La disciplina del contratto di convivenza
Il contratto di convivenza
In questo articolo esaminiamo il cosiddetto “contratto di convivenza”.
La scelta della convivenza al di fuori del matrimonio è ormai molto frequente tra giovani e meno giovani, da coppie stabili sia eterosessuali che omosessuali. In molti considerano la convivenza come una sorta di prova, prima di unirsi civilmente o sposarsi. Per altri, invece, la convivenza civile è una vera e propria scelta definitiva, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che comporta.
In base alla normativa attuale, ed in particolare alla legge “Cirinnà” n. 76/2016, le coppie di fatto non godono di uno status giuridico di per sé (contrariamente a quanto previsto per la famiglia “tradizionale” fondata sul matrimonio tra persone di sesso diverso e per le unioni civili tra persone dello stesso sesso). Dalla convivenza, se registrata, possono nascere doveri e diritti del convivente non sposato: si tratta della convivenza di fatto registrata mediante una autodichiarazione in Comune, a cui si può aggiungere il contratto di convivenza, adibito a regolare prevalentemente i rapporti patrimoniali tra i conviventi (le parti).
Nel caso della presenza di figli della coppia non sposata, i doveri dei genitori nei confronti dei figli prescindono dall’esistenza o meno degli accordi di convivenza.
Il presente articolo, dopo una preliminare differenza tra unioni civili e coppie di fatto, si sofferma su come può essere stipulato il contratto di convivenza, quali sono i requisiti che deve avere e quali limiti incontra.
Vengono brevemente descritti i vantaggi che ciascuna parte può trarre dalla convivenza civile, sia in termini patrimoniali (ad esempio, assegnazione della casa familiare in caso di morte dell’altro convivente, partecipazione agli utili dell’impresa di famiglia) che non patrimoniali (possibilità di nominare o essere nominati tutore, curatore o amministratore di sostegno dell’altro convivente).
Infine vengono trattate le cause e la procedura di scioglimento del contratto, nel caso della fine della convivenza o negli altri casi previsti dalla legge Cirinnà.
Nello specifico, i temi trattati sono i seguenti:
- Contratto di convivenza: cosa si intende per unioni civili e coppie di fatto
- Cos’è il contratto di convivenza
- Dove si trova la disciplina del contratto di convivenza
- Chi può sottoscrivere il contratto di convivenza
- Quali sono i requisiti formali degli accordi di convivenza
- Quali sono i requisiti sostanziali del contratto di convivenza
- Quali sono i limiti al contenuto degli accordi di convivenza
- Quali sono le cause di nullità del contratto di convivenza
- Come si sciolgono gli accordi di convivenza
- Il recesso unilaterale dal contratto di convivenza
- Contratto di convivenza: quali sono gli effetti dello scioglimento
- Contratto di convivenza e stranieri
CONTRATTO DI CONVIVENZA: COSA SI INTENDE PER UNIONI CIVILI E COPPIE DI FATTO
Con la legge del 20 maggio 2016, n. 76 viene regolamentata, anche nel nostro Paese, la disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle coppie di fatto formalmente registrate come conviventi.
Tali fattispecie vanno tenute ben distinte, perché le unioni civili sono “formazioni sociali” ex art. 2 e 3 Costituzione non fondate sul matrimonio e costituite da persone dello stesso sesso.
Per maggiori approfondimenti, abbiamo parlato delle unioni civili in questo articolo.
Le coppie di fatto (non registrate) sono appunto situazioni di fatto, non riconosciute dalla legge di per se stesse, benchè la giurisprudenza abbia nel tempo elaborato alcune prerogative per i conviventi stabili, come il diritto di subentro del partner nella locazione stipulata dall’altro, o come, ad alcune condizioni, il diritto agli alimenti (Trib. Lecce, sentenza 1418/2020 del 18.06.2020).
La situazione di fatto diventa giuridicamente rilevante quando la convivenza viene formalmente registrata mediante una dichiarazione presso il Comune. Si parla, in questo caso, di convivenza di fatto, da cui la legge Cirinnà fa derivare doveri e diritti del convivente non sposato. In alcuni casi, la legge del 2016 si è limitata a riconoscere formalmente alcuni diritti già individuati dalla giurisprudenza per le coppie di fatto. Le convivenze di fatto sono formate da due persone maggiorenni (di sesso diverso o dello stesso sesso) “unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile” (art. 1 comma 36 L. 76/2016).
