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Il diritto all’oblio

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Internet e il diritto “ad essere dimenticati”

Il diritto all’oblio

A seguito del grandissimo sviluppo dei canali di informazione su internet (blog, periodici online, social network), un tema che sta assumendo sempre maggiore rilevanza negli ultimi anni, in ambito sia nazionale che europeo, è rappresentato dal diritto all’oblio.
Si tratta di un’estensione del cosiddetto diritto alla riservatezza, il cui bisogno di tutela è avvertito sempre di più. Come ha dichiarato il Garante Privacy Antonello Soro “La rete annulla la distanza temporale tra una pubblicazione e la successiva, ospitando senza soluzione di continuità notizie anche risalenti, spesso superate dagli eventi e per ciò non più attuali” (da La Repubblica del 30.09.2019).
Di conseguenza, è compito del legislatore di individuare un bilanciamento tra il diritto all’informazione e il diritto all’oblio.
L’esercizio del diritto all’oblio, con riferimento alla pubblicazione di una notizia sul web, presenta inoltre aspetti particolarmente problematici sul piano tecnico, di rimozione della stessa notizia dal web, anche tramite la deindicizzazione dai motori di ricerca.

Gli argomenti trattati in questo articolo sono:


COS’È IL DIRITTO ALL’OBLIO

Per comprendere cos’è il diritto all’oblio, merita considerare che questo è comunemente conosciuto come il diritto ad essere “dimenticati” , ossia a non essere più ricordati, dall’opinione pubblica, per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca.
Sul piano giuridico, il diritto all’oblio è espressione del diritto alla riservatezza (o privacy), inteso come il diritto di ottenere la cancellazione dei propri dati personali che sono stati resi pubblici (Cass. civ., Sez. III, 09/04/1998, n. 3679).
Ci si riferisce comunemente al caso in cui una vicenda personale venga resa nota, tramite una notizia sul web o su altri mezzi di informazione, senza che vi sia un interesse pubblico alla diffusione. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5525/2012 ha specificato cos’è il diritto all’oblio, configurandolo come il diritto “a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati”.
Il diritto all’oblio acquista quindi particolare importanza, quando attenga ad informazioni personali che riguardano il coinvolgimento in procedimenti penali, poichè in tal caso, oltre al diritto alla riservatezza, potrebbe essere compromessa la reputazione dell’interessato.
Per illustrare compiutamente cos’è il diritto all’oblio, si deve necessariamente metterlo in relazione agli altri diritti della personalità, in particolare l’onore e la reputazione, tanto è che la Cassazione, nella sentenza 3679/1998 ha qualificato il diritto all’oblio come “giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata“.


COSA TUTELA IL DIRITTO ALL’OBLIO

In termini generali, il diritto all’oblio riguarda il trattamento dei dati personali: in presenza di determinate condizioni, il soggetto può ottenerne la cancellazione da parte del titolare del trattamento.
In caso di pubblicazione dei dati personali ( ad esempio tramite la pubblicazione di una notizia sul web o su altri mezzi di informazione), il diritto all’oblio consiste anche nel diritto che le informazioni personali, pur legittimamente divulgati tempo prima, non siano ulteriormente diffusi, onde evitare il perpetrarsi dello stigma a carico della persona interessata, che può essere esposta, come si dice oggi ad una vera e propria “gogna mediatica”.
Si pensi, ad esempio, alla pubblicazione di una notizia di cronaca giudiziaria sull’arresto di una persona, il cui procedimento penale si conclude, dopo diversi anni, con l’assoluzione. Di per sé, la pubblicazione della notizia dell’arresto è tutelata dal diritto all’informazione dei consociati, ma se all’esito del processo non viene rimossa o aggiornata, l’interessato continua a subire, in modo ingiustificato, un’aggressione al proprio onore ed alla propria reputazione.
Il fondamento normativo del diritto all’oblio può ravvisarsi sia sul piano nazionale che sovranazionale, essendo molteplici le norme che, limitando l’esercizio del diritto di cronaca e quindi del diritto all’informazione, sono volte a tutelare la riservatezza dei cittadini.


