maltrattamenti in famiglia

I maltrattamenti in famiglia

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Il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.

Come sono puniti i maltrattamenti in famiglia

Un tema di particolare attualità e di enorme allarme sociale è quello dei maltrattamenti in famiglia, che sono spesso oggetto di pagine di cronaca nera.
Tra i numerosi reati previsti dal codice penale a tutela della famiglia e dell’assistenza familiare, quello previsto all’art. 572 cp si caratterizza perché i soggetti protetti non sono esclusivamente i familiari: la fattispecie si estende anche ad altri soggetti, che con il maltrattante hanno un legame qualificato, come ad esempio i conviventi. Tanto che l’articolo 572 del codice penale è utilizzato per fornire copertura penale al fenomeno del mobbing, laddove l’ambiente di lavoro abbia natura parafamiliare.
I maltrattamenti individuano due elementi costitutivi del reato: la condotta e l’evento.
Rispetto alla condotta, il reato di maltrattamenti in famiglia è a forma libera, in quanto i maltrattamenti dei familiari vengono commessi non soltanto attraverso atti di violenza in famiglia che sarebbero di per se stessi puniti come singoli reati meno gravi (lesioni, percosse, minacce …..) e che sono “assorbiti” nella fattispecie de quo, ma anche attraverso condotte (omissive o commissive) di per sé lecite, ma la cui reiterazione nel tempo fa sorgere l’antigiuridicità del fatto. Si tratta di un reato necessariamente abituale. 
L’evento conseguente ai maltrattamenti, ai sensi dell’art 572 cp, deve essere lo stato di sofferenza psicofisica della vittima.
Qualora dalla violenza familiare derivino eventi ulteriori (lesioni gravi, gravissime o morte della vittima) la pena prevista dalla fattispecie (reclusione da tre a sette anni) sarebbe aumentata, fino ad arrivare a 25 anni di reclusione nel caso della morte della vittima.
La sanzione è altresì aumentata quando le vittime dei maltrattamenti sono soggetti considerati particolarmente fragili, come le donne in stato di gravidanza e le persone disabili ed i minorenni.
Questi possono essere vittime “indirette” della cosiddetta “violenza assistita” e cioè quando i maltrattamenti non siano rivolti direttamente verso di loro, ma comunque tenuti in loro presenza. In particolare, il minore è considerato egli stessa persona offesa dal reato.
Tra i soggetti particolarmente fragili, l’art 572 cp non rammenta gli anziani. La lacuna è comunque colmata dalla giurisprudenza, che estende il reato anche se commesso non direttamente nel contesto familiare, ma ad esempio presso i centri di cura e soggiorno per anziani.
In questo articolo parliamo di:


COME VIENE DISCIPLINATO IL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

L’articolo 572 codice penale disciplina il reato dei maltrattamenti di familiari e conviventi, descrivendo la fattispecie delittuosa commessa da “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte…”.
Il reato di maltrattamenti in famiglia si colloca nella parte del codice penale dedicata ai delitti contro la famiglia e l’assistenza familiare, caratterizzati dal fatto che l’offesa deriva da membri dello stesso gruppo familiare al quale appartiene la vittima.
In realtà, limitare alla famiglia l’oggetto giuridico del reato ex articolo 572 del codice penale, sarebbe fuorviante.
In primo luogo perché, anche in base alla interpretazione letterale, il bene giuridico protetto è l’integrità psicofisica e morale della vittima.
In secondo luogo perché rispetto agli altri reati previsti nel titolo XI del codice penale, il soggetto passivo non è necessariamente un familiare dell’agente, ma chiunque abbia con lui una relazione qualificata (rapporto di convivenza, sottoposizione per ragioni di autorità, affidamento per ragioni di educazione, cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di una professione o arte).
Ne consegue che l’effettivo fondamento giuridico dell’art 572 c.p. deve essere rinvenuto nella stabilità del vincolo affettivo e/o umano tra l’agente e soggetti ritenuti “deboli” ed esposti a episodi di sopraffazione da parte del soggetto “forte”, anche in applicazione di quanto previsto dalla ratificata Convezione di Lanzarote del 2007.
Tra i vari interventi che hanno modificato l’art. 572 c.p. negli anni, si ricorda:

