La disciplina, contenuta 768 bis e seguenti del codice civile, permette quindi ai discendenti che si siano dimostrati idonei alla gestione dell’attività, di prenderne le redini sin da prima della morte dell’imprenditore, evitando al contempo di stipulare una ordinaria cessione dell’azienda, o delle quote sociali.
Ciò detto, la disciplina del patto di famiglia si preoccupa anche di tutelare i soggetti legittimari, ossia quei parenti dell’imprenditore che per legge avrebbero diritto, alla sua morte, a quote dell’eredità. In particolare, sia i legittimari esistenti al momento della stipula del contratto (ad esempio il coniuge e i figli a cui non viene ceduta la titolarità dell’azienda) sia i legittimari sorti successivamente (ad esempio il coniuge dell’imprenditore che abbia contratto matrimonio successivamente al patto di famiglia) hanno diritto alla liquidazione, in denaro o in natura, della quota che a loro spetterebbe in base alla successione.
Dall’altra parte, il patto di famiglia deroga alla ordinaria disciplina successoria anche perché ciò che il discendente e gli altri legittimari hanno ricevuto non è soggetto a collazione e non può essere travolto dall’azione di riduzione (di cui abbiamo parlato in questo articolo), il che conferisce particolare stabilità ai trasferimenti.
Nonostante i suoi vantaggi, il patto di famiglia è poco diffuso, vuoi per motivi culturali (la ritrosia degli imprenditori a lasciare le redini della propria azienda in anticipo), vuoi perché sul piano pratico deve scontrarsi con notevoli difficoltà. Sotto questo profilo, la scarna normativa non risolve tutti i problemi pratici, né viene in aiuto la giurisprudenza, atteso il basso numero di pronunce.
Indice degli argomenti
Nel presente focus, gli argomenti trattati sono i seguenti:
- Patto di famiglia e passaggio generazionale
- Cos’è il patto di famiglia
- Qual è l’oggetto del patto di famiglia
- Chi sono i soggetti del patto di famiglia
- Chi deve intervenire al patto di famiglia
- Cosa prevede il patto di famiglia
- Quale forma deve avere il patto di famiglia
- Patto di famiglia: il problema della liquidazione dei legittimari
- Patto di famiglia: il coordinamento con l’impresa familiare
- Quando può essere impugnato un patto di famiglia
- Quando è possibile scogliere o modificare i patti di famiglia
- Qual è il regime fiscale da applicare al patto di famiglia
PATTO DI FAMIGLIA E PASSAGGIO GENERAZIONALE
Il passaggio generazionale, ovvero il trasferimento dell’azienda dall’imprenditore ai suoi discendenti o successori, è uno dei momenti cruciali dell’impresa, e coinvolge diversi aspetti: psicologico, familiare, organizzativo.
Se mal gestito, questo momento può condurre alla disgregazione dell’azienda
Sotto il profilo tecnico, il passaggio generazionale può essere regolato da alcuni strumenti. Sebbene quello forse più utilizzato sia il trust aziendale (di cui abbiamo parlato in questo articolo ) il codice civile agli articoli 768 bis e seguenti offre l’alternativa del patto di famiglia.
Il fine principale dei patti di famiglia è quello di garantire la continuità nella gestione societaria in capo a discendenti ritenuti effettivamente capaci di portarla avanti, assegnando loro anche tutto quanto necessario per tale scopo, ed evitando l’eccessiva disgregazione delle aziende o delle partecipazioni societarie.
I patti di famiglia hanno anche la funzione di prevenire contenziosi tra i coeredi che potrebbero aprirsi al momento dell’apertura della successione dell’imprenditore.
COS’È IL PATTO DI FAMIGLIA.
Il patto di famiglia è definito come quel contratto attraverso il quale un imprenditore o il titolare di partecipazioni societarie trasferisce interamente o parzialmente l’azienda o le proprie quote di partecipazione, ad uno o più discendenti (art. 768 bis cod. civ.), i quali, a loro volta, devono liquidare la quota prevista nel contesto della successione necessaria, a chi sarebbe erede legittimario dell’imprenditore o del titolare delle partecipazioni, se in quel momento si aprisse la successione.
Per parte della dottrina, si tratta di un nuovo schema contrattuale tipico: un atto tra vivi, traslativo, ad efficacia reale e non sinallagmatico.