QUALI NORME SOVRANAZIONALI TUTELANO IL DIRITTO ALL’OBLIO

Dopo aver specificato cos’è il diritto all’oblio, è opportuno ora analizzarne i fondamenti giuridici.
Sul piano sovranazionale, l’art. 16 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex articolo 286 del TCE) e l’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutelano il diritto all’oblio, seppure in modo indiretto, stabilendo che ogni persona ha diritto alla “protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”.
In materia diritto all’oblio, devono essere considerati gli art. 8 e 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (la cosiddetta “Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”).
Nello specifico l’art. 8 prevede il diritto di ogni persona “al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

L’articolo 10 della CEDU, relativo alla libertà di espressione, prevede che quest’ultima possa essere sottoposta a restrizioni necessarie “alla protezione della reputazione o dei diritti altrui” nonché “per impedire la divulgazione di informazioni riservate (…)”.


COSA STABILISCE IL GDPR SUL DIRITTO ALL’OBLIO

Una protezione più stringente è offerta dal Regolamento UE n. 2016/679 sulla “protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati” (meglio conosciuto come GDPR o RGPD), che da un lato impone regole sul trattamento e sulla conservazione dei dati personali e dall’altra parte garantisce alcuni diritti.
Sotto il primo aspetto, il GDPR impone il principio della “minimizzazione” del trattamento: i dati personali devono essere trattati nei limiti dello stretto necessario (articoli 5 e 6 GDPR). Calando tale principio nel tema del diritto all’oblio, la pubblicazione dei dati personali deve essere limitata al lasso di tempo in cui sussista un interesse alla loro conoscenza da parte dell’opinione pubblica.
Sotto il secondo aspetto, i diritti che attengono il diritto all’oblio sono soprattutto il diritto alla cancellazione dei dati personali (art. 17 GDPR) ed il diritto ad opporsi al trattamento (art. 21 GDPR).
Con il primo, si stabilisce la possibilità di cancellare le notizie dal web che contengano informazioni personali, o quantomeno di cancellare le specifiche informazioni personali da notizie già pubblicate.
Il secondo stabilisce la possibilità di impedire la pubblicazione di dati personali all’interno di una notizia sul web (o sui tradizionali mezzi di informazione).


DIRITTO ALL’OBLIO E ALLA CANCELLAZIONE DEI DATI

L’art. 17 prevede, a certe condizioni, il diritto a chiedere la rimozione dei dati personali dalla pubblicazione di una notizia sul web.
In particolare il comma 1 dell’art. 17 GDPR prevede il diritto alla cancellazione dei dati personali, indipendentemente dal fatto che essi siano stati resi pubblici o meno, “se sussiste uno dei motivi seguenti:

  • a) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
  • b) l’interessato revoca il consenso (…), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;
  • c) l’interessato si oppone al trattamento (…);
  • d) i dati personali sono stati trattati illecitamente;
  • e) i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuridico previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;
  • f) i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1.

In questi casi, l’interessato (ovverosia la persona a cui le informazioni personali si riferiscono) può chiedere al titolare del trattamento (ovverosia il soggetto che “tratta” le informazioni) di cancellare i propri dati personali. E questo, indipendentemente dal fatto che i dati siano trattati “pubblicamente”.
Quello che interessa  maggiormente ai fini della trattazione sul diritto all’oblio, è il comma 2 dell’art. 17 GDPR, che definisce cos’è il diritto all’oblio: un diritto “rafforzato” alla cancellazione dei propri dati personali, soprattutto nel contesto informatizzato. Questo perché, qualora il titolare del trattamento abbia reso pubblici i dati personali (ad esempio, perché contenuti in una notizia sul web o su un quotidiano), non è solamente obbligato a cancellarli, ai sensi del comma precedente, ma deve altresì adottare “le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali”.
In altre parole, se non vi sono ragioni per conservare i dati personali pubblicati, il titolare che è stato investito della richiesta di cancellazione, non solo deve darne seguito, ma si deve adoperare affinché anche gli altri titolari del trattamento cancellino i dati da loro pubblicati.
Tuttavia,  il diritto all’oblio trova dei temperamenti.


QUALI SONO I LIMITI DEL DIRITTO ALL’OBLIO PER IL GDPR

Il comma 3 dell’art 17 GDPR stabilisce che non si procede alla cancellazione, “nella misura in cui il trattamento sia necessario:

  • a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
  • b) per l’adempimento di un obbligo giuridico (…);
  • c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica (…);
  • d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici (…);
  • e) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.

