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Gli accordi di riservatezza: guida completa

Cosa sono e quando è necessario fare ricorso agli accordi di riservatezza

Una guida sugli accordi di riservatezza

È sempre più frequente in materia contrattuale e precontrattuale fare ricorso a quelli che sono definiti gli accordi di riservatezza. Si tratta di negozi giuridici sinallagmatici, giuridicamente vincolanti e al cui interno è contenuta una clausola – detta clausola di riservatezza – che costringe le parti stipulanti a non rivelare o divulgare determinate informazioni oggetto dell’accordo.
Il tema della tutela delle informazioni riservate è amplissimo e si intreccia con quello della concorrenza sleale.
Gli accordi di riservatezza possono assumere diversi appellativi: clausola di riservatezza, accordo di riservatezza, patto di non divulgazione, lettera di riservatezza; possono essere contenuti all’interno del contratto principale, o possono configurarsi quali accordi autonomi. In tutte queste ipotesi, la ratio dell’accordo è una: vincolare le parti in gioco all’obbligo di riservatezza, proibendo loro la divulgazione di informazioni che la parte o le parti contrattuali hanno interesse a che rimangano segrete.
Gli accordi di riservatezza possono interessare entrambi o soltanto uno dei contraenti, in quest’ultimo caso è corretto parlare di accordo unilaterale.
Sebbene un qualche modello di un contratto di NDA Agreement sia facilmente reperibile online, è necessario prestare particolare attenzione ad adattare il contenuto al caso concreto, non tralasciando le dovute accortezze. Per questo motivo, per la compilazione e/o la sottoscrizione di un accordo di segretezza, è sempre consigliata la consulenza di un esperto.
Gli accordi di riservatezza richiamano il principio di correttezza, contemplato dal nostro ordinamento all’articolo 1175 del Codice Civile secondo cui: “Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”.
La disciplina sugli accordi di riservatezza, talvolta si sovrappone alla disciplina sul trattamento dei dati personali, come disciplinata dal regolamento europeo (GDPR) e dalla normativa italiana. Pur potendo presentare elementi in comune, si tratta di due istituti profondamente diversi.
Ma come funzionano gli accordi di riservatezza? Quali sono le conseguenze derivanti dalla violazione del patto di non divulgazione? Approfondiamo in questo articolo tutti gli aspetti.


COSA SONO GLI ACCORDI DI RISERVATEZZA ED IN CHE AMBITO SONO UTILIZZATI

Gli accordi di riservatezza sono negozi giuridici conclusi da due o più parti con lo scopo di mantenere segrete talune informazioni che non si intende rendere pubbliche.
L’accordo di riservatezza può interessare tanto i privati quanto, più frequentemente, aziende ovvero soggetti legati tra loro da un rapporto di tipo lavorativo (un esempio, forse il caso più frequente, può essere dettato dall’accordo di riservatezza tra dipendenti e il datore di lavoro).
È consentito ricorrere ad un patto di non divulgazione in qualsiasi momento della fase negoziale: sia durante la fase precontrattuale, che nel corso dell’esecuzione del contratto a cui la clausola di riservatezza si riferisce.
Non è da escludere che tale accordo possa subire modifiche, a seguito del mutamento delle condizioni esistenti al momento dell’accordo di segretezza e che sia prevista la durata anche successivamente all’interruzione della prestazione professionale.