Si distinguono anche dalla famiglia “tradizionale”, altra formazione sociale che a differenza delle unioni civili è fondata sul matrimonio celebrato tra persone di sesso diverso.
COS’È IL CONTRATTO DI CONVIVENZA
Chiarito cosa si intende per coppie di fatto e convivenze di fatto, il contratto di convivenza è un accordo facoltativo, redatto per iscritto, attraverso il quale i conviventi di fatto regolamentano tra di loro l’aspetto patrimoniale della vita di coppia (art. 1 comma 50).
Tale contratto è considerato un c.d. contratto normativo, nel senso che attraverso di esso le parti fissano delle regole per gestire situazioni che sorgeranno in futuro. Ad esempio, è possibile stabilire le modalità di contribuzione economica alla vita di coppia, come chi e in che misura deve provvedere al pagamento del canone di locazione, come procedere ai fini della gestione dei risparmi, come far fronte a spese varie, ecc…
DOVE SI TROVA LA DISCIPLINA DEL CONTRATTO DI CONVIVENZA
Gli accordi di convivenza sono disciplinati in tutti i loro aspetti formali e sostanziali, dalla legge Cirinnà e, precisamente dal comma 50 al comma 64 dell’unico articolo del quale è composta. In tale disposizioni sono stabiliti i presupposti inderogabili, in assenza dei quali non è possibile procedere alla sottoscrizione del contratto, e i precisi limiti sul contenuto del contratto di convivenza.
Oltre a quanto previsto dalla l. 76/2016, agli accordi di convivenza si applica anche la disciplina generale dei contratti di cui agli articoli 1321 e ss codice civile.
CHI PUÒ SOTTOSCRIVERE IL CONTRATTO DI CONVIVENZA
Per poter procedere alla sottoscrizione del contratto di convivenza, ciascuna parte deve possedere determinati requisiti. In primo luogo, occorre essere conviventi di fatto:
- essere maggiorenne ed avere capacità di intendere e volere;
- essere di stato libero: non deve aver contratto matrimonio o unione civile (art. 1 comma 36);
- non deve trovarsi in rapporti di parentela, affinità, adozione con l’altra parte;
- deve aver intrapreso con l’altra parte un rapporto di coppia, con una convivenza stabile. La prova dell’inizio della convivenza stabile deriva dalle risultanze anagrafiche, in base a cui i conviventi devono appartenere alla stessa famiglia anagrafica (v. art. 13, comma 1, lett. b) del D.P.R. 30/05/1989, n. 223);
- avere registrato la convivenza in Comune.
Inoltre, a pena di nullità insanabile del contratto, il convivente:
- non deve essere interdetto giudizialmente;
- non deve essere stato condannato per omicidio tentato o consumato nei confronti dell’altra parte;
Irrilevante poi sono il sesso e l’orientamento sessuale delle parti: il contratto di convivenza può essere stipulato sia tra persone dello stesso sesso, che tra persone di sesso diverso, eterosessuali o omosessuali.
QUALI SONO I REQUISITI FORMALI DEGLI ACCORDI DI CONVIVENZA
Gli accordi di convivenza necessitano di essere redatti in forma scritta per:
- atto pubblico,
- scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato.
La stessa forma, è richiesta per le eventuali modifiche che nel tempo possono essere apportate nonché per la risoluzione del contratto di convivenza.
Il notaio o l’avvocato che autenticano la firma devono inoltre attestare la conformità degli accordi di convivenza alle norme imperative e all’ordine pubblico, a pena di nullità, e trasmetterli al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al DPR 223/1989 (art. 1 comma 52).
QUALI SONO I REQUISITI SOSTANZIALI DEL CONTRATTO DI CONVIVENZA
In merito al contenuto, alcuni elementi del contratto di convivenza sono obbligatori, come l’indicazione dei dati anagrafici e del domicilio delle parti (importante ai fini dell’eventuale notifica del recesso) e altri facoltativi.
Innanzitutto all’interno dell’accordo deve essere presente l’indicazione dell’indirizzo al quale ricevere eventuali comunicazioni inerenti il contratto stesso (art. 1 comma 53).
Per quanto riguarda la parte facoltativa, è possibile indicare:
- la residenza comune;
- le modalità di contribuzione, di ciascuna delle parti, alla vita familiare, in relazione alla capacità contributiva di ognuno e all’attività lavorativa scolta;
- il regime patrimoniale della coppia, di separazione o comunione dei beni, che può anche essere modificato in qualsiasi momento durante la convivenza.
