Quando subire un sinistro rende difficile o impossibile collocarsi nel mercato del lavoro, la giurisprudenza ammette un risarcimento per la perdita delle occasioni lavorative.
Il Codice Civile, all’articolo 1223 stabilisce che il danno patrimoniale che deve essere risarcito comprende sia la “perdita subita” che il “mancato guadagno“. In particolare, con il secondo termine, altrimenti detto “lucro cessante”, si intendono tutte le entrate che avrebbero accresciuto il patrimonio del danneggiato, ma che non si realizzeranno, a causa di un inadempimento, di un ritardo, oppure di un altro fatto illecito.
Il lucro cessante, pertanto, si riferisce al guadagno che sicuramente si sarebbe avuto, se il fatto dannoso non si fosse prodotto.
Cos’è la “perdita di chances”?
Può però capitare che un fatto determini non la perdita di un sicuro guadagno, ma la perdita di un guadagno solamente eventuale ed incerto. Si tratta della perdita di “chances”, di occasioni, di opportunità di conseguire un bene o una somma di denaro.
Un particolare esempio di “perdita di chances” è la perdita della capacità lavorativa generica, cioè la diminuita (o azzerata) attitudine della persona di svolgere una qualsiasi attività lavorativa. Per dirla con le parole della Corte di Cassazione (sentenza 3519/2001), si tratta della “sopravvenuta inidoneità del soggetto danneggiato allo svolgimento delle attività lavorative che, in base alle condizioni fisiche, alla preparazione professionale e culturale, sarebbe stato in grado di svolgere”.
Primo orientamento: no al risarcimento.
Secondo un primo indirizzo, il risarcimento del danno patrimoniale è possibile solamente nei confronti di quei soggetti che lavorano o sono comunque immessi in un contesto retributivo (ad esempio i lavoratori “in nero”, o addirittura i mendicanti). Solamente il lavoratore danneggiato perde la possibilità di produrre reddito, di guadagnare e subisce quindi una “deminutio patrimonii” (ovverosia la diminuzione del compendio di rapporti giuridici attivi facenti capo ad una persona) giuridicamente rilevante.
In altre parole, secondo questa interpretazione, è risarcibile solamente la perdita della capacità lavorativa specifica, e cioè il venir meno della possibilità di svolgere la attuale occupazione.
Tuttavia la perdita della capacità lavorativa specifica non è un danno in re ipsa derivante dal solo fatto di svolgere un’impiego: il danneggiato dovrà dimostrare la effettiva contrazione del reddito in conseguenza dell’evento lesivo (ad esempio, i postumi permanenti di scarsa rilevanza, cosiddetti micropermanenti, non riducono la capacità di guadagno del soggetto, nè la capacità lavorativa, e pertanto sono risarcibili solamente come danno biologico).
La conseguenza è che non si riconosce una adeguata tutela giuridica ad alcune categorie di soggetti (studenti, disoccupati, casalinghe) che non producono reddito, nel momento in cui subiscono un danno (ad esempio sono coinvolti in un sinistro stradale). A questi è possibile riconoscere solamente un danno biologico, non patrimoniale, come risarcimento della lesione della salute.
Secondo orientamento: il risarcimento è possibile
Un indirizzo più recente, affronta il problema sotto il diverso aspetto della “dinamicità del danno”. Sebbene un soggetto non lavoratore non subisca alcun lucro cessante nell’immediatezza, occorre proiettare le conseguenze del fatto illecito anche nel futuro e valutare, di volta in volta, se quel danno influirà sulle future possibilità di guadagno del danneggiato.
Ad esempio, se un soggetto subisce danni fisici con effetti permanenti, gli sarà impossibile svolgere tutti quei lavori che richiedono l’utilizzo della parte fisica danneggiata. Se un pianista perde l’uso della mano, ovviemente non potrà continuare a svolgere la sua atrtività, ma, a seconda delle sue propensioni, attitudini e inclinazioni lavorative, potrà svolgere tutti quei lavori per i quali l’utilizzo della mano non è elemento essenziale.
A questo secondo orientamento fanno riferimento le sentenze della Corte di Cassazione n. 12211/2015, n. 5880/2016.
In altri termini, l’occasione perduta è risarcibile solo se il risultato sperato sarebbe stato ragionevolmente raggiunto e cioè se il danneggiato si sarebbe collocato nel mondo del lavoro.
Se il fatto determina un pregiudizio durevole nel tempo, capace di limitare le possibilità del danneggiato di produrre reddito anche per il futuro, il Giudice dovrà valutare, secondo un giudizio prognostico, la concreta possibilità che il soggetto danneggiato avrebbe avuto di acquisire quel possibile guadagno, se la “chance” fosse stata spendibile.
La quantificazione del danno in via equitativa
Quanto spetta al danneggiato non lavoratore? La quantificazione del danno alla capacità lavorativa generica è operazione assai complessa, svolta dal Giudice di merito, che deve liquidarlo in via equitativa ex art 1226 c.c. sulla base del “curriculum vitae” del danneggiato. Quale livello di reddito avrebbe percepito il danneggiato, se la lesione non si fosse prodotta? In quale misura le conseguenze del sinistro riducono la futura capacità di guadagno? Il Giudice deve rispondere a queste domande sulla base di l’età anagrafica, le condizioni fisiche, il percorso formativo e le attitudini lavorative, sulle probabili occasioni lavorative che il mercato del lavoro avrebbe offerto, sulla natura e sulla gravità della invalidità, financo sulla posizione socio economica della famiglia.
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