QUAL È LA DISCIPLINA DEGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

Gli accordi di riservatezza, molto usati nei Paesi di origine anglosassone, ove sono conosciuti con il nome di “Non Disclosure Agreement” o “NDA Agreement”, non trovano un’espressa tutela normativa all’interno del nostro ordinamento.
Solamente in un caso, il legislatore ne ha riconosciuto esplicitamente il valore: l’articolo 2105 del Codice Civile afferma che: “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. L’obbligo di riservatezza, in questo caso, è inteso come corollario dell’obbligo di fedeltà, vincolante anche in assenza di un espresso accordo di riservatezza tra dipendenti e datore di lavoro.
Più in generale, la tutela dell’accordo di segretezza è ricavabile indirettamente dall’art.1375 del Codice Civile, il quale sancisce che “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”.
Disposizioni più specifiche si trovano all’interno del codice della proprietà industriale (D.lgs. 30/2005) agli articoli 98 e 99 per la tutela dei segreti commerciali.
L’articolo 98 del D./Lgs. 30/2005 si occupa di descrivere l’oggetto meritevole di tutela: “Costituiscono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:
a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b) abbiano valore economico in quanto segrete;
c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
2. Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l’autorizzazione dell’immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l’uso di nuove sostanze chimiche”.
L’articolo 99 del medesimo codice richiama esplicitamente l’obbligo di riservatezza: “Salva la disciplina della concorrenza sleale, è vietato rivelare a terzi oppure acquisire od utilizzare le informazioni e le esperienze aziendali di cui all’articolo 98”.

Per il resto, stante la loro natura di clausola contrattuale (facente parte di un diverso contratto) o di vero e proprio contratto autonomo, si applicano le disposizioni generali sui contratti atipici del codice civile.


PERCHÈ STIPULARE ACCORDI DI RISERVATEZZA

Lo scopo della clausola di riservatezza è quello di proteggere informazioni che, se divulgate, potrebbero danneggiare gli interessi di una o di entrambe le parti contrattuali. Si pensi, ad esempio, all’obbligo di riservatezza sui brevetti o sulla lista dei clienti di una impresa, che altrimenti potrebbe finire nella disponibilità di una concorrente.
Con gli accordi di riservatezza viene data alle informazioni una protezione particolare: la violazione dell’obbligo di riservatezza contrattualmente previsto, infatti, espone il responsabile alla responsabilità contrattuale ed all’eventuale risarcimento del danno, che si può affiancare alla responsabilità disciplinare (ad esempio, nel caso dell’accordo di riservatezza tra dipendenti e imprenditore, nell’esecuzione di un contratto di lavoro ex art. 2106 cod. civ.) e addirittura alla responsabilità penale, per i reati di “rivelazione del contenuto di documenti segreti” ex art. 621 cod. pen.; di “rivelazione di segreto professionale” ex art. 622 cod. pen. e di “rivelazione di segreti scientifici o industriali” ex art. 623 cod. pen..


IN QUALE AMBITO SONO UTILIZZATI GLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

Più in genere, le informazioni principalmente coperte dall’obbligo di riservatezza sono quelle inerenti alle opere intellettuali, quali i diritti d’autore, ovvero informazioni costituenti il know-how dell’impresa, come le banche-dati dei clienti; non mancano accordi di riservatezza relativi a brevetti e ricerche.


COS’È IL KNOW-HOW TUTELATO DAGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

Nell’ambito di accordi di riservatezza non è raro sentire fare riferimento al know-how.
Know-how” è un termine inglese, di cui la traduzione letterale è “sapere come”, e che esprime la capacità di sapere utilizzare e gestire un determinato bene. In ambito aziendale, questa parola è utilizzata per indicare l’insieme delle conoscenze e abilità operative necessarie per svolgere un’attività professionale, configurandosi dunque come una risorsa intellettuale meritevole di tutela, mediante la stipula di una clausola di riservatezza.
Nel corso degli anni, il concetto di know-how si è esteso sino a qualsiasi attività imprenditoriale e commerciale (la gestione delle banche-dati, strategie di business, piani di lavoro).
Il know-how viene solitamente suddiviso in quattro categorie, che prendono nome dal proprio ambito di operatività:

  • tecnologico,
  • commerciale (insieme delle informazioni che un’azienda possiede in relazione ai prodotti venduti, derivante dalle attività di marketing quali l’assistenza clienti ovvero i servizi di recensione),
  • finanziario (le informazioni circa l’acquisto di beni da parte dei clienti, nonché i mezzi per rendere i prezzi questi più favorevoli e competitivi),
  • strategico (le informazioni della politica aziendale, che permette una diretta e leale competizione con le altre aziende del settore).

