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L’allontanamento dal tetto coniugale

Le conseguenze dell’allontanamento dal tetto coniugale

L’allontanamento dal tetto coniugale

Una delle domande più frequenti che si pone chi vive in coppia, soprattutto dopo un litigio o durante un periodo poco sereno della vita familiare, è relativa alla possibilità di allontanamento dal tetto coniugale.
Nonostante che, di regola, la legge imponga ai coniugi ed alle parti di un’unione civile, l’obbligo di coabitazione costante e continuativo, l’allontanamento dal tetto coniugale (cioè dal luogo ove la famiglia ha stabilito la propria residenza) è in alcuni casi tollerato. Ad esempio, quando venga congiuntamente deciso che per temporanee esigenze lavorative, o di salute, i coniugi possano vivere in città diverse.
Diverso è il caso in cui la decisione dell’allontanamento dalla casa familiare viene adottata in maniera unilaterale. Il coniuge/unito che volontariamente ponga in essere l’allontanamento dalla casa familiare, in mancanza di gravi motivi (quali l’intollerabilità del ménage familiare) o dell’autorizzazione del Presidente del Tribunale (che viene concessa una volta avviato il procedimento per separazione personale dei coniugi) si espone a conseguenze che possono avere sia rilievo civile, che penale.
Sotto il primo profilo, l’allontanamento dal tetto coniugale potrebbe comportare l’addebito della eventuale separazione “per colpa”.
Vi è poi anche una responsabilità penale del coniuge, nel caso in cui l’abbandono del detto coniugale comporti il far venir meno dei mezzi di sussistenza dei familiari.
Oggetto del presente focus sono i casi di allontanamento dal tetto coniugale che comportano conseguenze giuridiche, sia sul piano civilistico che penalistico.
Viene inoltre fatta luce sui doveri nei confronti dei figli minori o non economicamente autosufficienti gravanti su chi decide di allontanarsi dalla casa familiare senza che ricorrano giustificati motivi.


ALLONTANAMENTO DAL TETTO CONIUGALE: COS’È L’OBBLIGO DI COABITAZIONE

L’art. 143 comma 2 del codice civile impone ai coniugi l’obbligo di coabitazione: “Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”.
Analogamente, anche per le coppie omosessuali, l’art. 1 comma 11 della legge sulle unioni civili (Legge 76/2016 di cui abbiamo parlato in questo articolo ) stabilisce che “Con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione”.
Richiedendo la coabitazione, la legge impone ai coniugi ed agli uniti la convivenza costante e continuativa presso il tetto coniugale (ossia la “residenza della famiglia” ex art. 144 cod. civ.). al fine di realizzare quella che la giurisprudenza chiama “comunione materiale e spirituale”, quindi, sostanzialmente, una casa dove vivere insieme.
Se in passato era solamente il marito (capo famiglia) a decidere la residenza della famiglia (la moglie si limitava a seguire la condizione civile di lui, assumerne il cognome ed era obbligata ad accompagnarlo dovunque egli credesse opportuno di fissare la sua residenza), sin da dopo la legge 151/1975, l’art. 144 codice civile e il comma 12 dell’art. 1 della L. 76/2016 stabiliscono che i coniugi/uniti fissano congiuntamente il tetto coniugale famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
Discorso diverso invece, per quelle formazioni sociali diverse da quelle fondate sul matrimonio o sull’unione civile: per le coppie di fatto non è previsto il formale dovere di convivenza.


QUANDO È LECITO L’ALLONTANAMENTO DAL TETTO CONIUGALE.

Se questa è la regola, tuttavia, vi sono situazioni in cui la legge ammette che l’allontanamento dal tetto coniugale, se la decisione viene presa di comune accordo, sia comunque compatibile con i doveri dei coniugi e degli uniti.
In primo luogo, è possibile fissare una residenza disgiunta, senza comportare una violazione degli obblighi familiari, se c’è il consenso di entrambi, ed a condizione che questo non comporti il sacrificio dell’ulteriore obbligo reciproco dell’assistenza morale e, in caso di figli, dell’educazione di questi.
È il caso, ad esempio, del temporaneo allontanamento dal tetto coniugale per motivi di salute o lavoro. Sul trasferimento del lavoratore dipendente, si consiglia la lettura di questo articolo .
Il consenso all’allontanamento dal tetto familiare non necessita la forma scritta, potendo esser anche verbale o addirittura implicito per fatti concludenti.
Inoltre, stabilire una residenza disgiunta può essere favorevole ai fini fiscali.


QUANDO È AMMESSO L’ALLONTANAMENTO DAL TETTO CONIUGALE NON CONSENSUALE.