  • la legge n. 172 del 2012 con la quale il legislatore ha incluso i semplici conviventi nel novero delle vittime di maltrattamenti;
  • la legge 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso) che ha inasprito il regime sanzionatorio, soprattutto per contrastare episodi di c.d. violenza domestica e che ha inserito l’ultimo comma dell’articolo 572 c.p. che prevede che il minore che assiste ai maltrattamenti familiari debba essere considerato persona offesa.


CHI SONO I SOGGETTI COINVOLTI NEL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

La fattispecie di maltrattamenti in famiglia è un reato proprio, nel senso che soggetto attivo deve essere qualificato da una particolare relazione con il soggetto passivo.
Le persone della famiglia sono innanzitutto i parenti, e cioè coloro con i quali intercorrono legami di sangue (sia in via diretta che collaterale) ai sensi dell’art. 74 del codice civile, o ad essi equiparati (ad esempio figli adottati).
Familiari sono anche il coniuge e gli affini (e cioè i parenti del coniuge) in base all’art. 78 del codice civile. Nel caso di coniugi separati, la Suprema corte ha stabilito che “la cessazione del rapporto di convivenza, ad esempio a seguito di separazione legale o di fatto, non influisce sulla sussistenza del reato di maltrattamenti, rimanendo integri anche in tal caso i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale. Ciò in quanto i vincoli di solidarietà e gli obblighi nascenti dal coniugio o, anche dalla filiazione, permangono integri anche a seguito del venir meno della convivenza. In particolare, la separazione legale o di fatto tra i coniugi non incide sul vincolo di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, nonché di collaborazione, cosicché le condotte vessatorie poste in essere anche successivamente alla cessazione della convivenza sono idonee a configurare il delitto di maltrattamenti” (Cass. pen., Sez. VI, 13/10/2022, n. 43429).
Al pari del coniuge, fanno parte della famiglia anche le persone unite civilmente, nell’ambito delle coppie omosessuali in base alla legge 76/2016.
I conviventi in genere sono le persone con cui il soggetto attivo ha “una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità in quanto, lungi dall’essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve essere espressione di una relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita” ( Cass. pen., Sez. VI, 28/09/2022, n. 38336).


QUALI SONO GLI ALTRI SOGGETTI TUTELATI DAI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

L’affidamento per l’esercizio di una professione o arte, o per ragioni di vigilanza e custodia, designano altre situazioni in cui è ravvisabile una posizione di garanzia o di protezione gravante su un soggetto “forte” nei confronti di uno “debole”.
Le persone sottoposte per ragioni di autorità sono quelle che subiscono il potere direttivo del soggetto agente, come ad esempio nel caso del rapporto di lavoro subordinato. Sotto questo aspetto, la giurisprudenza ha potuto estendere il reato di maltrattamenti in famiglia ai casi di mobbing, fenomeno che indica il complesso delle condotte realizzate per fini denigratori e vessatori verso il lavoratore, a condizione che l’ambiente lavorativo abbia natura para-familiare.
Le persone affidate all’agente per ragioni di educazione ed istruzione sono, ad esempio, gli alunni che subiscono condotte vessatorie da parte dei docenti, anche al di fuori dell’ambiente scolastico (Cassazione, sentenza n. 3459/2021). Da questo punto di vista, il reato di cui all’art. 572 codice penale si differenzia dalla fattispecie di abuso dei mezzi di correzione ex art. 571 c.p. per l’abitualità delle condotte vessatorie, che caratterizza il primo.
Rientrano nell’ambito delle persone affidate  per ragioni di cura,  i maltrattamenti agli anziani collocati presso una residenza assistenziale sanitaria, o presso una casa di riposo.
Secondo la Cassazione la vittima di violenza in famiglia può essere, a sua volta, autore del reato, che non è escluso dalla reciprocità dei maltrattamenti tra familiari conviventi: ”l reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri” (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 24/01/2020, n. 12026).
Infine, l’art 572 cp accorda ad alcuni soggetti particolarmente fragili una tutela rafforzata, in quanto se la violenza familiare è commessa in danno di minorenni, donne in stato di gravidanza o persone con disabilità, la pena è aumentata fino alla metà.