Pertanto, nell’ipotesi di una notizia web pubblicata nell’esercizio del diritto di cronaca, il diritto all’oblio soccombe di fronte al diritto all’informazione.
È proprio a tal proposito che si verifica una necessità di bilanciamento di contrapposti valori entrambi tutelati dall’ordinamento, dovendosi valutare, nel caso concreto, la prevalenza del diritto all’informazione, e quindi alla rievocazione storica dei fatti, o viceversa, quella del diritto all’oblio.


DIRITTO ALL’OBLIO E L’OPPOSIZIONE AL TRATTAMENTO DEI DATI

L’art. 21 comma 1 GDPR prevede che “L’interessato ha il diritto di opporsi in qualsiasi momento, per motivi connessi alla sua situazione particolare, al trattamento dei dati personali che lo riguardano ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettere e) o f), (…).” E cioè quando il trattamento è necessario:

  • “per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento” (art. 6 comma 1 lett. e) GDPR),
  • oppure “per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l’interessato è un minore”(art. 6 comma 1 lett. f) GDPR).

Il comma 6 dell’art. 21 stabilisce poi che “Qualora i dati personali siano trattati a fini di ricerca scientifica o storica o a fini statistici a norma dell’articolo 89, paragrafo 1, l’interessato, per motivi connessi alla sua situazione particolare, ha il diritto di opporsi al trattamento di dati personali che lo riguardano, salvo se il trattamento è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico.
Pertanto, il GDPR stabilisce il diritto alla non pubblicazione dei dati personali all’interno di una notizia sul web o nei tradizionali canali di informazione.
Tuttavia, a fronte dell’opposizione manifestata dall’interessato, il titolare può continuare a trattare i dati qualora riesca a dimostrare “l’esistenza di motivi legittimi cogenti per procedere al trattamento che prevalgono sugli interessi, sui diritti e sulle libertà dell’interessato oppure per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria” (art. 21 comma 1 GDPR).


QUALI SONO LE NORME DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE CHE TUTELANO IL DIRITTO ALL’OBLIO

Grande rilievo in merito alla tutela del diritto all’oblio è offerto dal decreto legislativo n. 196 del 2003, il c.d. Codice della privacy.
Tale Codice è stato oggetto di diverse modifiche negli anni, le ultime apportate dalla L. n. 160/2019, dal D.L. n. 53/2019, dal D.M. 15 marzo 2019 e soprattutto dal D.Lgs. n. 101/2018, che ha apportato le novità derivanti dal GDPR che abbiamo trattato nei paragrafi precedenti.
Il codice prevede sanzioni penali (articoli 167 ss codice privacy) per il trattamento illegittimo dei dati personali.
La Legge sulla stampa n. 47/1948, detta le Regole deontologiche relative al trattamento di dati personali, nell’esercizio dell’attività giornalistica pubblicate ai sensi dell’art. 20, comma 4, del d.lgs. 10 agosto 2018.
All’articolo 3 di tale Testo unico dei doveri del giornalista, approvato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti il 27 gennaio 2016 può ben ravvisarsi una tutela del diritto all’oblio, essendo previsto, tra le cose che “il giornalista (…) rispetta il diritto all’identità personale ed evita di far riferimento a particolari relativi al passato, salvo quando essi risultino essenziali per la completezza dell’informazione”.