Il know-how è frequentemente l’oggetto che si vuole tutelare mediante la stipula di un accordo di riservatezza tra dipendenti e aziende.
La capacità di sapere gestire e fare fruttare al meglio la propria attività costituisce un grosso vantaggio per le imprese, pertanto il know-how rientra tra gli oggetti meritevoli di tutela di cui all’articolo 2105 del Codice Civile e del Decreto Legislativo 30/2005 e, in quanto tale, è un possibile contenuto di un NDA Agreement, ossia un accordo di riservatezza e di non divulgazione.


COS’È IL PATTO DI NON CONCORRENZA

L’articolo 2105 del Codice Civile sancisce l’obbligo di fedeltà, principio cardine dell’accordo di riservatezza: “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.
Dall’obbligo di fedeltà del prestatore di lavor nei confronti dell’imprenditore deriva, oltre all’obbligo di riservatezza, anche il vincolo di non concorrenza.
Il patto di non concorrenza, alla stregua dell’accordo di segretezza, è una clausola che le parti possono allegare al contratto principale, che limita la facoltà del lavoratore di svolgere attività professionali in concorrenza all’azienda con cui ha concluso il contratto. Spesso, il patto di non concorrenza e l’accordo di riservatezza vengono pattuiti nel medesimo documento.
Il patto di non concorrenza trova tutela all’articolo 2125 del Codice Civile, il quale detta i requisiti di cui il patto deve essere rivestito per far sì che risulti valido: deve essere redatto in forma scritta, contenere un’esplicita indicazione dell’oggetto, indicare la durata per la quale il contratto produrrà i propri effetti (“La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi [..]”), stabilire la determinazione di un corrispettivo congruo in relazione all’onere gravante sul lavoratore.


CHI SONO I SOGGETTI DEGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

Nell’accordo di riservatezza e di non divulgazione si distinguono due tipologie di soggetti: coloro che dispongono delle informazioni tutelate, che rappresenteranno l’oggetto dell’accordo di riservatezza e di non divulgazione, e coloro che si impegnano a rispettare il patto e non condividerle con terzi. Oltre a questi soggetti, gli accordi di riservatezza possono prevedere soggetti terzi, con cui le parti possono eventualmente venire a contatto.

Si pensi agli istituti di credito, ai professionisti che “gravitano” attorno alle imprese, agli avvocati, ai commercialisti eccetera. Questi soggetti vengono o possono venire a conoscenza delle informazioni costituenti l’oggetto della lettera di riservatezza. Al fine di una tutela effettiva, pertanto, si rende necessario estendere l’obbligo di riservatezza anche a questi soggetti, nel modo che diremo nei prossimi paragrafi.


QUANDO GLI ACCORDI DI RISERVATEZZA SONO UNILATERALI O BILATERALI

Sempre riguardo al profilo soggettivo, gli accordi di riservatezza possono essere unilaterali o bilaterali.
L’unilateralità o la bilateralità dell’accordo di segretezza dipendono dalla parte tenuta a non divulgare le informazioni che si desidera mantenere protette da riserbo.
Un classico esempio di patto unilaterale è l’accordo di riservatezza tra dipendenti e datore di lavoro: in questa specifica ipotesi solo i primi sono tenuti all’obbligo di riservatezza giacché è il datore di lavoro a detenere il know-how.
Il patto di non divulgazione è invece bilaterale, qualora ciascuna parte contraente si assume reciprocamente l’onere di non divulgare le informazioni dell’altra.


QUAL È L’OGGETTO E LA FORMA DEGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

L’accordo di riservatezza e di non divulgazione può essere contenuto all’interno di un contratto sottoforma di clausola o può costituire l’oggetto di un contratto autonomo.

L’oggetto del contratto di riservatezza sono le informazioni che i contraenti non devono rivelare o diffondere (ricerche, brevetti, know-how aziendale, banche-dati, piani di lavoro, strategie di marketing). Le informazioni oggetto della lettera di riservatezza possono interessare molteplici aspetti: economico, operativo, amministrativo.

L’accordo di riservatezza può prevedere anche le circostanze in cui le informazioni possono essere comunicate o rese note, ad esempio ai soggetti terzi di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti.