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QUALI SONO GLI ELEMENTI COSTITUITIVI DEL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Il termine “maltrattare” dell’articolo 572 codice penale individua due elementi costitutivi del reato: la condotta e l’evento.
La condotta non viene definita come un singolo atto, ma piuttosto come un complesso di atti, commissivi o omissivi (si tratta di un reato a forma libera), caratterizzati:

  • dalla reiterazione nel tempo,
  • dalla vessatorietà che complessivamente acquistano nei confronti della vittima di violenza familiare.

In altre parole, il delitto di violenza in famiglia non punisce il singolo episodio violento, che di per sé considerato potrebbe anche non essere penalmente rilevante, ma il complessivo contegno del soggetto attivo, se reiterato e vessatorio. Ad esempio, la Cassazione ha definito maltrattante il contegno del coniuge che aveva reso pubblici numerosi tradimenti del partner, con l’effetto di umiliarlo (Cass. pen., Sez. VI, 29/09/2022, n. 41568). Oppure può integrare il reato il continuo disinteresse del coniuge per i bisogni affettivi dell’altro (Cassazione sentenza 25 novembre 2021, n. 43570).
La durata della convivenza non ha tendenzialmente rilevanza, posto che la giurisprudenza riconosce il reato dell’art. 572 cp anche in presenza di una convivenza protrattasi per pochi giorni, purchè vi sia, da un lato, un progetto di stabile e duratura relazione affettiva, e dall’altro le condotte vessatorie siano state significativamente reiterate nel breve arco temporale (Cassazione penale del 26 settembre 2022, n. 36194).
Il termine “maltrattamenti” individua anche l’evento del reato, identificato nella situazione di sofferenza psicofisica in cui la vittima è costretta a vivere, come conseguenza diretta ed immediata della violenza e soprattutto del maltrattamento psicologico in famiglia (Cass. pen., Sez. VI, 09/11/2006, n. 3419).
In merito all’elemento soggettivo, è richiesto il dolo generico: è sufficiente la consapevolezza e la volontà dell’agente di tenere un comportamento vessatorio, col risultato di determinare nella vittima una situazione di sofferenza psicofisica.
Non rilevano invece le ulteriori finalità che l’agente si sarebbe proposto, ad esempio la finalità educativa, che invece caratterizza il reato di cui all’art. 571 c.p.


COSA SONO I MALTRATTAMENTI PSICOLOGICI IN FAMIGLIA E LA VIOLENZA ECONOMICA

La violenza psicologica è la forma più frequente e probabilmente anche più degradante di condotte maltrattanti in quanto consiste, nella maggior parte dei casi, in insulti, minacce, ingiurie, umiliazioni continue che pongono la vittima in uno stato di sottomissione psicologica.
Il problema del maltrattamento psicologico è la sua difficoltà probatoria, limitata molto spesso alla prova testimoniale ed alle dichiarazioni rese dalla stessa vittima del reato. Nel 2019 il legislatore ha introdotto il c.d. Codice Rosso che, modificando l’art. 362 1 ter c.p.p. ha previsto che “il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa”.
Inoltre, la prova dichiarativa della persona offesa di maltrattamenti psicologici in famiglia, può essere sempre rilasciata nelle forme dell’incidente probatorio, ai sensi dell’art. 392 co. 1-bis cod. proc. pen.
Rientra nel maltrattamento psicologico in famiglia anche la cosiddetta violenza economica: quel comportamento volto ad impedire alla vittima di intraprendere attività lavorative, costringendola a non uscire di casa, oppure a consegnare tutti i suoi eventuali guadagni. Tale forma di maltrattamento crea una vera e propria dipendenza economica tra il maltrattante e la vittima delle violenze, non permettendole una vita serena e libera.