QUALI SONO I LIMITI DEL DIRITTO ALL’OBLIO

Come si vedrà nel dettaglio del corso della trattazione, l’aspetto che complica la tutela del diritto all’oblio è rappresentato dalla necessità di un suo bilanciamento con altri valori tutelati dall’ordinamento.
Il diritto all’oblio, di cui ogni soggetto gode in merito alle proprie vicende personali, deve infatti essere oggetto di bilanciamento con il diritto di cronaca e con il diritto all’informazione, e cioè il diritto di informare (dal lato attivo) e di ricevere informazioni (dal lato passivo) in merito ai fatti che accadono in pubblico o comunque ritenuti di interesse pubblico.
Da quanto sopra, consegue che nell’ipotesi in cui la notizia relativa al soggetto, pur riferendosi a fatti risalenti nel tempo, torni ad essere di interesse per la collettività in ragione di circostanze sopravvenute, il diritto del soggetto a non vedere diffusi i propri dati personali (dunque, il diritto all’oblio) trova un limite nel al diritto all’informazione.
Più nel dettaglio, il diritto all’oblio prevale laddove non sussista più un apprezzabile interesse sociale alla notizia sul web, laddove la notizia web non consideri un avvenuto mutamento rilevante della situazione intervenuto nel frattempo (divenendo così obsoleta, o addirittura “falsa”), oppure nel caso in cui la pubblicazione della notizia web danneggi la dignità dell’interessato.


COSA HA AFFERMATO LA GIURISPRUDENZA EUROPEA IN MERITO AL BILANCIAMENTO TRA DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTO ALL’INFORMAZIONE

In relazione al bilanciamento tra il diritto all’oblio e il diritto all’informazione (e quindi il diritto di cronaca), è opportuno soffermarsi ora su alcune importanti pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia dell’Unione europea.
La Corte europea dei diritti dell’uomo in una sua sentenza del 26 giugno 2018 ha affermato che il diritto all’oblio rientra nell’ambito del diritto alla tutela della vita privata previsto dal summenzionato art. 8 CEDU, mentre la libertà di espressione è garantita dall’art. 10 CEDU.
Nel caso di specie, avanti alla Corte viene impugnato il rigetto, da parte del giudice tedesco, della domanda di imporre a tre testate editoriali telematiche di rendere anonime le informazioni personali (nomi e cognomi) dei ricorrenti condannati per l’omicidio di un attore, contenute in una notizia sul web.
La Corte ha stabilito che il rigetto del giudice tedesco non è in contrasto con il diritto alla tutela della vita privata, laddove il contenuto della notizia sul web rivesta pubblico interesse, ed a condizione che i media abbiano agito in modo conforme alla loro etica e deontologia professionale.
In una situazione di tal genere, dunque, il diritto all’oblio del soggetto leso soccombe di fronte al diritto alla libertà di espressione e al diritto all’informazione, prevalendo la finalità di formazione e conservazione della memoria della collettività.
Un’altra sentenza importante in merito alla tutela del diritto all’oblio è la sentenza della Corte di giustizia UE del 24 settembre 2019 (caso C-507/17).
Secondo la Corte, il gestore di un motore di ricerca non è obbligato a effettuare la deindicizzazione della pagina web in tutte le versioni del suo motore di ricerca, ma solo nelle versioni corrispondenti agli Stati membri. Deve inoltre attuare misure che scoraggino gli utenti di Internet dall’accedere, a partire da uno degli Stati membri, ai link contenuti nelle versioni extra UE del motore.
Si ribadisce infine che spetta alle autorità nazionali degli Stati membri, operare un bilanciamento tra il diritto individuale alla tutela della vita privata e alla protezione dei dati personali, da un lato, e il diritto all’informazione, dall’altro, richiedendo, se necessario a seguito tale bilanciamento, al gestore del motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le sue versioni.


COSA HA PREVISTO LA SENTENZA GOOGLE SUL DIRITTO ALL’OBLIO

Nel famoso caso della sentenza Google Spain (sentenza del 13 maggio 2014) la Corte di Giustizia dell’unione europea ha sancito che il gestore di un motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi.
In base a quanto previsto nella sentenza Google, laddove una ricerca, effettuata a partire dal nome di una persona, mostri tra i risultati un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, tale individuo potrà rivolgersi direttamente al gestore oppure, laddove questi non dia seguito alla sua domanda, rivolgersi alle autorità competenti per ottenere, in presenza di certe condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco di risultati (deindicizzazione).
A tal fine, in seguito alla sentenza Google Spain, il Gruppo di lavoro “Articolo 29” (oggi Comitato europeo per la protezione dei dati), ha elaborato tredici criteri orientativi (tra cui si elenca, a titolo esemplificativo, la circostanza che il richiedente sia o meno un personaggio pubblico, la minore età del soggetto, il riferimento alla vita professionale o personale etc.) con il fine di agevolare le autorità garanti nazionali nella gestione dei reclami riguardanti richieste di deindicizzazione.