Dovendo invece ricondurre la natura dei patti di famiglia ad uno schema già previsto dal legislatore, essa si avvicina per alcuni al “negotium mixtum cum donationem” (la causa sarebbe mista in quanto allo spirito di liberalità si affianca la funzione solutoria), ma in base all’interpretazione maggioritaria per altri a quella della donazione modale con dispensa dalla collazione e gravato dall’onere “necessario” della liquidazione dei legittimari.
Il contratto deroga il divieto dei patti successori ex art. 458 del codice civile sotto tre aspetti: il trasferimento al beneficiario dell’azienda, la liquidazione dei diritti di legittima ai non assegnatari e/o la rinuncia alla liquidazione, che equivale di fatto a rinuncia della legittima.
QUAL È L’OGGETTO DEL PATTO DI FAMIGLIA.
L’art. 768 bis cod. civ. indica che il patto di famiglia può avere ad oggetto l’azienda o le partecipazioni (o anche dette quote) sociali.
Il trasferimento dell’azienda può essere totale o parziale, ma nel secondo caso è necessario che venga trasferito un complesso di beni di per sé idoneo all’esercizio dell’impresa, senza alcuna limitazione inerente alla tipologia di bene da trasferire (mobile, immobile, immateriale…) e cioè di un ramo d’azienda.
Per quanto riguarda il trasferimento delle quote sociali, il discorso è più articolato e ha visto, negli anni, diverse posizioni in merito all’applicabilità o meno del patto di famiglia.
Secondo la tesi maggioritaria, sarebbe possibile utilizzare i patti di famiglia solo quando il trasferimento della quota sociale determini altresì il trasferimento di concreti poteri decisionali e di controllo sull’attività di impresa dal disponente al beneficiario. La funzione del patto di famiglia è proprio quella di evitare uno “spacchettamento” del potere tra troppi soggetti, e quindi l’individuazione di un discendente sarebbe adibita proprio ad evitare una dispersione del potere di controllo e direzione, attribuito in base alla quota di partecipazione sociale. Non sarebbe pertanto possibile estendere il patto di famiglia al resto del patrimonio del cedente, ed in particolare alle partecipazioni di mero godimento di società di capitali.
Questa interpretazione è stata abbracciata recentemente anche dalla Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. V, 24 dicembre 2020, n. 29506, Cass. civ. Sez. V, 10 marzo 2021, n. 6591).
Per la tesi minoritaria, nel silenzio della legge sarebbe possibile utilizzare i patti di famiglia per trasferite ogni tipologia di partecipazione sociale, a prescindere che ciò comporti il trasferimento di effettivi poteri di controllo e di direzione sull’attività d’impresa. In altre parole, sarebbe possibile trasferire anche le quote di minoranza slegate da un potere di indirizzo della gestione sociale e le quote dell’accomandante della società in accomandita per azioni. Ciò perché il legislatore non ha inteso porre alcun limite al trasferimento delle partecipazioni societarie, che non sono, nella formulazione dell’art. 768 bis cod. civ., ulteriormente qualificate.
CHI SONO I SOGGETTI DEL PATTO DI FAMIGLIA.
Il patto di famiglia è un contratto a cui devono partecipare, oltre al disponente (imprenditore) ed al beneficiario, anche il coniuge e gli altri legittimari del disponente, cioè coloro i quali sarebbero destinatari della quota legittima se in quel momento si aprisse la successione del medesimo (art. 768 quater, I comma, cod. civ.).
In particolare:
- Il dante causa è l’imprenditore: in base all’art. 2082 cod. civ. è colui che “esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. All’imprenditore, la disciplina del patto di famiglia equipara il titolare dell’azienda (anche se potrebbe non esercitare alcun potere direttivo, e quindi non rientrare nella definizione di cui sopra) ed il titolare di partecipazioni societarie.
- L’avente causa o beneficiario è il discendente (art. 565 cod. civ.) ovverosia il parente in linea retta di grado successivo (e cioè il figlio, oppure il figlio del figlio) con esclusione dei parenti in linea collaterale (il fratello, il figlio del fratello …). Al figlio legittimo (nato in costanza di matrimonio), è equiparato il figlio naturale (nato al di fuori del matrimonio) e adottivo (art. 567 cod. civ.: “ai figli legittimi sono equiparati i legittimati e gli adottivi”).
