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Gli effetti della acquiescenza al testamento

  • Categoria dell'articolo:Diritto civile
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Quali sono gli effetti della acquiescenza al testamento?

Dopo aver affrontato argomenti quali i diritti dei legittimari (“Successione ereditaria e diritti dei legittimari”)   e la tutela della legittima (“La tutela della legittima: l’azione di riduzione”), in questo articolo affronteremo il tema della acquiescenza al testamento.

Acquiescenza: significato

Prestare acquiescenza nel diritto civile significa tenere una condotta passiva nei confronti di un’altrui volontà, accettando quindi gli effetti riverberantesi sulla propria sfera giuridica. In sostanza il soggetto, che potenzialmente ha un rimedio messo a disposizione dal legislatore per “reagire” ad un atto che pregiudica i propri interessi, decide, invece, di rinunciare all’esercizio di tale diritto subendone le conseguenze.

In particolare: cosa significa prestare acquiescenza al testamento?

Per rispondere a questo interrogativo è necessario introdurre due concetti: quello di legittima e quello di legittimari. La legittima è la quota di patrimonio ereditario del de cuius che deve, per legge, andare a beneficio dei legittimari. Questi ultimi sono una particolare categoria di familiari (i più stretti), a cui il legislatore riconosce una forma di tutela (azione di riduzione), qualora il de cuius mediante testamento oppure, in mancanza di quest’ultimo, attraverso la successione prevista dalla legge, abbia devoluto loro  una quota inferiore rispetto a quella prevista dalla legge.

Questa categoria di eredi (cd. legittimari) ha diritto ad una quota (cd. legittima) del patrimonio del de cuius e ciò è espressamente previsto dalla legge, tant’ è che la legittima è definita anche quota intangibile e la successione di tali quote viene definita “necessaria”.

L’ art 536 c.c.  individua quali sono i legittimari: “Persone a favore delle quali la riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti.”

Questi ultimi, una volta aperta la successione, possono rinunciare ad esercitare le proprie pretese verso altri eredi o terzi relativamente a lesioni di legittima concretizzatesi mediante testamento o con donazioni fatte in vita dal de cuius. Con tale rinuncia i legittimari, lesi nei propri diritti, prestano il proprio definitivo benestare (acquiescenza) alla volontà del de cuius.

Acquiescenza testamento: rinuncia all’eredità

Abbiamo visto che con l’atto di acquiescenza il legittimario rinuncia all’esercizio di quelle azioni riconosciutegli dall’ordinamento a tutela della propria posizione privilegiata. Infatti, così facendo, egli rinuncia definitivamente all’esercizio dell’azione di riduzione finalizzata ad integrare la quota di eredità ricevuta, quantitativamente inferiore a quella spettante per legge (cd. legittima). Tuttavia questa è cosa ben diversa dalla rinuncia all’eredità. Con la rinuncia all’eredità il chiamato esprime la volontà di non diventare erede, mentre con l’atto di acquiescenza il legittimario mantiene la qualità di erede rinunciando esclusivamente alle azioni a tutela dei diritti ereditari.

acquiescenza testamento

Acquiescenza testamento: effetti

In caso di rinuncia all’eredità opera la cosiddetta rappresentazione (artt. 467, 468 e 469 c.c.) quando ad esprimere detta volontà siano stati i figli o i fratelli/sorelle del de cuius in qualità di chiamati all’eredità. In forza di tale istituto l’eredità viene devoluta ai figli dei rinuncianti, i quali possono a loro volta rinunciare o accettare l’eredità, nonché agire in riduzione in luogo del rinunciante. L’effetto scaturente dall’acquiescenza è, invece, di tutt’altro tenore. Colui che esprime la propria acquiescenza è erede, ma, si ribadisce, rinuncia a compiere tutte quelle azioni a tutela della propria posizione di legittimario (azione di riduzione per vedersi riconosciuta la quota spettante per legge, anziché quella minore devolutagli per testamento). Ne deriva che i discendenti di colui che ha prestato acquiescenza, non potranno dopo la sua morte esercitare l’azione di riduzione, in ragione della rinuncia contenuta nell’atto di acquiescenza.

Particolarità ed esempio

Tuttavia, in un’ipotesi particolare acquiescenza e rinuncia determinano il medesimo effetto, ossia la rappresentazione.

Un caso concreto può aiutare a comprendere.

Immaginiamo che Tizio per testamento abbia disposto tutto in favore della moglie Caia e i due figli Sempronio e Mevio risultino pretermessi dall’eredità.

Sempronio (padre di Sempronietto) e Mevio non volendo avere niente a che spartire con l’odiato padre (Tizio), prestano acquiescenza al testamento.

In questo caso l’acquiescenza (rinuncia all’azione di riduzione) ha i medesimi effetti della rinuncia all’eredità, in quanto gli eredi erano pretermessi (cioè non gli era stato devoluto nulla del compendio ereditario) e, pertanto, rinunciando all’azione di riduzione hanno di fatto rinunciato all’eredità.

Ne deriva che nel caso di specie l’effetto dell’acquiescenza sarebbe il medesimo rispetto a quello della rinuncia, ossia la rappresentazione e quindi la devoluzione del compendio ereditario in favore di Sempronietto figlio di Sempronio e nipote di Tizio.

Non bisogna tuttavia dimenticare che non è pacifico che nell’ipotesi appena descritta operi la rappresentazione. Secondo, infatti una parte della dottrina, che fonda il proprio ragionamento sul dato letterale delle norme in materia di rappresentazione,  nel caso di specie quest’ultima non può operare in quanto l’erede è stato pretermesso e, quindi, nulla a lui è stato devoluto mancando la delazione (offerta ereditaria). Infatti, a norma dell’art. 467 c.c., la rappresentazione opera quando il chiamato non possa o non voglia accettare l’eredità che comunque è stata allo stesso offerta, circostanza quest’ultima totalmente assente in caso di pretermissione.

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