Nell’accordo di riservatezza e di non divulgazione è indicata altresì la durata per cui il contratto sarà considerato in vigore nonché ulteriori termini e clausole interne.
Nel caso in cui l’accordo di riservatezza abbia la forma di un contratto, si tratta di un contratto atipico ex art. 1322 cod. civ. consensuale, nel senso che si perfeziona con il semplice consenso delle parti, e ad effetti obbligatori, poiché determina, nei confronti di (almeno) una parte, non il trasferimento di un diritto, ma l’assunzione di un obbligo di un “non facere”.
Può prevedere al proprio interno la possibilità di apporre condizioni, sospensive o risolutive, che subordinano l’inizio o il termine dell’obbligo di riservatezza al verificarsi di un determinato evento.
Per l’accordo di riservatezza tra dipendenti e datore di lavoro, l’art. 2125 cod. civile prevede alcuni requisiti particolari. A pena di nullità, come detto nei paragrafi precedenti, il c.d. patto di non concorrenza, ovvero l’accordo “con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto”, deve essere:

  • oneroso, cioè deve prevedere un corrispettivo a favore di chi si assume l’obbligo di riservatezza;
  • redatto in forma scritta;
  • circoscritto a determinati limiti di oggetto, tempo e luogo.


QUAL È LA DURATA DEGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

L’accordo di riservatezza e di non divulgazione, conosciuto anche con il termine inglese NDA Agreement,  può prevedere una durata.

Essa può essere espressamente determinata, oppure non espressamente determinata, ma comunque determinabile, ad esempio all’avveramento di una certa condizione. In questi casi è possibile classificare il contratto di riservatezza come a tempo determinato.

Infine, il contratto di riservatezza può non prevedere una durata, in tal caso si parlerà di contratto di riservatezza a tempo indeterminato.
Nel patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 cod. civ., che può contenere un accordo di riservatezza tra dipendenti e imprenditorela durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata”.

IN COSA CONSISTE IL LIMITE DEGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA
Gli accordi di riservatezza non sono validi quando contrari all’ordine pubblico, al buon costume o a norme imperative, in base all’art. 1343 e 1346 codice civile.
Si pensi al caso in cui l’informazione riservata sia attinente alla commissione di un reato. Se una delle parti contraenti decide di riferire alle autorità competenti le informazioni contenute all’interno del patto di non divulgazione, non può essere ravvisata la responsabilità contrattuale per la violazione della clausola di riservatezza, né l’obbligo al risarcimento del danno eventualmente patito dall’altra parte.

accordi di riservatezza


QUALI SONO LE OBBLIGAZIONI NASCENTI DAGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

Come ogni contratto di natura sinallagmatica che si rispetti, anche dal contratto di riservatezza nascono obbligazioni a cui la parte o le parti sono tenute ad adempiere.
Il soggetto su cui ricade l’onere dell’obbligo di riservatezza è tenuto in genere alle seguenti obbligazioni, espressamente previste per le informazioni commerciali di cui agli articoli 98 e 99 del codice della proprietà industriale: custodire diligentemente le informazioni ricevute, non utilizzarle per scopi esterni a quanto previsto dal contratto, non divulgarle a soggetti terzi non menzionati nel patto di non divulgazione, nel caso di accordo di riservatezza tra dipendenti, rimuoverle una volta giunto a termine il rapporto lavorativo per cui il soggetto ne sia venuto a conoscenza.
In particolare, l’obbligo di rimuovere le informazioni oggetto di una clausola di riservatezza consiste nel restituire queste ultime nello stesso formato in cui sono state condivise, nonché eliminarle da qualsiasi archivio dal quale possano essere reperibili.


COSA SUCCEDE SE NON SI RISPETTANO GLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

La parte che violi il patto di non divulgazione si rende inadempiente al contratto e si espone all’obbligo del risarcimento del danno.
In altre parole, nelle ipotesi di violazione dell’accordo di riservatezza si applica la disciplina prevista dal Codice Civile all’articolo 1218, secondo cui “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Quantificare l’effettivo danno causato dalla divulgazioni di informazioni contenute nel NDA Agreement è spesso difficoltoso, e richiede l’intervento di un esperto.
A tal proposito, è prassi inserire all’interno dell’accordo di riservatezza e di non divulgazione una clausola penale, alla quale attingere in caso di inadempimento. Ai sensi dell’art. 1382 cod civ. “La clausola, con cui si conviene che, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore.La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno”.