CHI DEVE INTERVENIRE AL PATTO DI FAMIGLIA.
Oltre all’imprenditore e al beneficiario, parti necessarie del patto di famiglia sono il coniuge e gli altri legittimari.
Il coniuge è colui che ha contratto matrimonio con l’imprenditore, fino alla sentenza di divorzio. Fa eccezione il coniuge divorziato, o separato a cui la separazione sia stata addebitata. La legge Cirinnà (Legge n. 76 del 20 maggio 2016) ha riconosciuto e disciplinato le unioni civili tra persone dello stesso sesso, parificandone la normativa, sotto moltissimi aspetti, a quella del matrimonio. In particolare, il comma 21 dell’art. 1, richiama le norme previste in materia successoria cioè dal capo III e dal X del Titolo I, dal Titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del Titolo IV del Libro secondo cod. civ. Ciò vuol dire che alle unioni civili si applicano le norme inerenti il patto di famiglia. Inoltre, il comma 20 dell’art. 1 stabilisce che le varie disposizioni che fanno riferimento al matrimonio, nonché quelle contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, si applicano anche alle unioni civili, a prescindere dal fatto che ricorrono in leggi primarie, fonti secondarie o in atti amministrativi e contratti collettivi di lavoro.
I legittimari sono i parenti più prossimi dell’imprenditore, ossia (oltre al coniuge) i discendenti non beneficiari e, in loro assenza o rinuncia, gli ascendenti, cui la legge riserva quote dell’eredità. Per maggiori approfondimenti, abbiamo parlato dei legittimari in questo articolo .
Nel caso in cui un legittimario sia incapace o minorenne, trattandosi di atto di amministrazione straordinaria, la ua partecipazione necessiterà dell’autorizzazione del giudice tutelare.
Restano invece esclusi dai patti di famiglia i soggetti non legittimari, come i parenti in linea collaterale (fratelli, zii, cugini, nipoti).
COSA PREVEDE IL PATTO DI FAMIGLIA.
Analizzando il contenuto dei patti di famiglia, elemento centrale è il trasferimento dell’intera o di parte dell’azienda o delle partecipazioni societarie dal disponente al beneficiario.
Come si rinviene nel secondo comma dell’art. 768 quater cod. civ., i beneficiari dovranno altresì liquidare agli altri partecipanti, il valore corrispondente alle loro quote di legittima ex art. 536 ss. cod. civ., in denaro o in natura, e tale liquidazione deve essere imputata alla loro quota di legittima, ma non è soggetta a collazione o riduzione. Si ritiene che la quota di ciascun partecipante debba essere calcolata in relazione al valore dell’azienda, senza procedere alla riunione fittizia delle eventuali donazioni anteriori o contestuali, che invece dovranno essere calcolate al momento dell’apertura della successione.
Per consentire le operazioni di liquidazione, il patto di famiglia potrà contenere una perizia di stima del valore dei cespiti aziendali o delle partecipazioni.
Nulla vieta che i legittimari possano essere liquidati con una somma inferiore o superiore alla quota legale, e addirittura rinunciarvi con una dichiarazione che equivale a rinuncia all’azione di riduzione ex art. 557 cod. civ. (ma che non equivale a rinuncia all’eredità) poiché “i beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti”.
È possibile inserire una clausola che descriva i termini e le modalità del recesso del disponente, dell’assegnatario o degli altri partecipanti, come previsto dall’art. 768 septies cod. civ.
Elemento accessorio del patto di famiglia può essere un patto parasociale in cui, visto che il discendente subentra immediatamente al posto dell’imprenditore, quest’ultimo non viene completamente estromesso dalla gestione dell’azienda, ma conserva un ruolo effettivo.
QUALE FORMA DEVE AVERE IL PATTO DI FAMIGLIA.
L’art. 768 ter cod. civ. specifica che per il patto di famiglia è richiesta la forma dell’atto pubblico “ab sustantiam”, a pena di nullità. Quindi i patti di famiglia possono essere redatti solo dinanzi ad un notaio.
Inoltre, se si considerano i patti di famiglia come forme di donazioni modali, è necessario l’intervento di due testimoni (art. 48 legge notarile n. 89/1913).
PATTO DI FAMIGLIA: IL PROBLEMA DELLA LIQUIDAZIONE DEI LEGITTIMARI.
