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Gli arresti domiciliari: introduzione
In senso lato, gli arresti domiciliari possono essere intesi in tre modi:
- come misura pre cautelare: arresto in flagranza nel caso in cui il PM disponga che l’arrestato sia custodito presso il domicilio (art. 385 comma 5 c.p.p.),
- come misura cautelare ( 284 c.p.c),
- come misura alternativa alla detenzione in carcere, tecnicamente conosciuta come “detenzione domiciliare sostitutiva” (art. 47 ter legge n. 354/1975).
Più propriamente, quando si parla di arresti domiciliari ci si riferisce alla misura cautelare prevista dall’art. 284 c.p.p.,. La misura cautelare è una restrizione della libertà personale, disposta nei confronti di un soggetto prima che ne venga accertata la responsabilità penale (quindi potrebbe essere anche assolto), solamente al ricorrere di particolari condizioni, e mediante un rigoroso procedimento, detto anch’esso “cautelare”.
Con la misura degli arresti domiciliari, che consiste principalmente nel divieto di allontanarsi dal “domicilio”, può essere disposto anche l’obbligo di indossare il “braccialetto elettronico”, dispositivo che consente di verificare se l’individuo che lo indossa abbia o meno rispettato il divieto. Inoltre con gli arresti domiciliari le visite di amici e parenti sono sottoposte ad un’autorizzazione del giudice.
I presupposti degli arresti domiciliari sono, da un lato i gravi indizi di colpevolezza di reato, dall’altro lato una (o più) delle esigenze cautelari: pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato, pericolo di inquinamento delle prove.
Per richiedere gli arresti domiciliari (ad esempio nel caso di sostituzione con la custodia cautelare in carcere), occorre dimostrare la disponibilità di un domicilio idoneo per l’esecuzione della misura.
La durata degli arresti domiciliari varia a seconda del permanere delle esigenze cautelari e del tipo di reato che si contesta. Il codice di procedura penale prevede una durata degli arresti domiciliari per ogni fase del processo, ed una durata massima degli arresti domiciliari, che in alcun modo può essere superata.
La persona sottoposta agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare, come se fosse in carcere. Ciò consente, in caso di condanna definitiva ad una pena detentiva non sospesa, di conteggiare la durata degli arresti domiciliari come “presofferto” che il pubblico ministero deve calcolare al fine di emettere il decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena.
Gli arresti domiciliari come misura cautelare non devono essere confusi con la detenzione domiciliare quale misura alternativa alla pena della reclusione, che può essere richiesta solamente dopo una condanna definitiva alla pena reclusiva.
Cosa sono gli arresti domiciliari
Gli arresti domiciliari previsti dall’art. 284 cod. proc. pen. rientrano nelle misure cautelari personali coercitive, si tratta di una misura custodiale in quanto consistono nel divieto di allontanarsi da un certo luogo (la propria abitazione, oppure altro luogo di privata dimora, oppure ancora da un luogo pubblico di cura o di assistenza) e che quindi comportano una grave limitazione della libertà di circolazione, salvo autorizzazione del giudice.
Per una più attenta sorveglianza, a chi è sottoposto agli arresti domiciliari può essere imposto il braccialetto elettronico, dispositivo gps che consente di controllare se effettivamente si sia allontanato. Peraltro, la disponibilità del braccialetto elettronico consente anche, ai sensi dell’art. 275 bis c.p.p. di evitare la custodia cautelare in carcere.
QUALI SONO LE REGOLE DEGLI ARRESTI DOMICILIARI
Oltre al divieto di allontanarsi dal domicilio, all’indagato/imputato può essere preclusa ogni forma di comunicazione non autorizzata.
In genere per chi è sottoposto agli arresti domiciliari le visite sono vietate, anche da parte di amici o parenti stretti, ed è escluso anche l’utilizzo del telefono o di internet.
L’unico soggetto con cui può liberamente comunicare è il suo avvocato, che deve tutelarne il diritto di difesa. Tutti gli altri, salvo i conviventi, devono essere autorizzati dal giudice.