CHE COS’È UNA CLAUSOLA PENALE PRESENTE NEGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

La clausola penale è un patto, frequentemente utilizzato all’interno di un contratto di riservatezza, con il quale le parti contraenti stabiliscono quale sia l’onere (spesso consiste nel versamento di una somma di denaro) che incombe in capo all’inadempiente qualora non sia rispettato quanto trascritto nel contratto.

Attraverso la previsione di tale clausola, le parti interessate concordano preventivamente la somma da pagare, in caso di inadempimento del contratto di riservatezza.
Lo scopo principale dell’inserimento di una clausola penale all’interno di un accordo di riservatezza e di non divulgazione, risiede nella volontà di esonerare il soggetto che ha subito il danno dal doverlo provare.
In altre parole, la funzione della clausola penale è quella di offrire un’alternativa al ricorso al giudice, stabilita in fase precontrattuale e di importo deciso di comune accordo tra le parti.
Ciò non toglie che la parte soggetta all’obbligo di riservatezza possa contestare l’addebito dell’inadempimento, e il pagamento della penale, anche rivolgendosi all’autorità giudiziaria.
Ad agire in giudizio può essere altresì la parte danneggiata, qualora il soggetto che non ha rispettato l’accordo di segretezza non versi quanto pattuito nella clausola penale.

La clausola penale deve risultare di valore adeguato, salvo poter essere ridotta o aumentata dal giudice in sede di contenzioso, stando a quanto stabilito dall’articolo 1384 del Codice Civile: “ La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”.
Non sempre, tuttavia, la clausola penale sostituisce integralmente il risarcimento del danno.
Negli accordi di riservatezza, può essere prevista con riserva del risarcimento del “maggior danno”.


QUALE DANNO VIENE RISARCITO IN CASO DI VIOLAZIONE DEGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

È difficile prevedere, in astratto, quali danni possono conseguire alla violazione dell’accordo di segretezza: dipende dal tipo di informazioni che sono protette. A linee generali, la violazione della clausola di riservatezza potrebbe comportare tanto un danno emergente, quanto un lucro cessante.
Per danno emergente è da intendersi la perdita patrimoniale causata in concreto dall’inadempimento del contratto di riservatezza. Ad esempio, un danno reputazionale o un danno di immagine.
Per lucro cessante si intende il venire meno di un’occasione di guadagno, a causa della violazione della clausola di riservatezza.


QUANDO LA VIOLAZIONE DEGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA COSTITUISCE UN REATO

Oltre alla responsabilità contrattuale, la violazione dell’obbligo di riservatezza si può talvolta configurare come illecito penale. Vi sono infatti alcune ipotesi in cui la divulgazione di informazioni su cui vige l’obbligo di riservatezza è rilevante penalmente. Sono le ipotesi descritte agli articoli 621, 622 e 623 codice penale.
La prima è descritta dall’articolo 621 rubricato “rivelazione del contenuto di documenti segreti”, che dispone: “Chiunque, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto, che debba rimanere segreto, di altrui atti o documenti, pubblici o privati, non costituenti corrispondenza, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032”.
La violazione del segreto professionale, così come la violazione della lettera di riservatezza, comporta conseguenze sia sul piano civile, in ottica di risarcimento del danno, sia sul lato penale configurandosi l’illecito di cui all’articolo 622 del Codice Penale: “Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516.
La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società”.
La rivelazione di segreti scientifici ovvero commerciali è disciplinata dall’articolo 623 del Codice Penale: “Chiunque, venuto a cognizione per ragioni del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di segreti commerciali o di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni”.