È discusso se possano trovare sede nel contratto di convivenza due disposizioni previste dalla legge 76/2016 che non hanno contenuto strettamente patrimoniale:
- la designazione dell’altro convivente in qualità di proprio rappresentante (art. 1 comma 40), con la facoltà di attribuirgli poteri pieni o limitati in casi di incapacità temporanea in caso di malattia che determini un’incapacità di intendere e di volere, al fine di adottare le necessarie decisioni per la salute o addirittura, in caso di morte qualora sia necessario decidere se donare o meno gli organi e per la cremazione e il funerale;
- la disegnazione dell’altro convivente quale proprio tutore, curatore o amministratore di sostegno, in caso di interdizione o inabilitazione (art. 1 comma 48).
QUALI SONO I LIMITI AL CONTENUTO DEGLI ACCORDI DI CONVIVENZA
La ratio del contratto di convivenza è di regolare gli interessi patrimoniali tra i conviventi e nei confronti dei terzi. In linea di principio, gli accordi di convivenza non possono spingersi a regolare interessi non patrimoniali, quali ad esempio il diritto di visita dei figli delle coppie di fatto.
Importante eccezione alla disciplina generale è il divieto di sottoporre a termine e condizione le clausole del contratto di convivenza (art. 1 comma 56) e laddove previste, si considerano non apposte.
QUALI SONO LE CAUSE DI NULLITÀ DEL CONTRATTO DI CONVIVENZA
Oltre alla mancanza di forma e alle cause di nullità previste in genere per i contratti dal codice civile ex art. 1418 cod. civ., il contratto di convivenza è nullo quando (art. 1 comma 50):
- è stipulato tra persone di stato non libero, in costanza di matrimonio o unione civile o di precedente contratto di convivenza;
- è sottoscritto da un minorenne;
- i contraenti sono legati da parentela, affinità o adozione;
- manca l’effettiva convivenza o il legame affettivo di coppia e di reciproca assistenza;
- è sottoscritto da persona interdetta giudizialmente;
- una delle parti sia stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra parte. In merito a questa ultima ipotesi, in pendenza di un processo per i delitti richiamati o in pendenza del procedimento di interdizione, gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in attesa dell’esito del giudizio.
La nullità, essendo un vizio insanabile del contratto, può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse e non è soggetta ad alcune termine di decadenza.
COME SI SCIOLGONO GLI ACCORDI DI CONVIVENZA
Il contratto di convivenza, al pari di qualsiasi altro contratto, può essere sciolto.
A differenza di quanto accade nel matrimonio e per le unioni civili, lo scioglimento degli accordi di convivenza non passa attraverso il procedimento di separazione e/o divorzio, ma molto più semplicemente i conviventi possono decidere, in qualsiasi momento, di far venir meno gli accordi intercorsi, per mutuo consenso o recesso unilaterale.
Il contratto di convivenza si risolve (art. 1 comma 59) anche nel caso in cui una delle parti contragga matrimonio o unione civile (sia tra le stesse parti o con terzi) o avvii una nuova convivenza con altre persone. In tal caso (comma 62) chi ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare l’estratto di matrimonio o di unione civile all’altro ed al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza.
Infine, il contratto di convivenza si scioglie per la morte del convivente. In tal caso il contraente superstite o gli eredi del deceduto devono notificare l’estratto dell’atto di morte al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza affinche’ provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza.
Anche la risoluzione, come ogni modifica che si intende apportare al contratto, deve essere registrata presso l’ufficio anagrafe competente che avrà cura di annotare la modifica o il recesso sul contratto di convivenza registrato.
IL RECESSO UNILATERALE DAL CONTRATTO DI CONVIVENZA
In qualsiasi momento e senza alcun termine di preavviso, ciascuno dei conviventi può esercitare il diritto potestativo di recesso. In questo caso, il recesso deve essere:
- redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata;
- trasmesso al Comune di residenza per l’iscrizione all’anagrafe;
- trattandosi di un atto recettizio, è inefficace sino a quando viene notificato al domicilio dell’altro convivente da parte del professionista.
CONTRATTO DI CONVIVENZA: QUALI SONO GLI EFFETTI DELLO SCIOGLIMENTO
Ai sensi del comma 60, lo scioglimento del contratto determina lo scioglimento della comunione dei beni “ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza”.
In caso di impossibilità dell’ex convivente a procurarsi i mezzi di sostentamento, l’altro può essere obbligato a versagli gli alimenti per una somma (v. art. 438 cod. civ.) e per un periodo proporzionato rispetto alla durata della convivenza. Del diritto agli alimenti abbiamo parlato in questo articolo.