Il motivo dello scarso utilizzo dei patti di famiglia come strumento del passaggio generazionale si rinviene probabilmente, sul piano pratico, nel momento della liquidazione dei legittimari.
In primo luogo, può sorgere il problema (più teorico che pratico, in realtà) di individuare tutti i legittimari. Si pensi al figlio naturale dell’imprenditore, ignoto agli altri.
In secondo luogo, l’assegnatario dell’azienda, al momento della stipula del patto di famiglia è spesso privo delle risorse per compensare i partecipanti delle proprie quote, ragion per cui è costretto a richiedere un finanziamento, oppure a trasferire o monetizzare uno o più cespiti aziendali. Per cercare di risolvere questo problema, sono possibili due strade. Da una parte, per espressa previsione normativa l’assegnazione può avvenire anche tramite la stipula di un contratto successivo, purché espressamente collegato al patto di famiglia e purchè vi partecipino gli stessi soggetti. Anche tale contratto collegato deve avere la forma dell’atto pubblico a pena di nullità.
Dall’altra parte, si discute se l’onere di liquidare i legittimari possa essere soddisfatto dallo stesso disponente, qualora ne abbia la possibilità, in luogo dell’assegnatario. Anche in caso di risposta affermativa, tuttavia, l’adempimento del disponente assumerebbe la qualificazione giuridica di donazione indiretta a favore dell’assegnatario (perché in tal modo il disponente adempie ad un suo obbligo), ultronea rispetto al patto di famiglia, e quindi suscettibile dell’azione di riduzione.
Altro problema è quello della liquidazione dei legittimari non presenti al contratto, ma sopravvenuti. Ad esempio, nel caso in cui l’imprenditore contragga un nuovo matrimonio o abbia un figlio successivamente alla stipula del patto di famiglia.
L’art. 768 sexies cod. civ. obbliga alla liquidazione dei legittimari sopravvenuti non solo gli assegnatari dell’azienda, ma tutti i beneficiari del patto di famiglia, in solido, ivi compresi gli altri partecipanti.
Anche qui si pone un problema di calcolo della base su cui calcolare la quota. Occorre considerare il valore dell’azienda non ex tunc, oppure al momento dell’apertura della successione? E nel secondo caso, come computare l’apporto che l’assegnatario ha conferito nell’azienda, aumentandone o diminuendone il valore?
PATTO DI FAMIGLIA: IL COORDINAMENTO CON L’IMPRESA FAMILIARE.
L’art. 768 bis cod. civ. pone all’interprete il problema di coordinare la disciplina del patto di famiglia con quella della forma societaria dell’impresa e dell’impresa familiare ex art. 230 bis cod. civ., cioè quella società individuale cui partecipa il coniuge dell’imprenditore, il parente entro il terzo grado, o l’affine entro il secondo grado.
Questi soggetti mantengono il diritto al mantenimento e alla partecipazione agli utili, ai beni e agli incrementi, nonché il diritto alla liquidazione di cui al quarto comma dell’art. 230 bis cod. civ. in caso di alienazione dell’azienda, che si aggiunge alla liquidazione in favore dei legittimari di cui all’art. 768 quater cod. civ.
L’inquadramento del patto di famiglia nello schema della donazione permette anche di escludere il diritto alla prelazione di cui al quinto comma dell’art. 230 bis, dacche l’istituto non compatibile con gli atti a titolo gratuito.
QUANDO PUÒ ESSERE IMPUGNATO UN PATTO DI FAMIGLIA.
Il patto di famiglia può essere impugnato dai partecipanti attraverso l’azione di annullamento (art. 768 quinquies, I comma, cod. civ. ), stante il richiamo all’art. 1427 cod. civ., limitatamente al caso di errore, dolo o violenza morale, escludendo pertanto gli altri casi di annullabilità del contratto (artt. 1425 e 1426 cod. civ.). Peraltro, trattandosi di un contratto concluso nella forma dell’atto pubblico (avanti al notaio come indicato nell’art. 768 ter cod. civ.), sarebbe difficile ipotizzare vizi relativi all’incapacità legale dei partecipanti o la stipula con un soggetto minorenne che abbia occultato con raggiri la minore età.
L’azione di annullamento è esperibile nel termine di prescrizione di un anno (art. 768 quinquies, II comma, cod. civ.) dalla scoperta dell’errore o dolo o dalla cessazione della violenza e salvo convalida ex art. 1444 cod. civ., in deroga alla disciplina generale che prevede il termine prescrizionale di cinque anni.