QUAL È LA PENA PREVISTA PER I MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Il regime sanzionatorio dettato dall’articolo 572 codice penale sottolinea la gravità della violenza in famiglia. Chi commette maltrattamenti familiari è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è aggravata in presenza di determinate circostanze, descritte ai commi 2 e 4.
Inoltre, l’eventuale condanna del genitore per maltrattamenti familiari comporta  la perdita della responsabilità genitoriale ex art. 569 del cod. pen..


QUALI AGGRAVANTI SONO PREVISTE PER I MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Il comma 4 inasprisce la pena del reato base, qualora dai maltrattamenti derivino, oltre allo stato di sofferenza della vittima, anche conseguenze fisiche rilevanti, ed in particolare:

  • in caso di lesioni gravi, e cioè se dai maltrattamenti familiari derivi una malattia (anche psichica, purchè accertata) che metta in pericolo la vita della persona offesa, un’incapacità di svolgere ordinarie attività per un tempo superiore ai 40 giorni, ovvero un indebolimento permanente di un senso o di un organo, si applica la reclusione da quattro a nove anni;
  • in caso di lesioni gravissime, quando dai maltrattamenti deriva una malattia inguaribile (ad esempio la perdita di un senso, di un arto, di un organo, della capacità di procreare, oppure la deformazione o uno sfregio permanente del viso) si applica la reclusione da sette a quindici anni;
  • in caso di morte della vittima, si applica la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

La giurisprudenza ha chiarito che questi ulteriori eventi sono posti a carico dell’agente a titolo di responsabilità oggettiva, purchè prevedibili in concreto: “l’espressione “derivare” di cui all’art. 572, comma terzo, cod. pen. deve essere interpretata in relazione ai principi posti dall’art. 41 cod. pen. e, pertanto, impone un rinvio alle regole con cui è regolamentata l’imputazione oggettiva degli eventi causati dall’autore di un reato” (Cass. pen., Sez. VI, Sentenza, 16/05/2019, n. 4121).
Se invece le lesioni o la morte della vittima sono voluti dal soggetto attivo maltrattante, questi assurgono a reati autonomi ed ulteriori rispetto alla fattispecie dell’articolo 572 codice penale. Rientra in questo discorso anche l’ipotesi del suicidio della vittima, se è “posto in essere come rimedio alle continue sofferenze psico-fisiche cagionate abitualmente e non ha una causa autonoma e successiva, che si inserisca nel processo causale in modo eccezionale, atipico ed imprevedibile” (Cass. pen., Sez. VI, Sentenza, 23/11/2021, n. 8097).


COS’È LA VIOLENZA ASSISTITA NEI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Al secondo comma dell’art 572 cp sono poi indicate altre circostanze “ad effetto speciale” che aggravano la sanzione fino alla metà:

  • se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità ai sensi dell’art. 3 della legge 104/1992.
  • se il fatto è commesso con armi.

Peraltro, il minore che assiste agli episodi di violenza (c.d. violenza assistita) è considerato persona offesa del reato, e determina l’aumento di pena a condizione che:

  • il minore sia presente ad almeno un singolo atto di violenza in famiglia, e non a tutti gli episodi,
  • l’assistere all’episodio di violenza in famiglia possa determinare un pregiudizio per il corretto sviluppo del minore, il che è escluso, ad esempio, nel caso di minori di pochi mesi che non possono percepire il contesto ambientale e le condotte maltrattanti (Cass. pen., Sez. VI, Sentenza, 10/05/2022, n. 21087).