Anche nel caso in cui manchi il consenso di tutti i familiari, l’abbandono del tetto coniugale deciso unilateralmente non comporta necessariamente la violazione dell’obbligo di coabitazione.
In questo caso, sono però necessari motivi gravi e documentabili.
È il caso dell’allontanamento dalla casa familiare da parte di chi subisca violenze fisiche o psicologiche, oppure, più in generale, nel caso in cui la prosecuzione del ménage familiare sia diventato intollerabile. Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto legittimo l’abbandono del tetto coniugale in una serie di ipotesi: in caso di prolungata assenza di rapporti intimi tra i coniugi, al sorgere di accesi dibattiti familiari, soprattutto con le famiglie di origine, nei casi di esclusione dalle entrate di uno dei due coniugi; o ipotesi di occultamento dell’avvenuto pensionamento del marito.
È ammesso l’abbandono del tetto coniugale anche quando il coniuge sia autorizzato dal Tribunale, durante la fase presidenziale del procedimento di separazione personale dei coniugi. Una ipotesi analoga è previsa anche nel caso di scioglimento delle unioni civili.


QUALI SONO LE CONSEGUENZE CIVILI DELL’ALLONTANAMENTO DAL TETTO CONIUGALE.

Le conseguenze sul piano civilistico dell’abbandono del tetto coniugale, emergono nell’ipotesi in cui venga aperto un procedimento di separazione personale dei coniugi, come spesso accade col venir meno della convivenza matrimoniale.
Non è automatico, ma nel caso in cui venga avviato un procedimento di separazione giudiziale (non consensuale) l’abbandono del tetto coniugale potrebbe essere causa di addebito. Ciò vuol dire che, se richiesto da un separando, l’abbandono del tetto coniugale compiuto dall’altro viene valutato dal giudice al fine di poter stabilire se la crisi matrimoniale si è effettivamente prodotta a causa di quest’ultimo. La Cassazione ha affermato che “l’allontanamento dalla residenza familiare, ove attuato unilateralmente dal coniuge, cioè senza il consenso dell’altro coniuge, costituisce violazione di un obbligo matrimoniale ed è conseguentemente causa di addebitamento della separazione” (Cass. civ. n. 25663/2014).
Al fine di addebitare la separazione, il giudice deve valutare tre elementi:

  • se vi sia stato effettivamente l’allontanamento dal tetto coniugale;
  • se l’abbandono del tetto coniugale possa essere qualificato come violazione dei doveri che derivano dal matrimonio o dall’unione civile;
  • il nesso causale, cioè se l’abbandono del tetto coniugale abbia innescato la crisi matrimoniale.

È onere di chi chiede l’addebito, dimostrare solamente il primo punto.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che, di regola, il volontario abbandono del tetto coniugale costituisce una vera e propria violazione del dovere di convivenza, per questo, già da solo è motivo sufficiente a giustificare l’addebito della colpa della separazione, salvo che il coniuge che si allontana non dimostri che l’abbandono del tetto coniugale sia dipeso da uno o più comportamenti dell’altro coniuge o sia avvenuto in un momento in cui la convivenza aveva raggiunto livelli di intollerabilità.
A sua volta, l’addebito della separazione ha rilevanti effetti sul piano economico.
Il coniuge a cui è addebitata la crisi coniugale perde il diritto al mantenimento, perde i diritti successori nei confronti dell’altro, può essere condannato al pagamento delle spese legali e nei casi più gravi può essere obbligato a risarcire l’eventuale danno subito a causa della propria condotta.
La perdita del diritto al mantenimento ex art. 156 comma 1 cod. civ. non comporta però la perdita del diritto agli alimenti ex art. 433 cod. civ.(per un approfondimento sull’obbligo alimentare, si consiglia la lettura di questo articolo). Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha, più volte, affermato che “il coniuge che si allontana dalla residenza familiare perde il diritto al mantenimento, ai sensi dell’art. 146 primo comma c.c., soltanto quando l’allontanamento medesimo sia ingiustificato e persista, con un rifiuto a tornare, nonostante il richiamo dell’altro coniuge, atteso che, ove quest’ultimo si adegui, omettendo di richiamare il coniuge allontanato, si realizza una situazione di separazione di fatto, nella quale restano in vigore gli obblighi di cui all’art. 143 c.c.” (Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 3166 del 14 maggio 1981);
La perdita dei diritti successori ex art. 548 comma 2 cod.civ., comporta l’esclusione del coniuge dall’asse ereditario dell’altro, ed anticipa in sede di separazione l’effetto tipico della sentenza di divorzio, ma non pregiudica il diritto all’assegno alimentare a carico dell’eredità, né il diritto alla pensione di reversibilità: a seguito della Sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987, anche il coniuge separato per colpa o con addebito della separazione, in quanto equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite, separato o non, può richiedere ed ottenere la pensione di reversibilità, atteso che a tali fini opera in suo favore la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento del decesso.
Infine, con riferimento al risarcimento del danno non patrimoniale, “l’addebito della separazione personale dei coniugi, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., (…), con la conseguenza che la risarcibilità di danni ulteriori è configurabile solo se i fatti che hanno dato luogo all’addebito integrano gli estremi dell’illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dalla norma indicata” (Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 06/08/2020, n. 16740). In particolare, il risarcimento può essere concesso quando “la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all’onore o alla dignità personale” (Cass. civ., Sez. VI – 1, Ordinanza, 19/11/2020, n. 26383).