Si può andare al lavoro ad una visita medica, a fare la spesa, a pagare le bollette? L’allontanamento dal proprio domicilio deve essere sempre autorizzato dal giudice, che di volta in volta ne valuta l’esigenza. In caso di autorizzazione, il soggetto cautelato deve comunicare alle forze dell’ordine l’orario di partenza, quello di arrivo ed il percorso più breve per giungere a destinazione.
Con specifico riferimento all’attività lavorativa, si precisa che “…ai fini dell’autorizzazione dell’imputato sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi per svolgere un’attività lavorativa, la valutazione del giudice in ordine alla situazione di assoluta indigenza dello stesso deve essere improntata, stante l’eccezionalità della previsione, a criteri di particolare rigore, che non possono, però, spingersi fino alla richiesta di dimostrazione di una totale impossidenza tale da non consentire neppure la soddisfazione delle primarie esigenze di vita, essendo sufficiente che le condizioni reddituali del soggetto non gli consentano, in assenza dei proventi dell’attività lavorativa per il cui svolgimento è chiesta l’autorizzazione, di provvedere agli oneri derivanti dalla educazione, istruzione e necessità di cura propria e dei soggetti della famiglia da lui dipendenti” (in tal senso, Cass. pen., sez. III, sent. n. 24995 del 5 giugno 2018).
Un’ulteriore ipotesi di allontanamento può realizzarsi attraverso la concessione, sempre su istanza, di permessi per far fronte ad importanti esigenze di carattere personale o familiare o altre specifiche esigenze come una visita medica.
QUANDO SI APPLICANO GLI ARRESTI DOMICILIARI
A disporre gli arresti domiciliari è il giudice “che procede” (art. 279 c.p.p.), su richiesta del pubblico ministero, sia nella fase procedimentale (durante le indagini, in tal caso il giudice competente è il GIP) che nella fase processuale (durante lo svolgimento del processo penale quando il soggetto è già stato rinviato a giudizio diventando imputato).
Devono ricorrere alcuni questi presupposti:
- Esistenza di gravi indizi di colpevolezza.
- Esistenza di un pericolo di fuga, o di inquinamento delle prove, o di reiterazione del reato ( 274 c.p.p.)
- Proporzionalità all’entità del fatto ed alla sanzione che si ritiene irrogabile. Le misure cautelari meno afflittive non sono idonee a soddisfare le esigenze cautelari di cui sopra ( 275 comma 3 c.p.p.).
Inoltre, il codice di procedura elenca alcune cause che impediscono l’adozione degli arresti domiciliari e/o di qualsiasi altra misura cautelare:
- Cause ostative generali sono ( 273 c.p.p.) la sussistenza di cause estintive del reato o della pena, cause di giustificazione (ovvero, la legittima difesa, lo stato di necessità, l’esercizio di un diritto, il consenso dell’avente diritto, l’adempimento di un dovere o l’uso legittimo delle armi) o di non punibilità (come l’errore sul fatto, l’errore sul precetto normativo).
- Cause ostative speciali sono la possibilità di beneficiare della sospensione condizionale della pena ( 275 c.p.c.), e se il soggetto risulta essere stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede, salvo che il giudice ritenga, sulla base di elementi specifici, che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con gli arresti domiciliari (art 284 comma 5 bis c.p.p.).
QUAL È LA MASSIMA DURATA DEGLI ARRESTI DOMICILIARI
La durata degli arresti domiciliari non può essere prevista a priori. La regola generale vuole che, in attesa dell’esito del processo con sentenza definitiva, la durata degli arresti domiciliari sia parametrata al permanere dei presupposti di cui abbiamo parlato sopra. Ne consegue che, qualora venga meno l’esigenza cautelare, o i gravi indizi di colpevolezza, la misura può essere revocata.
Può essere sostituita con una meno afflittiva quando, alla luce di una nuova valutazione, si ritenga che questa sia comunque idonea a garantire le esigenze cautelari.
Tuttavia, stante la natura “cautelare” della limitazione della libertà (e cioè in assenza di una sentenza di condanna) e i dilatati tempi di svolgimento del processo di merito, non è ammissibile che gli arresti domiciliari possano essere protratti a tempo indeterminato. Il codice prevede infatti termini di durata massima, sia per ciascuna fase del procedimento, sia in assoluto.