Peraltro, con una decisione innovativa in materia di obbligo alimentare, il Tribunale di Legge (sentenza n. 1418 del 18.06.2020) ha interpretato l’art. 1 comma 65 della legge 76/2016 applicandolo anche alle coppie di fatto more uxorio non registrate. Pertanto, il convivente more uxorio, anche in assenza del contratto di convivenza, ha diritto agli alimenti “qualora sia accertato lo stato di bisogno del richiedente e questi non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’art. 438, co 2 c.c., in proporzione cioè del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli“.
In caso di recesso unilaterale o risoluzione consensuale, qualora l’abitazione ove vive il nucleo familiare sia nella disponibilità della parte che recede, all’interno del recesso deve essere concesso all’altro un termine di almeno 90 giorni per lasciare l’immobile (a pena di nullità del recesso).
CONTRATTO DI CONVIVENZA E STRANIERI
La sottoscrizione di un contratto di convivenza è rilevante anche per quanto riguarda la disciplina del permesso di soggiorno per motivi familiari, prevista nel testo unico sull’immigrazione.
Come stabilito dal Consiglio di Stato (sentenza 4277/2018) “La convivenza dello straniero con una cittadina italiana riconosciuta con “contratto di convivenza” disciplinato dalla L. n. 76 del 2016 è ostativa alla espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione, di cui all’art. 19, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 286 del 1998, e tale causa ostativa deve essere valutata se sussistente o meno al momento in cui l’espulsione viene messa in esecuzione“.
Gli accordi di convivenza permettono allo straniero di richiedere ed ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari: in base all’art. 3 comma 2 del dlgs 30/2007, l’amministrazione pubblica agevola l’ingresso ed il soggiorno in Italia del partner straniero con cui il cittadino italiano (ed in genere comunitario) abbia una relazione sabile, attestata con documentazione ufficiale, oltre alla dimostrazione delle risorse economiche sufficienti a soggiornare in Italia e della disponibilità di un alloggio idoneo.
La dimostrazione della relazione stabile è data dalla registrazione di un contratto di convivenza.
Talvolta, tuttavia, la normativa sembra entrare in un corto circuito: si pensi alla situazione dello straniero irregolare.
Si è detto nei paragrafi precedenti che l’iscrizione all’anagrafe nella stessa famiglia non è stettamente un requisito del contratto di convivenza, ma serve a dare data certa all’inizio della convivenza civile.
Pertanto, ci si chiede se sia possibile ed in che modo un cittadino straniero irregolare, e quindi non iscritto all’anagrafe (l’art. 6 comma 7 del testo unico immigrazione sembra permettere l’iscrizione all’anagrafe solamente degli stranieri regolari), possa ottenere un permesso di soggiorno in virtù di un contratto di convivenza.
Le risposte sono diverse. Secondo una prima soluzione, adottata dalla maggioranza dei Comuni (e con la circolare n. 78/2021 anche dal ministero dell’Interno), l’iscrizione anagrafica nello stato di famiglia del partner è un pre-requisito per la registrazione del contratto di convivenza, e pertanto lo straniero irregolare non può valersi degli accordi di convivenza per richiedere un permesso di soggiorno (e regolarizzare, in tal modo, la propria posizione).
Tuttavia, alcune questure rilasciano il permesso di soggiorno per motivi famigliari sulla base del contratto di convivenza, amche senza l’iscrizione anagrafica, valutando caso per caso se vi siano le condizioni richieste dal dlgs 30/2007.
In caso di rigetto è comunque possibile adire l’autorità giudiziaria. Come affermato dal Tribunale di Bologna (ordinanza 21280/2020) “Lo straniero ha diritto all’ingresso in Italia e al ricongiungimento con il partner italiano, se intrattiene con questi una stabile relazione, non registrata, ma debitamente attestata da documentazione ufficiale. Deve essere, pertanto, riconosciuto il carattere di ufficialità all’accordo di convivenza sottoscritto dallo straniero e dal partner italiano dinnanzi all’avvocato, ai sensi dell’art. 1, commi 50 e 51, L. n. 76/2016 con conseguente iscrizione anagrafica del partner straniero privo di autonomo titolo di soggiorno ai fini dell’unità familiare.”
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Lo Studio Legale Berti e Toninelli si trova a Pistoia, in Piazza Garibaldi n. 5.
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