L’essere persona offesa determina, sul piano pratico, la possibilità di presentare una querela – denuncia per maltrattamenti, e di opporsi all’eventuale richiesta di archiviazione del pubblico ministero.

La violenza assistita di cui all’art. 572 codice penale è inoltre ostativa al decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656 comma 9 cpp.


MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: QUALI SONO LE CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA ASSISTITA

Un’importante sentenza della Cassazione stabilisce che “…Il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi.” (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 18833 del 2 maggio 2018).

Per dare una definizione alla violenza assistita, richiamiamo le parole del Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia che la identifica come “qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”.
Secondo le attuali statistiche realizzati dal CISMAI, attualmente in Italia sono più di 400.000 i bambini che subiscono conseguenze del maltrattamento assistito, sia direttamente che indirettamente, nel senso che spesso capita che il minore sia consapevole delle violenze in famiglia anche senza esserne spettatore diretto. Nella maggior parte dei casi si tratta del padre, di un compagno o ex-compagno della madre che pone in essere condotte violente contro la medesima, provocandole lesioni fisiche e/o psichiche e danneggiando l’ambiente familiare ove vive anche il minore.
Dall’assistere ad episodi di violenza familiare, ben possono derivare danni allo sviluppo psico-motorio del minore in tenera età o deficit nella crescita. Soprattutto, crescere in un contesto violento può provocare danni neuro cognitivi, con effetti sulle capacità relazionali, sulla autostima e sulle attitudini e prospettive di vita, creando stati di ansia, di tristezza, di rabbia di stress, di fobie costanti, dovute anche al senso di colpa e di impotenza di non poter evitare le violenze. Tutto ciò fino alla depressione o al disadattamento ed alla emarginazione sociale.


QUALE DIFFERENZA TRA MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA E ATTI PERSECUTORI

Molto delicato e sottile appare il confine tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori aggravati dall’essere commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
Il reato previsto all’art. 612 bis comma 2 codice penale si realizza quando i maltrattamenti cagionano nella vittima, uno stato di ansia, o il fondato timore per l’incolumità personale propria o di persona vicina, od ancora la costrizione di modificare le abitudini di vita.
Posto che la clausola di sussidiarietà dell’art. 612 cp impone di applicare la fattispecie più grave, e cioè quella dall’art. 572 c.p. ove possibile, la differenza consiste nell’attualità della convivenza e/o del legame affettivo tra soggetto attivo e passivo.
Sul punto si ricorda una recente statuizione della giurisprudenza di legittimità, la quale ha ritenuto che “non è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, bensì l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte illecite poste in essere da parte di uno dei componenti di una unione di fatto ai danni dell’altro, quando sia cessata la convivenza e siano conseguentemente venute meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento” (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 39532 del 6 settembre 2021).
Invero, con la sentenza nr. 30129 del 2 agosto 2021, la Suprema Corte ha affermato che il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. può essere ravvisato anche nei casi in cui, nonostante si sia realizzata un’interruzione della convivenza, residuino rapporti di stabile frequentazione e di solidarietà soprattutto se dovuti alle comuni esigenze adibite all’educazione e al sostentamento dei figli.

Quindi, la giurisprudenza fa riferimento ad ipotesi dove si è in presenza di pregressi rapporti familiari e nello specifico a quelle “condotte vessatorie realizzate in caso di cessazione della convivenza con la vittima, sia nel caso di separazione legale o di divorzio, sia nel caso di interruzione della convivenza allorché si tratti di relazione di fatto, integrano il reato di maltrattamenti in famiglia e non anche quello di atti persecutori, allorché i vincoli di solidarietà derivanti dal precedente rapporto intercorso tra le parti non più conviventi, nascenti dal coniugio, dalla relazione more uxorio o dalla filiazione, permangano integri o comunque solidi ed abituali nonostante il venir meno della convivenza”.


MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: GIURISPRUDENZA SUI MALTRATTAMENTI AGLI ANZIANI

Nel nostro codice penale manca una vera e propria fattispecie che punisca specificamente i maltrattamenti agli anziani, seppur anch’essi siano soggetti deboli e talvolta fragili.
Oltre alle singole fattispecie di reato (percosse, lesioni, violenza psicologica….) e all’aggravante comune della minorata difesa ex art. 61 n. 5 cod. pen.  (cioè “l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”) la disposizione che appare maggiormente calzante a punire i maltrattamenti agli anziani, è quella di cui all’art. 572 cp, anche alla luce delle interpretazioni giurisprudenziali estensive.
Infatti, si riconduce alla norma in esame la fattispecie nella quale l’agente abbia generato uno stato di sofferenza e umiliazione nelle vittime, attraverso un clima di terrore instaurato nell’ambito della comunità (ad esempio una casa di cura) e non attraverso specifici atti nei loro confronti (in tal senso, Cass. Pen., Sez. VI, Sent. n. 8592 del 03 marzo 2010).
L’art. 572 cp è stato applicato anche nei casi in cui l’anziano, impossibilitato a muoversi, veniva tenuto in condizioni infime di sporcizia e degrado, lasciato, tra l’altro, solo e in una stanza buia senza possibilità alcuna di provvedere neanche minimamente a sé stesso; nonché nelle ipotesi in cui la persona anziana era stata rinvenuta in locali maleodoranti e angusti chiusa al chiave senza cure né assistenza (Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 28509 del 20 luglio 2010; Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 33083 del 04 ottobre 2006).
Infine, secondo un recentissimo approdo della Cassazione “…Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art 572 cp, l’esistenza, in una casa di cura e ricovero per anziani, di un generalizzato clima di vessazione e di indifferenza nei confronti dei bisogni primari degli assistiti non esime dalla rigorosa individuazione degli autori delle varie condotte, in quanto il carattere personale della responsabilità penale impedisce che il singolo operatore sanitario, in mancanza di addebiti puntuali che lo riguardano, possa essere chiamato a rispondere, sia pure in forma concorsuale omissiva, del contesto in sé considerato, anche nel caso in cui da tale contesto egli tragga vantaggio in termini di alleggerimento dei propri compiti”(Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 35591 del 2 luglio 2021).

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QUALE PROCEDIBILITÀ DEL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Data la particolare delicatezza del fenomeno all’interno del quale si colloca il reato di maltrattamenti, il legislatore ha previsto la sua procedibilità d’ufficio. Questo vuol dire che chiunque può sporgere denuncia per maltrattamenti alle Forze dell’Ordine, anche se completamente estraneo al contesto litigioso, qualora ad esempio abbia assistito alle violenze.
Quindi, anche in assenza di apposita querela da parte della persona offesa nel termine di tre mesi dalla realizzazione della condotta costituente reato, è possibile procedere ai fini dell’inizio del processo penale per accertare e punire i maltrattamenti realizzati.


QUALI SONO LE TUTELE PER LE VITTIME DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

In primo luogo, anche solo per l’ipotesi base (non aggravata) del reato di maltrattamenti in famiglia, il codice di procedura penale prevede due misure immediate (c.d. misure pre-cautelari) dell’arresto e dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare
In secondo luogo, è prevista la possibilità di richiedere che il soggetto maltrattante sia ammonito dal questore, similmente a come accade per il reato di stalking, di cui abbiamo parlato in questo articolo.
In terzo luogo, è possibile tutelare la vittima di maltrattamenti familiari, in attesa dell’esito del processo, con una misura cautelare personale, ed in particolare dell’allontanamento della casa familiare, o interdittiva (la sospensione della responsabilità genitoriale).


MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: QUALI SONO LE TUTELE IMMEDIATE

Il codice prevede due misure immediate, dette pre-cautelari, che possono interrompere le condotte vessatorie:

  • l’arresto del soggetto maltrattante. Si tratta, ai sensi dell’art. 380 lett. l-ter) c.p.p. di un’ipotesi obbligatoria di arresto, a condizione che vi sia la flagranza o la quasi flagranza (art. 382 c.p.p.), e cioè quando l’autore sia colto nell’atto di commettere il reato, oppure sia inseguito subito dopo dalla polizia giudiziaria o dalla persona offesa, oppure ancora sia sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima. Peraltro, trattandosi di reato procedibile d’ufficio, è consentito l’arresto da parte del privato (art. 383 cod. proc. pen.) a condizione che chi ha eseguito l’arresto consegni immediatamente l’arrestato alla polizia giudiziaria.
  • l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa ex art. 384 bis c.p.p. se oltre alla flagranza (o quasi flagranza) di reato vi sono fondati motivi per ritenere che la violenza familiare possa essere reiterata, in modo da determinare un pericolo grave e attuale per l’integrità psicofisica della vittima e/o del minore che vi assista (che, come detto, è considerato persona offesa del reato).


L’AMMONIMENTO DEL QUESTORE PER I MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Il decreto legge 93/2013 convertito nella legge 119/2013 ha previsto la procedura di ammonimento del questore per i casi di violenza domestica.
Si parla di violenza domestica, ai sensi dell’art. 3 della citata legge, in caso di maltrattamenti psicologici in famiglia, di violenze fisiche o sessuali, di violenza economica “all’interno della famiglia o del nucleo familiare, o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.
La procedura dell’ammonimento si attiva quando alle forze dell’ordine venga segnalato in forma non anonima (ma i dati del segnalante vengono comunque nascosti al segnalato), un episodio di violenza familiare con percosse o lesioni personali (art. 581 e 582 cod. pen.).
In questo caso non è necessaria la denuncia per maltrattamenti, poiché il questore può avviare le indagini (e cioè  assumere le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentire le persone informate dei fatti), anche in assenza di querela.
Se dall’esito delle indagini risultano indizi di colpevolezza (non è necessaria la piena prova, trattandosi di un procedimento amministrativo e non di un processo penale), il questore:

  • ammonisce il soggetto, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge, e lo informa circa i servizi finalizzati ad intervenire nei confronti degli autori di violenza domestica o di genere;
  • adotta i provvedimenti opportuni in materia di armi (ad esempio la revoca del porto d’armi);
  • può chiedere al prefetto la sospensione della patente di guida da uno a tre mesi, salvo nei casi in cui il permesso straordinario di guida di cui all’art. 218 codice della strada non sia sufficiente a colmare le esigenze di spostamento per l’attività lavorativa.


QUALI SONO LE MISURE CAUTELARI A TUTELA DELLA VITTIMA DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Le misure cautelari personali più idonee a fornire una tutela efficace alla vittima del reato di cui all’art. 572 c.p. sono:

  • la custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.),
  • gli arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.),
  • il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.)
  • l’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.)

Tra le misure interdittive, vi è la sospensione della responsabilità genitoriale (art. 288 c.p.p.)

In particolare, col provvedimento che dispone l’allontanamento dalla casa familiare, il giudice impone al soggetto maltrattante:

  • di lasciare immediatamente la casa familiare, e di non farvi rientro senza l’autorizzazione del giudice,
  • qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro,
  • il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi se prive di mezzi adeguati.

Col divieto di avvicinamento, il giudice ordina al soggetto maltrattante:

  • di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa (salvo che per esigenze di lavoro), o di comunicare con essa,
  • di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva (salvo che per esigenze di lavoro), o di comunicare con loro,
  • l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis (braccialetto elettronico).

Per rispondere alle esigenze di effettività, il legislatore ha previsto che la violazione delle misure sopra descritte costituisca essa stessa un reato (art. 387 bis codice penale).
Infine, con la sospensione della responsabilità genitoriale, il giudice priva temporaneamente l’imputato, in tutto o in parte, dei poteri a essa inerenti, indicati agli articoli 316 e seguenti del codice civile.

 

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