COME LA CORTE DI CASSAZIONE BILANCIA DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTO ALL’INFORMAZIONE

Nella ordinanza 28084/2018 la Corte di Cassazione, dopo aver specificato cos’è il diritto all’oblio, ha rimesso alle Sezioni Unite il compito di delineare il delicato assetto dei rapporti tra diritto all’oblio (posto a tutela della riservatezza della persona) e diritto di cronaca o di manifestazione del pensiero (posto al servizio del diritto all’informazione della collettività).
La finalità è proprio quella di individuare univoci criteri di riferimento, che permettano di conoscere i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto a richiedere di cancellare notizie dal web nonché il diritto a far sì che una notizia a lui relativa che è stata legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione; e, in particolare, di precisare in quali termini l’interesse pubblico alla ripubblicazione di vicende personali faccia recedere il diritto all’oblio in favore del diritto di cronaca.
Sui rapporti tra diritto all’oblio e diritto all’informazione è intervenuta la sentenza n. 19681/2019 delle Sezioni Unite. Il caso riguardava la rievocazione della notizia di un omicidio avvenuto circa 27 anni prima, commesso da un individuo che nel frattempo aveva scontato la pena in carcere e si era reinserito positivamente nel contesto sociale.
La Suprema Corte ha previsto che in relazione al rapporto tra il diritto all’oblio e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito deve valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone coinvolte in quei fatti.
Criterio di questa valutazione è l’attualità e la concretezza dell’interesse pubblico per le vicende, anche risalenti nel tempo, di persone note. “In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito (…) ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva”.


QUALI SONO LE SENTENZE PIÙ RECENTI DELLA CORTE DI CASSAZIONE IN TEMA DI DIRITTO ALL’OBLIO

In base a quanto affermato in una recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 9147/2020, il diritto all’oblio consiste nel “diritto a non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato”.
Nell’ipotesi della pubblicazione di una notizia sul web, il soggetto può trovare soddisfazione anche nella sola “deindicizzazione” dell’articolo dai motori di ricerca.
Nella ordinanza n. 7559/2020 la Corte di Cassazione ha respinto la domanda degli eredi di un imprenditore deceduto, tesa a cancellare notizie dal web (nello specifico, l’archivio online di un quotidiano), relative ad inchieste giudiziarie in ordine a fatti penalmente rilevanti commessi dal defunto.
La Corte afferma che è lecita la permanenza di una notizia sul web, consistente un articolo di stampa nell’archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di cronaca giudiziaria, che abbiano ancora un interesse pubblico di tipo storico o socio-economico, a condizione però che l’articolo sia deindicizzato dai siti generalisti e reperibile solo attraverso l’archivio storico del quotidiano.
In tal modo, il diritto all’informazione della collettività è bilanciato con quello del titolare dei dati personali archiviati a non subire una indebita compressione della propria immagine sociale.
In particolare, non si deve cancellare notizie dal web nel caso in cui l’editore abbia provveduto a:

  • “a) a escludere l’accessibilità all’articolo contenente i dati in questione con i motori generali di ricerca, così rendendo i contenuti disponibili solo tramite attivazione del motore di ricerca interno all’archivio ed estromettendo azioni di ricerca mosse da ragioni casuali quando non futili;
  • b) a inserire nell’archivio, in calce all’articolo contenente i dati in questione, un aggiornamento sugli ulteriori sviluppi dei procedimenti giudiziari trattati, così preservandone il valore documentaristico conservativo e la totale sovrapponibilità all’archivio cartaceo.”

Pertanto, “può considerarsi misura idonea a bilanciare il diritto all’oblio con il diritto all’informazione la deindicizzazione della notizia unitamente all’aggiornamento della notizia stessa: il dato pubblicato, così, viene conservato, ma viene reso accessibile non più tramite gli usuali motori di ricerca, bensì esclusivamente nell’archivio storico della testata giornalistica”.


QUANDO IL DIRITTO ALL’OBLIO NON È INVOCABILE

Infine, nella ordinanza n. 6919/2018 la Suprema Corte ha specificato i presupposti che consentono di sacrificare il diritto all’oblio, a vantaggio del diritto all’informazione:

  1. il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico;
  2. l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali);
  3. l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese;
  4. le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione;
  5. la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al pubblico”.