Anche i “terzi” ossia i legittimari sopravvenuti possono far annullare il patto di famiglia, entro un anno, se a loro non viene corrisposta la quota di legittima maggiorata degli interessi (art. 768 sexies comma 2 cod. civ.)
Altra ipotesi di impugnazione è quella prevista dall’art. 768 quater nel caso in cui al patto non partecipino tutti coloro che sarebbero legittimari. Si ritiene che la mancata partecipazione costituisca un’ipotesi di nullità ex art. 1418 cod. civ. per contrarietà a norma imperativa.
La nullità è prevista anche per il difetto della forma dell’atto pubblico ex art. 768 ter cod. civ.
QUANDO È POSSIBILE SCOGLIERE O MODIFICARE I PATTI DI FAMIGLIA.
Il patto di famiglia può essere sciolto o modificato, come previsto dall’art. 768 septies cod. civ. , attraverso:
- la stipula di un nuovo contratto, a modifica del precedente purché rispettoso dei requisiti richiesti per il patto di famiglia,
- la stipula di un contratto di mutuo dissenso, in cui le parti intendono sciogliere gli effetti del patto di famiglia,
- il recesso se questa possibilità è stata espressamente prevista in precedenza.
In caso di mancata liquidazione dei partecipanti, i patti di famiglia possono essere risolti per inadempimento.
Per le azioni relative ai patti di famiglia, infine, l’art. 5 del dlgs 28/2010 prevede la condizione di procedibilità dell’esperimento obbligatorio della procedura di mediazione.
QUAL È IL REGIME FISCALE DA APPLICARE AL PATTO DI FAMIGLIA.
La recente giurisprudenza, riconducendo il patto di famiglia nello schema della donazione modale, ne segna anche il regime fiscale ex d.lgs. n. 346 del 1990 in merito a:
- Imposta sulla donazione,
- Imposta ipotecaria e catastale, nel caso di trasferimento di beni immobili.
Si tratta di due trasferimenti: il primo tra il disponente ed il beneficiario (il vero e proprio trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni), il secondo tra il beneficiario e gli altri legittimari (la liquidazione delle loro quote).
Nel caso non ricorrano le condizioni per beneficiare dell’esenzione, al patto di famiglia viene applicata l’imposta di donazione nella misura ordinaria, in base alle aliquote e alle franchigie riferibili al rapporto di parentela esistente fra disponente ed assegnatario. Lo stesso rapporto di parentela viene considerato anche con riferimento ai trasferimenti tra l‘assegnatario ed i legittimari, come puntualizzato dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 24 dicembre 2020, n. 29506.
Nel caso di trasferimento di beni immobili, si consiglia la lettura di questo articolo.
E’ tuttavia possibile, a certe condizioni, che non sia dovuta l’imposta sulla donazione. I trasferimenti dell’azienda o di un suo ramo, o di quote sociali o di azioni effettuati mediante patto di famiglia, sono espressamente considerati dall’art. 3 comma 4 ter, che li esclude dall’imposta di donazione, “a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso”.
Inoltre, se vengono trasferite azioni o quote di società di capitali, l’esenzione spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359 n. 1) cod. civ. (maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria).
In caso di trasferimento di immobili, l’esenzione vale anche per l’imposta ipotecaria e catastale, stante il richiamo ai casi dell’art. 3 sopra citato, da parte degli artt. 1, comma 2, e 10, comma 2, D.Lgs. n. 347 del 1990.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 3/E del 2008 limita l’esenzione al trasferimento effettuato tramite il patto di famiglia, che non si estende “all’attribuzione di somme di denaro o di beni eventualmente posta in essere dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto”.
In caso di scioglimento del patto di famiglia, si realizza un vero e proprio ritrasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali con effetto ex nunc. Sul punto si ricordano diversi riferimenti normativi richiamati dalla giurisprudenza come l’art. 28 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 relativamente all’imposta di registro la risoluzione del contratto (v. Cass. civ., sent. 21 maggio 1998, n. 5075, Cass. civ., sent. 7 giugno 2006, n. 13315; Comm.. Trib. Prov. Lombardia Milano, dec. 21 gennaio 2010, n. 20).
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