Il calcolo di questi termini è particolarmente complesso e dipende anche dalla gravità del reato.
Omettendo di passare in rassegna i termini “intermedi” (art. 303 commi 1-3 c.p.c.), la durata massima “complessiva” (art. 303 comma 4 c.p.p.) non può essere superiore a:
- 2 anni per i delitti puniti con la reclusione fino a sei anni nel massimo;
- 4 anni per i delitti puniti con la reclusione fino a venti anni nel massimo;
- 6 anni per i delitti con pena detentiva superiore a vent’anni nel massimo o puniti con l’ergastolo.
La eventuale sospensione della decorrenza (art. 304 c.p.p.), non può comunque protrarsi oltre la metà dei termini complessivi, oppure, se più favorevole, oltre i due terzi del massimo della reclusione prevista per il reato contestato (art. 304 comma 6 c.p.p.)
DOVE VENGONO ESEGUITI GLI ARRESTI DOMICILIARI
Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, per abitazione o altro luogo di privata dimora deve intendersi esclusivamente quello nel quale la persona conduce la propria vita domestica e privata, escludendo altre aree, ad esempio quelle condominiali, giardini o spazi pubblici, salvo che non si tratti di aree strettamente pertinenziali dell’abitazione e non ne costituiscano parte integrante al fine di agevolare i controlli da parte delle forze dell’ordine sulla reperibilità dell’imputato/indagato (v. sul punto, Cass. Pen., Sez. IIII, Sentenza 20 marzo 2015, n. 11662; Cass. Pen., Sez. III, Sentenza 13 gennaio 2014, n. 4369; Cass. Pen., Sez. VI, 21 gennaio 2008 n. 3212; Cass. Pen., sez. VI, 17 gennaio 2007, 4143).
È altresì possibile che gli arresti domiciliari si svolgano in un luogo pubblico di cura o di assistenza: un ospedale, un nosocomio, una struttura di una comunità di recupero per tossicodipendenti/alcool-dipendenti. Come la giurisprudenza di legittimità ha avuto cura di specificare, comunque deve trattarsi di un luogo di ricovero che possa considerarsi idoneo ad ospitare un soggetto agli arresti domiciliari al fine di garantire le esigenze di sicurezza (Cass. Pen., 18 aprile 1995 n. 3053).
Ancora, quando si fa riferimento alle case famiglia protette si intende ogni struttura residenziale ex legge n. 62 del 21 aprile 2011, adibite ad accogliere “detenuti” genitori di figli con età inferiore ai sei anni per i quali è stata disposta la misura presso queste strutture alternative e per genitori con figli di età inferiore ai dieci anni ammessi alla detenzione domiciliare ex art. 47 ter o alla detenzione speciale ex art. 47 quinques.
In alcuni casi l’imputato/indagato potrebbe essere interessato a chiedere gli arresti domiciliari, in sostituzione della misura carceraria. A tal fine, deve dimostrare che le esigenze di controllo che lo hanno condotto in carcere possono essere soddisfatte anche con la misura meno afflittiva.
Deve inoltre dimostrare la disponibilità di un domicilio, o una abitazione ove eseguire la misura. Non è necessario che disponga di una casa di proprietà o in affitto, ma può chiedere di essere collocato presso amici o parenti, purché vi sia il loro consenso e purché questi siano titolare di un contratto (locazione, comodato …) o di altro titolo che ne dimostra il legittimo possesso (usufrutto, proprietà ….). Infatti non è possibile eseguire la misura presso un immobile occupato abusivamente (art. 284 comma 1 ter c.p.p.)
LA TUTELA DELLA VITTIMA NELLA SCELTA DEL LUOGO DEGLI ARRESTI DOMICILIARI
La ratio alla base di qualunque provvedimento, soprattutto di natura restrittiva della libertà personale, è la tutela della vittima di un reato, nonché di ripristinare l’ordine pubblico in virtù di una violazione della normativa penale.
Attraverso la legge del 9 agosto 2013 n. 94 veniva introdotto il comma 1 bis all’art. 284 cod. proc. pen. nel quale “il giudice dispone il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare comunque le prioritarie esigenze della persona offesa dal reato”.