L’anno precedente la Corte di Cassazione (ordinanza n. 19761/2017) ha ritenuto che l’interessato non ha diritto ad ottenere la cancellazione dei dati iscritti in un pubblico registro, quando la conservazione dei dati “sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

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QUALI SONO LE VIE PERCORRIBILI DEL SOGGETTO IN CASO DI LESIONE DEL DIRITTO ALL’OBLIO: LA VIA STRAGIUDIZIALE

Nell’ipotesi in cui sia pubblicata una notizia sul web contenente dati personali che riguardano un soggetto che ritenga di essere leso nel suo diritto all’oblio, questi potrà agire in primo luogo a livello stragiudiziale, nei confronti dell’autore della pubblicazione (ad esempio l’editore del blog o della testata giornalistica) che nei confronti del gestore dei motori di ricerca. In questo caso è consigliabile l’assistenza di un avvocato.
Il soggetto potrebbe infatti essere soddisfatto richiedendo la cancellazione dei propri dati direttamente al titolare del trattamento, come ad esempio all’editore della testata giornalistica. Se ad offendere il soggetto è la pubblicazione della notizia sul web, su un blog o una testata online o cartacea, questi potrà richiedere di cancellare notizie dal web, oppure di cancellare quantomeno le informazioni personali.
Nell’ulteriore ipotesi in cui la lesione del diritto all’oblio scaturisca dalla presenza di una notizia web o di dati personali tra i risultati dei motori di ricerca, è prevista la possibilità di avanzare una richiesta nei confronti del gestore del motore di ricerca per deindicizzare le fonti che riportano informazioni ritenute per lui dannose.


COME IL GARANTE PRIVACY TUTELA IL DIRITTO ALL’OBLIO

Nel caso in cui il gestore del motore di ricerca non dia risposta o dia risposta negativa, è prevista la possibilità di presentare un reclamo al Garante Privacy (art. 77 GDPR e art. 140 bis e ss codice privacy), o alternativamente, presentare il ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria (art. 79 GDPR e art. 152 codice privacy).
Per il Garante, ai fini del legittimo esercizio del diritto all’oblio, è opportuna non solo la considerazione del fattore “tempo trascorso”, bensì anche gli altri criteri individuati dalle linee guida elaborate dal Gruppo di lavoro sull’art. 29 (oggi Comitato Europeo per la Protezione dei dati) sin dal 2014 (sulla scorta della sentenza Google Spain) oggi aggiornate all’ultima versione del luglio 2020.
Ai sensi dell’art. 142 codice privacy, il reclamo con cui si lamenta la violazione del diritto all’oblio deve contenereun’indicazione per quanto possibile dettagliata dei fatti e delle circostanze su cui si fonda, delle disposizioni che si presumono violate e delle misure richieste, nonché gli estremi identificativi del titolare o del responsabile del trattamento, ove conosciuto”.
All’esito dell’istruttoria e del contraddittorio, se il reclamo sul diritto all’oblio viene accolto, il Garante adotta uno dei provvedimenti indicati all’art. 58 GDPR, che vanno dal semplice avvertimento o ammonimento diretto al titolare del trattamento, all’ingiunzione di rettificare o cancellare le notizie dal web, alla possibilità di infliggere sanzioni amministrative.


COME L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA TUTELA IL DIRITTO ALL’OBLIO

A seguito di una lesione del diritto all’oblio, alternativamente al reclamo avanti al Garante Privacy, è possibile presentare ricorso al giudice ordinario per chiedere la rimozione coattiva dei dati personali ex art. 152 e seguenti Codice Privacy, che richiama l’art.10 del D.Lgs n. 150/2011, in base a cui per il procedimento si segue il rito lavoro.
Al procedimento può partecipare anche il Garante Privacy, a cui il ricorrente ha l’obbligo di notificare il decreto che fissa l’udienza di comparizione.
Ai sensi dell’art. 10 comma 10,la sentenza che definisce il giudizio non e’ appellabile e può prescrivere le misure necessarie anche in deroga al divieto di cui all’articolo 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), anche in relazione all’eventuale atto del soggetto pubblico titolare o responsabile dei dati, nonché il risarcimento del danno”.
Infatti, è possibile richiedere al giudice ordinario il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (si pensi al danno d’immagine) derivanti dal trattamento illegittimo dei dati, come anche stabilisce l’art. 82 GDPR.