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COME EVITARE L’ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE PER ALLONTANAMENTO DEL TETTO CONIUGALE

A fronte dell’accertamento della violazione degli obblighi matrimoniali per l’abbandono del tetto coniugale, non sempre consegue una pronuncia di addebito della separazione.
L’addebito è evitabile ove il coniuge riesca a dare la prova contraria, dimostrando almeno uno dei due punti:

  • l’allontanamento dalla casa familiare non consiste in una violazione dei doveri, poiché, ad esempio, è stato concordato o accettato anche dall’altro coniuge,
  • l’abbandono del tetto coniugale non è stato causa della crisi, ad esempio perché si è trattato di un periodo brevissimo, ed al rientro i rapporti sono proseguiti normalmente;
  • il coniuge ha abbandonato il tetto familiare a causa di una crisi del ménage che era già iniziata precedentemente,

Come affermato dalla Cassazione (Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 05/05/2021, n. 11793) “Per quanto concerne l’addebito della separazione, va osservato che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto, anche se la domanda di separazione non sia stata già proposta. Tale prova è, poi, ancora più rigorosa – a carico di colui che pone in essere l’abbandono – nell’ipotesi in cui l’allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d’intollerabilità”.


L’ALLONTANAMENTO DAL TETTO CONIUGALE IN PRESENZA DI FIGLI.

L’abbandono del tetto coniugale da parte di uno dei genitori non determina il venir meno degli obblighi di mantenimento ed educazione nei confronti dei figli minorenni o maggiorenni non ancora economicamente indipendenti. Ciò è vero anche per le coppie di fatto, perché l’interesse da tutelare è quello dei figli.
Per maggiori approfondimenti sull’obbligo di mantenimento dei figli, si consiglia la lettura di questo articolo.
Pertanto, come anticipato si parla del reato di inadempimento agli obblighi familiari commesso da colui il quale non provvede a fornire i mezzi di sussistenza ai figli minori o maggiorenni privi di un’autonomia economica. Per essere più chiari, ricordiamo che con l’espressione “mezzi di sussistenza” non ci si riferisce solo al vitto e all’alloggio ma anche a tutti gli altri beni idonei a soddisfare bisogni necessari per la crescita serena, sana e dignitosa dei figli (scuola, sport, spese mediche, ecc…).

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QUANDO L’ALLONTANAMENTO DAL TETTO CONIUGALE È REATO.

L’abbandono del tetto coniugale di per sè non è un reato, ma solo un illecito civile che, però, in presenza di determinate circostanze può avere ripercussioni di natura penale.
L’abbandono del tetto coniugale potrebbe essere un comportamento penalmente rilevante, potendosi configurare la fattispecie di reato della violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 cod. pen., sotto un duplice profilo.
Al primo comma, la fattispecie punisce con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1032 chi “abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famigli, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge”.
La norma non intende proteggere l’obbligo di coabitazione, ma semmai l’obbligo di assistenza morale, che ha una portata maggiore del primo e pertanto, come sostenuto dalla giurisprudenza di merito “Ai fini della sussistenza del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570 c.p., non basta l’essersi sottratti al dovere di coabitazione ma è necessario che l’allontanamento sia ingiustificato e cagioni volontariamente l’inadempimento degli obblighi di mutua e reciproca assistenza materiale e morale tra i coniugi” (Tribunale Bari, Sez. I, 14/04/2010, n. 282).

In altre parole, non tutti gli allontanamenti dalla casa familiare comportano necessariamente la violazione dell’assistenza morale nei confronti dei figli e dell’altro coniuge.
Inoltre la Cassazione aggiunge che” alla luce della normativa regolante i rapporti di famiglia e della stessa evoluzione del costume sociale e relazionale, la qualità di coniuge non è più uno stato permanente, ma una condizione modificabile per la volontà, anche di uno solo, di rompere o sospendere il vincolo matrimoniale. Volontà la cui autonoma manifestazione, può essere idonea a interrompere senza colpa e senza effetti penalmente obblighi alcuni degli obblighi previsti dal matrimonio, tra i quali quello della coabitazione” (sent. 12310/2012).

Il secondo comma punisce con la medesima sanzione chi “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”. Anche in questo caso non è punito l’abbandono di per sè, ma solo nel caso in cui con l’abbandono del tetto coniugale, venga fatto mancare al coniuge ed ai figli l’assistenza materiale ed economica, necessaria a far fronte ai bisogni familiari, benchè non limitata alle necessità primarie (vitto, alloggio, spese mediche ….).

 

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Lo Studio Legale Berti e Toninelli Si trova a Pistoia, in Piazza Garibaldi n. 5.
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