Questa norma è stata introdotta soprattutto per tutelare la vittima di alcune forme di reato, come quelli consumati negli ambienti familiari, domestici, per i quali non è possibile eseguire gli arresti domiciliari nella casa coniugale, ove vive anche la persona offesa.
Alcuni hanno osservato come la valutazione che il giudice è chiamato ad operare sia un ulteriore criterio adibito a ponderare l’applicazione della misura degli arresti domiciliari in un’ottica di prevalenza dell’esigenza di protezione della vittima del reato (Angela Procaccino, L’avvento della persona offesa nelle dinamiche cutodiali, in Misure cautelari ad personam, 2015).
Per questi casi, se la misura dell’allontanamento dalla casa familiare è ritenuta inidonea (oppure se è stata già violata) e se l’imputato/indagato non può disporre di un domicilio diverso dalla casa familiare (ad esempio da parenti o amici), l’unica alternativa è la custodia cautelare in carcere.

COSA SUCCEDE SE SI VIOLANO LE REGOLE DEGLI ARRESTI DOMICILIARI
Il mancato rispetto degli arresti domiciliari può comportare, così come previsto dall’art. 276, comma 1 ter, cod. proc. pen. la sostituzione della misura coercitiva con la custodia in carcere. Ciò anche nel caso in cui l’imputato sia affetto da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, ovvero da altra malattia particolarmente grave. In tal caso il giudice dispone che l’imputato venga condotto in un istituto attrezzato per l’assistenza necessaria.
Tuttavia, non ogni trasgressione delle regole degli arresti domiciliari apre le porte del carcere: sono fatti salvi i casi di lieve entità. Secondo l’ultima giurisprudenza (Cass. pen., Sez. VI, 12/01/2023, n. 5930) “il fatto di lieve entità di cui all’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen. si riferisce a violazioni di modesto rilievo ovvero a quelle che non sono in grado di smentire la precedente valutazione di idoneità della misura degli arresti domiciliari a tutelare le esigenze cautelari. Più precisamente la lieve entità della violazione delle prescrizioni che, ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen., consente al giudice di non disporre l’aggravamento con la custodia cautelare in carcere, può trovare applicazione anche nel caso di allontanamento dal luogo di esecuzione della misura, la cui gravità va valutata tenuto conto delle modalità, della condotta, del grado di colpevolezza da essa desumibile e dell’entità del danno o del pericolo che ne è derivato.”.
Viceversa l’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, oltre all’aggravamento della misura potrebbe configurare il reato di evasione di cui all’art. 385 c.p. che è sanzionato con la reclusione:
- da uno a tre anni per l’ipotesi base;
- da due a cinque anni se nell’evasione è stata usata violenza o minaccia verso le persone;
- da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite
Il reato di evasione è stato riconosciuto, ad esempio, per un breve ritardo rispetto all’orario consentito per il rientro dal lavoro (Cassazione penale, Sez. VII, ordinanza n. 51855 del 14 novembre 2017)
Inoltre, una condanna per evasione di non lieve entità preclude, nei cinque anni successivi, la possibilità di concessione degli arresti domiciliari (art. 284 comma 5 bi s c.p.p.) Sul tema si precisa come tale divieto abbia carattere assoluto “e, pertanto, prevale sulla disposizione di cui all’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. pen., in base alla quale non può essere applicata la misura cautelare della custodia in carcere quando il giudice ritiene che la pena irrogata non sarà superiore a tre anni” (Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 14111 del 8 aprile 2015).
QUALE DIFFERENZA TRA ARRESTI DOMICILIARI E DETENZIONE DOMICILIARE
La detenzione domiciliare è una misura alternativa alla reclusione (art. 47 ter legge n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario), disposta dal tribunale di sorveglianza attraverso la quale è possibile scontare la pena presso la propria abitazione, in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza.
La differenza tra arresti domiciliari e detenzione domiciliare sta nel fatto che la prima è di natura cautelare, e viene applicata prima di una sentenza definitiva; la detenzione domiciliare invece presume che vi sia già una sentenza definitiva di condanna alla pena detentiva non sottoposta a sospensione condizionale (e pertanto da eseguire), e consente di espiare la pena presso il domicilio, anziché in carcere, per parte o per tutta la durata prevista.
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