LE LINEE GUIDA SULL’ESERCIZIO DEL DIRITTO ALL’OBLIO

Sul piano pratico, l’esercizio del diritto all’oblio è connesso a due aspetti:

  • poter cancellare le notizie dal web ed ottenere la cancellazione del proprio nome e di altri dati personali da elenchi, archivi, o registri,
  • ottenere la de-indicizzazione dei risultati e dunque la rimozione da motori di ricerca, in relazione ad articoli o documenti che riportano fatti e notizie non più attuali o comunque privi di interesse sociale. Con la deindicizzazione di un particolare contenuto, questo viene cancellato dall’elenco dei risultati di ricerca relativi all’interessato, quando la ricerca è, in via generale, effettuata a partire dal suo nome, ma resta disponibile se vengono utilizzati altri criteri di ricerca.

In merito al secondo aspetto, il 7 luglio 2019, alla luce della citata sentenza Google, sono state adottate le Linee guida 5/2019 sui criteri per l’esercizio del diritto all’oblio nel caso dei motori di ricerca, ai sensi del GDPR, “per tenere conto del diritto di richiedere la deindicizzazione stabilito dalla sentenza Costeja” nel quadro dell’attività del fornitore di un motore di ricerca.
La versione aggiornata è scaricabile a questo link .
Non si occupano invece dell’altro aspetto del diritto all’oblio, ossia di cancellare le notizie dal web, dai siti che forniscono contenuti giornalistici online, né dall’indice e dalla cache del fornitore del motore di ricerca.
Le “basi giuridiche” per richiedere la deindicizzazione sono quelle indicate all’art. 17 GDPR, sebbene si presume che alcune di esse, come la revoca del consenso, saranno utilizzate raramente, poiché “in pratica è difficilmente ipotizzabile (…) che il gestore di un motore di ricerca chieda il consenso esplicito degli interessati prima di procedere, per le necessità della sua attività di indicizzazione, al trattamento dei dati personali che li riguardano” (CGUE, causa C 136/17 “sentenza Google 2”). Semmai, come affermato al punto 24 delle linee guida, “il titolare del trattamento, a cui ha dato il proprio consenso, è l’editore web e non il gestore del motore di ricerca che indicizza i dati”, che invece è qualificato come responsabile del trattamento.


QUALI SONO LE ECCEZIONI ALLA DEINDICIZZAZIONE SECONDO LE LINEE GUIDA

Dall’altra parte, “la maggior parte delle eccezioni di cui all’articolo 17, paragrafo 3, del RGPD non sembrano attagliarsi alle richieste di deindicizzazione” (punto 43 delle linee guida) per cui la tutela del diritto all’oblio non dovrebbe trovare, in linea di massima, grossi ostacoli.
In particolare, per quanto riguarda l’eccezione di cui al n. 1 (trattamento è necessario per l’esercizio del diritto all’informazione), nella citata sentenza Google 2 si è ritenuto che “i diritti degli interessati prevarranno, in linea generale, sull’interesse degli utenti di Internet ad avere accesso all’informazione tramite il fornitore del motore di ricerca” e che “il gestore di un motore di ricerca, quando riceve una richiesta di deindicizzazione riguardante un link verso una pagina web nella quale sono pubblicati dati personali rientranti nelle categorie particolari (…), deve – sulla base di tutti gli elementi pertinenti della fattispecie e tenuto conto della gravità dell’ingerenza nei diritti fondamentali della persona interessata al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, sanciti dagli articoli 7 e 8 della Carta – verificare, alla luce dei motivi di interesse pubblico rilevante (…), se l’inserimento di detto link nell’elenco dei risultati, visualizzato in esito ad una ricerca effettuata a partire dal nome della persona in questione, si riveli strettamente necessario per proteggere la libertà di informazione degli utenti di Internet potenzialmente interessati ad avere accesso a tale pagina web mediante una ricerca siffatta, libertà che è sancita all’articolo 11 della Carta”.

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