COME LE INFORMAZIONI DEGLI ACCORDI DI RISERVATEZZA POSSONO ESSERE CONDIVISE CON SOGGETTI TERZI

È possibile che il NDA Agreement preveda la possibilità di condividere con soggetti terzi all’accordo le informazioni tutelate dall’obbligo di riservatezza.
Soggetti terzi possono essere, ad esempio, il difensore legale, il commercialista o un istituto di credito, a cui è necessario comunicare informazioni riservate, per ragioni differenti.
È consigliabile che tale deroga sia esplicitamente menzionata all’interno dell’accordo di segretezza, indicando altresì le modalità in cui la divulgazione è consentita.
Al fine di non incorrere in errore, che comporterebbe la violazione dell’accordo di riservatezza e di non divulgazione, è consigliabile stabilire preventivamente le informazioni la cui condivisione è strettamente necessaria.
Qualora si tratti di un accordo di riservatezza unilaterale, la parte che condivide le informazioni riservate dovrebbe impegnare i terzi, a loro volta, con un accordo di riservatezza e di non divulgazione.


COSA PREVEDONO GLI ACCORDI DI RISERVATEZZA TRA AZIENDE E DIPENDENTI

Nell’ipotesi in cui sia stipulato un accordo di riservatezza tra dipendenti e le aziende, è alquanto probabile che questo sia di tipo unilaterale: ad essere vincolati all’accordo di segretezza sono esclusivamente i dipendenti.
Inoltre, alla necessità di tutelare informazioni commerciali, si aggiunge l’obbligo di riservatezza sulle informazioni personali, che grava sui dipendenti che siano stati incaricati di trattare le informazioni personali che l’azienda gestisce, in nome proprio o in nome altrui.
In tal caso, alla disciplina degli accordi di riservatezza fino ad ora illustrata, si sovrappone quella del trattamento dei dati personali, di cui al regolamento europeo n. 2016/679 RE e al Decreto legislativo n. 196/2003 (codice della privacy).
Infatti, oggetto di tutela non sono le informazioni commerciali (brevetti, autorizzazioni eccetera) ma i dati personali di chi entra in contatto con l’azienda (dipendenti, clienti, fornitori…).
Ciò non toglie che alcune informazioni possano essere oggetto di doppia tutela: si pensi alla lista dei clienti di un’azienda, contenente dati personali (nome, cognome, indirizzo, numero di telefono) se non addirittura dati particolari (afferenti cioè allo stato di salute, all’appartenenza a comunità religiose, etniche ….).
Per offrire tutela alla riservatezza dei dati personali, ovvero garantire che questi siano trattati in modo conforme alla normativa vigente, le aziende possono imporre ai propri dipendenti che materialmente trattano le informazioni personali (c.d. incaricati del trattamento), una “lettera di riservatezza” cioè un documento che contiene le prescrizioni su come i dati personali devono essere gestiti, da parte del personale appositamente individuato e scelto.
Gli incaricati del trattamento, oltre all’obbligo di riservatezza sulle informazioni personali, hanno anche l’obbligo di essere informati e di tenersi aggiornati sulle corrette modalità del trattamento dei dati personali.


PERCHÉ LE START UP DOVREBBERO UTILIZZARE GLI ACCORDI DI RISERVATEZZA

Anche le start up possono avvalersi dell’NDA Agreement, meglio conosciuto come accordo di riservatezza e di non divulgazione.
Per start up si intende un’impresa emergente, principalmente in settori tecnologicamente avanzati. L’articolo 2 della legge 221/2012 definisce la start up innovativa come: “[..] la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia [..] che possiede i seguenti requisiti:

  • a) i soci, persone fisiche, detengono al momento della costituzione e per i successivi ventiquattro mesi, la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria dei soci;
  • b) è costituita e svolge attività d’impresa da non più di quarantotto mesi;
  • c) ha la sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
  • d) a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro;
  • e) non distribuisce, e non ha distribuito, utili;
  • f) ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
  • g) non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda; [..]”.

Uno dei principali rischi presenti durante la prima fase di creazione di una start up consiste nell’ipotesi che il socio o qualsiasi soggetto che sia venuto a conoscenza dell’iniziativa, decida di svilupparla autonomamente, escludendo lo startupper da un progetto da lui ideato. Ecco che a tal proposito è preferibile tutelarsi mediante un accordo di segretezza, così che le idee proposte in fase conoscitiva, che rappresenteranno l’oggetto del patto di non divulgazione, non vengano sfruttate da terzi senza alcun contributo all’ideatore.

 

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